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Lino, il ristorante di Pavia che mette il territorio nel piatto

 
03 giugno 2019 | 10:58

Lino, il ristorante di Pavia che mette il territorio nel piatto

03 giugno 2019 | 10:58
 

Oggi è il ristorante di tendenza di Pavia. Si trova dove prima sorgeva una storica libreria della città, punto di riferimento per gli studenti dell’Ateneo pavese.

Un locale di tendenza e che non si accontenta, in quanto è pronto a fare un ulteriore salto di qualità che potrebbe far tornare a Pavia la brillante stella Michelin. Affacciato sulla piazza del Lino, un tempo punto d’incontro per agricoltori e commercianti Pavesi, il Ristorante Lino si propone ancora oggi come un luogo in grado di unire la cultura e i frutti del territorio e la storicità antica della città di Pavia. La cucina, seguita da Andrea Ribaldone e guidata ad arte da Federico Sgorbini e dal pastry chef Gabriele Tangari, si propone di recuperare tutti quei prodotti che rappresentano al meglio il pavese, con uno sguardo nuovo e fresco alla ricerca di stagionalità, sapori e accostamenti nuovi.

Lo staff del ristorante al completo (Lino, il ristorante di Pavia che mette nel piatto il territorio)
Lo staff del ristorante al completo

Sale luminose, ampie vetrate, un ambiente d’ispirazione déco e un’atmosfera confortevole ed elegante, che si estende fino all’esterno con il dehor nella piazza da cui il Ristorante prende il nome, come vero e proprio omaggio alla città. «Stiamo puntando molto sulla territorialità rivista in piatti gastronomici - spiega Ribaldone - Riteniamo che coinvolgere il territorio nella cucina rappresenta un ottimo biglietto da visita per chi ci viene a trovare. Un omaggio al territorio che ci ospita. Una cucina che coinvolge cuore e pancia, intesa come emozione. Stessa cosa vale per la carta dei vini che contempla una variegata selezione di prestigiose etichette dell’Oltrepò Pavese, zona purtroppo poco conosciuta ma che regala importanti sorprese nel bicchiere».

Un interno del Ristorante Lino (Lino, il ristorante di Pavia che mette nel piatto il territorio)
Un interno del Ristorante Lino

Per l’occasione è stato presentato il menù estivo del Lino, una selezione di piatti che non dimenticano la territorialità mixata ad una cucina più gastronomica. Il giusto connubio capace di emozionare ed entusiasmare i palati per la precisione nella gestione dei prodotti, per la qualità degli stessi e per la capacità di coniugare sapori tante volte agli antipodi come la maionese di ostriche con la bavetta di manzo. Un locale che guarda avanti non solo nell’elaborazione del piatto ma anche sotto altri aspetti.

La terrazza esterna del locale (Lino, il ristorante di Pavia che mette nel piatto il territorio)
La terrazza esterna del locale

«A breve partiranno degli importanti lavori che porteranno il Lino ad essere un locale a 360 gradi, dinamico, capace di dare una scossa positiva, ce lo auguriamo, al mondo della ristoranzione pavese - dice ancora Ribaldone - Al ristorante gourmet si affiancheranno un bistrot, poi un’altra ala che considero più ibrida per le colazioni e la degustazione della pizza ed, infine, una cantina accostata ad un’area dedicata agli assaggi dei dessert. Un passo in avanti non da poco che speriamo ci possa regalare delle soddisfazioni. Noi ci crediamo».

La brigata e il menu sono frutto del percorso di consulenza dello chef stellato Andrea Ribaldone che, insieme al resident chef Federico Sgorbini e al Restaurant Manager Fabrizio Ciccarello coordinano il ristorante. In cucina a sposarsi sono due spiriti diversi ma congruenti: quello affermato di Ribaldone che ripercorre i piatti della tradizione, filtrati attraverso l’immaginazione dello chef per dare vita a versioni nuove e rigenerate. Parole d’ordine: materia prima, genuino e territorio. Un menu studiato in collaborazione con il resident chef Federico Sgorbini. Tutto questo lo si è ritrovato nel menù proposto per la degustazione. A comunicare dalla primavera vegetale, gelato alla cipolla rossa di Breme. «Prodotti semplici, ben coniugati - come spiega Sgorbini - Il piatto è il frutto di una scelta meticolosa delle verdure».

Ad entusiasmare il palato è stato l’uovo della Valle Staffora, bianco e nero di seppia. Il nero del primo impatto viene completamente stravolto dall’apertura dell’uovo, il gusto è pieno e bilanciato. Cosa non semplice perché sono stati associati due prodotti completamente distanti come un uovo (rigorosamente di pollaio come spiegato dallo chef Sgorbini) ad un prodotto di mare come le seppie. In accostamento un must dell’Oltrepò pavese, ovvero il Metodo Classico rosé dell’azienda agricola Monsupello, personalità fresca ed elegante, ricca di vivaci note fruttate e floreali, prodotto con Metodo Classico e affinato per 18 mesi sui lieviti. A seguire gnocchi di ricotta, melanzane e pomodoro, si tratta di un piatto leggero, dai sapori equilibrati. In accostamento è stato servito un Riesling oltrepadano dell’azienda La Piotta, prodotto dal profumo intenso e ampio, caratteristico di questo vitigno internazionale. Ha una buona persistenza.

Sicuramente a catalizzare l’attenzione in tavola è stata la bavetta di manzo, ostriche e alghe. Sapori decisi, quelli di questo piatto così innovativo che ha saputo mixare due prodotti completamente antitetici. L’accostamento della maionese di ostriche al manzo si vede che è stato calibrato nei minimi particolari in quanto la prima non risultava stucchevole e ben accompagnava la bavetta. Al palato sembra un accostamento quasi naturale. Nel bicchiere è stato servito il Buttafuoco Storico della cantina Giorgi di Canneto Pavese. Si tratta di un vino strutturato, con buona alcolicità e con profumi intensi.

Quelli classici di questo vino che prende forma sulle colline sopra Stradella. A chiudere il dolce “Di Voghera? E che zuppa!”, una torta Paradiso imbevuta di caffè con disco di cioccolato accostata al passito Noblerot della cantina Montelio. A ripulire il palato ci ha pensato il Meccano, cocktail ideato dal bartender Luigi Barberis con Bourbon, St.German e spruzzo grintoso di soda di limone. Gusto deciso e torbato ma piacevole. Un fine pasto complesso. Un piacevole menù che ha espresso qualità, ricerca della materia prima e territorialità. Tre qualità tante volte osannate dagli chef, ma il più delle volte non rispettate. Qui ci sono.

Successo e gran classe in cucina, questa è la carta d’identità dello chef Andrea Ribaldone. Classe 1971, nasce a Milano anche se è il Piemonte a chiamare “casa”. Fin da bambino è amante della buona cucina, sono mamma e nonno infatti a metterlo sulla strada dei migliori ristoranti, fino al 2003 quando al ristorante La Fermata ottiene la prima stella Michelin. Uno chef con un grande spirito da imprenditore che nel 2012, senza abbandonare la passione viscerale per il cibo, fonda Arco srl, una società di consulenza e formazione, ricerca e valorizzazione, una fusione di collaboratori che coordinati da Ribaldone mettono a frutto la sua stessa esperienza al fine di migliorare la conoscenza del cibo italiano. Nel frattempo non si ferma e nel 2015 ottiene la stella nel suo ristorante I Due Buoi di Alessandria, aperto da poco più di un anno. Durante Expo coordina oltre 100 chef alla guida del Temporary Restaurant Identità Expo confermandosi ancora una volta “Chef Manager”.

Nel 2016 inizia la sua collaborazione anche in Puglia dove coordina, insieme a Domenico Schingaro, i sei ristoranti di Borgo Egnazia e, a marzo 2017, lascia Alessandria per aprire Osteria Arborina nella frazione Annunziata di La Morra, nelle Langhe, ottenendo in breve tempo la Stella Michelin. Da settembre 2018 cura l’intera ristorazione di Identità Golose Milano, il primo hub internazionale della gastronomia in via Romagnosi 3. Un personaggio dinamico e carismatico che ha scommesso su Lino, dando una scossa positiva al ristorante portavoce del territorio Pavese.

Per informazioni: www.ristorantelino.com

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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