Correlazione diretta tra innalzamento del tetto sul denaro contante e rischi di (ulteriore, incrementale, nociva) evasione fiscale? La risposta immediata, ma non per questo non meditata e non argomentata, porterebbe a dire di sì; un sì ancor più convinto in quanto reso autorevole dal recente studio di Bankitalia (ottobre 2021), dall’intrigante titolo “Pecunia olet”. Questo autorevole studio fornisce evidenza empirica sul nesso di causalità tra utilizzo del contante e incidenza dell'economia sommersa.
Ricordiamo che l’economia sommersa, ci sia consentito adesso un sorriso, che poi non ne avremo più occasione, è quell’economia fatta di transazioni tra fornitori e clienti, diciamo anche tra venditori e compratori di merci, tra erogatori e fruitori di servizio, dove la parola “fattura” è più probabile che evochi la maledizione, opportunamente confezionata dalla zingara o comunque da una maga esperta di magia nera, da mandare alla malcapitata persona invisa, piuttosto che il documento fiscale obbligatorio che viene redatto dal venditore, titolare di Partita Iva, per comprovare l’avvenuta cessione di beni o prestazione di servizi e il diritto a riscuoterne il prezzo. L’antidoto a quel tipo di fattura è l’aglio! Rieccoci a “Pecunia olet”.
Tetto al contante: le restrizioni utili a combattere l'evasione fiscale
Un aumento della quota di transazioni in contanti determina a parità di condizioni, un incremento dell'incidenza dell'economia sommersa. L’evidenza empirica, la si ebbe già nell’anno 2016 a seguito dell'innalzamento della soglia di uso del contante da 1.000 a 3.000 euro.
Fino a fine 2020 si poteva pagare in contanti fino a 3.000 euro. Questa soglia scese a 2.000 euro per il 2021, che sarebbero dovuti diventare 1.000 a partire dal 2022 se non fosse intervenuto il decreto Milleproroghe che ha posticipato la scadenza di un anno.
Lo studio di Bankitalia dimostra che le restrizioni all'uso del contante sono efficaci nel contrasto all'evasione fiscale.
Innalzamento del tetto ai contanti: a chi giova?
Il 26 ottobre Giorgia Meloni nel suo intervento al Senato, in replica alle dichiarazioni sulla fiducia, ha confermato le intenzioni della sua maggioranza sulla questione del tetto del contante e ha dichiarato la ferma intenzione di disporre gli strumenti idonei a ché il tetto (attualmente 2.000 euro) sia innalzato e portato, almeno stando qui alle indiscrezioni, a 5.000 euro.
È un bene? È un male? Poniamoci la domanda saggia, la domanda chiave che si pose Medea: cui prodest?, ovvero, a chi giova? A chi giova innalzare il tetto del contante così di fatto ampliando la fascia di non obbligatorietà del pagamento tracciabile? o, come per convenzione oramai usa dire, mediante POS?
Quale migliore costruzione di scenario se non ascoltare le opinioni dei ristoratori. Lo facciamo con zigzag su e giù per il Paese. Il risultato è sicuramente eterogeneo, ma tanti, se non tutti, concordano che il problema principale risieda altrove, nei costi delle commissioni per i pagamenti elettronici.
«Non è la ricetta perfetta»
Cominciamo da Bergamo. Alioscha Foglieni, patron insieme con il fratello Darwin del ristorante Ol Giopi e la Margì in centro città, serba arguta memoria del precedente innalzamento, quello dell’anno 2016: «L’innalzamento del tetto del denaro contante era già stato fatto in precedenza. La manovra comportò il rilancio del mercato e però creò al contempo maggiore evasione fiscale. Pertanto, a mio parere, forse non è questa la ricetta perfetta per curare il Paese. Per quanto riguarda i pagamenti elettronici bisogna accettare che ciò costituirà il futuro. D’altronde è un futuro che è già presente, visto che anche ora la maggior parte dei pagamenti viene effettuata tramite carta di credito o bancomat. L’ideale sarebbe rivedere le percentuali di commissione a carico delle nostre attività di ristorazione onde incentivarne l'uso».
Il problema delle commissioni bancarie
Da Bergamo andiamo nella Capitale e ascoltiamo l’opinione dell’oste metropolitano Arcangelo Dandini, chef e patron del ristorante L’Arcangelo, in centro città: «L’innalzamento del tetto contanti non mi provoca tutta l’indignazione che sento in giro da altre parti, visto che altri paesi europei hanno un tetto contanti maggiore del nostro. Importante in questi casi è quello di operare in maniera corretta al momento del pagamento e rilasciare le dovute ricevute fiscali o fatture. In Italia tante persone pagano contanti anche perché ci troviamo un costo spropositato di commissioni bancarie, cosa che invece, in gran parte dei Paesi non è così gravosa».
Dall’Urbe all’Abruzzo teramano, per la precisione a Civitella del Tronto (Te), ristoratore, ascoltiamo l’opinione di Daniele Zunica titolare del D&B Zunica1880: «Premesso che, in uno Stato serio e civile, insomma in uno Stato di diritto, le tasse bisogna pagarle per mantenere in piedi e modernizzare i servizi generali, sono favorevole all'innalzamento dell'uso del contante! La nostra categoria è attualmente tartassata da tasse e spese vergognose che ingrassano solo i gruppi bancari. Basta vedere a fine mese le percentuali dell'estratto conto relativo al mantenimento dei pos: percentuali da strozzinaggio! Inoltre, la buona cucina si realizza anche con grandi prodotti: se vuoi acquistare (come faccio io) dai contadini, dai pastori, dagli agricoltori, dai piccoli allevatori e non rivolgerti alla massificazione della grande distribuzione, occorrono i contanti!».
Eccoci quindi, dopo la disanima di tre casi, differenti per ubicazione e per tipologia (ristorante di città media, ristorante della Capitale, ristorante con albergo in pittoresco borgo) all’individuazione di un fattore comune: il disappunto circa le esose commissioni che le banche applicano allorquando i pagamenti avvengono mediante circuito bancario.
Proseguiamo andando dal borgo collinare di Civitella del Tronto (Te), alla frazioncina collinare di Caserta, la graziosa Casertavecchia. Ascoltiamo l’opinione di Gino Della Valle, patron del ristorante Gli Scacchi: «Un eventuale ritocco al tetto del contante (senza eccedere) non vuol dire per forza evasione fiscale. Questo auspicato lieve ritocco consentirebbe tra l'altro un calo delle spese del pos e una maggiore privacy».
Che dire!? Quattro ristoratori su quattro, siamo al cento per cento, individuano le commissioni applicate sulle transazioni mediante POS come punto dolente dello scenario.
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Pagare in contanti è un diritto
Restiamo in Campania, ci spostiamo nella Penisola della Penisola Sorrentina. Andiamo a Sant’Agata sui Due Golfi ed ascoltiamo l’opinione di Livia Iaccarino (Don Alfonso 1890): «Credo che la scelta di pagare in contanti sia soprattutto delle persone anziane che non posseggono carte di credito e questo diritto nessuno glielo può negare visto che i soldi sono i loro! Il pagamento elettronico è utilissimo; sarebbe impensabile non averlo, ma il servizio deve funzionare senza le tante spese aggiunte che purtroppo invece si sono».
Il conteggio continua: siamo sempre al cento per cento! Cinque su cinque individuano nel fardello delle commissioni bancarie ritenute eccessive, il vero problema.
Ancora in Campania, nell’Alto Casertano, e precisamente a Teano, per ascoltare l’opinione di Pietro Balletta, chef e patron della Locanda de Foris: «L’innalzamento del tetto del contante mi dà modo di poter operare meglio, però portare questo tetto a 10.000 euro io lo vedo un po’ esagerato. Circa i pagamenti elettronici, noi in Italia non siamo ancora pronti visto i costi delle operazioni».
Che dire?! Sei su sei!
«Mi piacerebbe tutti pagassero con il Pos»
Da Teano, dove avvenne l’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, si va in Costa Adriatica di Romagna, precisamente nella bella Cattolica, per ascoltare l’opinione di Raffaele Liuzzi, chef e patron del ristorante Locanda Liuzzi: «Premesso che sono un cuoco e non un economista, ho capito dalla mia esperienza personale di ristoratore che il contante detto anche nero è quello che fa girare l'economia del superfluo come la ristorazione e la moda. Per mio conto, avrei molto piacere a ché tutti i clienti pagassero il conto mediante POS, ma ciò non avviene spesso in quanto permangono ritrosie nel lasciare traccia del proprio tenore di vita. A situazione reciproca, ovvero io cliente dei miei fornitori, io preferisco saldare le fatture sempre mediante pagamenti elettronici».
Si leva il grido “il re è nudo”, ovvero si fa riferimento palese all’economia sommersa, essa assimilando alla rotella piccola di un ingranaggio ben funzionante. È la rotella piccola, d’accordo, però è essa che concorre a movimentare la rotella grande.
Pagamenti elettronici: sicuri e veloci
Torniamo in Campania, precisamente in Costiera Amalfitana per ascoltare l’opinione di Sal De Riso, patron della Pasticceria Sal De Riso a Minori (Sa): «Personalmente non trovo alcun disagio nel ricevere dai miei clienti pagamenti con carte di credito. Preferisco i pagamenti elettronici, che sono sicuri e veloci. Non trovo necessario aumentare il tetto del denaro contante, anzi credo che sia giusto incentivare il pagamento elettronico con delle formule che possano dare vantaggio agli clienti e ai commercianti. Ai clienti che pagano con carta di credito darei dei premi per ogni 10.000 euro spesi e la possibilità di scaricare fiscalmente tutti i pagamenti tracciati per qualsiasi acquisto. Ai commercianti e a tutti gli operatori, eliminerei i costi bancari inerenti ai pagamenti effettuati con carte di credito, abbassando il più possibile la pressione fiscale. Sarebbe l’unico modo per eliminare pagamenti non tracciati e il lavoro nero».
Con Sal De Riso si palesa l’opinione di quanti ritengono inutile, se non proprio dannoso, aumentare il tetto del contante.
E chiudiamo questa survey recandoci a San Gimignano (Si), da Sergio Dondoli, patron della Gelateria Dondoli: «Per quello che riguarda la mia attività l’innalzamento del pagamento contante non cambia assolutamente niente. Oramai il pagamento con carta ha preso una strada che è inarrestabile, quest’anno credo di aver raggiunto almeno il 60%. Per me, ed agevolmente presumo che lo sia per tanti colleghi, vi è il disagio del costo annesso ai pagamenti elettronici. Io ho sei pos per smaltire la fila, con costi conseguenti che diventano davvero esosi. Il secondo disagio è il tempo che si perde a causa dei malfunzionamenti: c’è la fila e la carta non funziona, oppure il pos non ha linea, sebbene io lavori con due operatori diversi; puoi anche sbagliare a digitare, a volte incassi due volte e neanche te ne accorgi ed allora sono problemi perché giustamente il cliente ti richiede la restituzione dei soldi. Insomma, sono beghe e basta. Quanto era bello il tempo con il denaro vero: tintinnio di monete e frusciare di banconote!».
Insomma, vada come deve andare, la tendenza è forte e vistosa, però attenzione ai costi di gestione dei pagamenti elettronici.
Senza commissioni tutto andrebbe alla perfezione
Pur tesaurizzando i distinguo, che arrecano valore alla comprensione del composito scenario, focalizziamo l’attenzione su quanto appare essere il fattore comune determinante: il lamento circa il costo delle commissioni dovute al player bancario per assolvere al suo ruolo di innesco e di garanzia di buon fine del pagamento cosiddetto elettronico.
Se le banche elidessero queste commissioni, tutto funzionerebbe a meraviglia, gli esercenti sorriderebbero ai clienti che si avvicinano alla cassa con la plastic card, porgerebbero loro il POS e probabilmente ringrazierebbero il cliente all’incirca dicendo così: «Grazie, caro cliente, per aver pagato con moneta elettronica: ci hai tolto il fastidio ed il pericolo del maneggio contante, ci metti nelle condizioni di fare e-treasury con la nostra banca e, pensa, essendo tutta la mia attività gestita da software, in funzione di cosa hai comprato, io movimento anche magazzino, ordine a fornitore, pagamenti vari (anch’essi, va da se, mediante moneta elettronica) e, last but not least, sto contribuendo nel mio piccolo a debellare, diciamo meglio a decrementare il flagello dell’evasione fiscale che a me, contribuente ligio e onesto, proprio non tollero che ancora esista».
Quindi, orsù, care banche, fate il vostro dovere e azzerate i costi di commissione per il servizio che date. Così facendo amplierete ulteriormente il vostro mercato, disporrete di un database grazie al quale imposterete attività di marketing che al confronto quelle di oggi sono poca cosa, e alla fine il vostro business sarà ancora più profittevole rispetto all’attuale.
Insomma, per uscire dallo stallo, per vanificare il dibattito, esso rendendo sterile in origine, dell’opportunità o meno dell’innalzamento del tetto del contante, sarebbe sufficiente il beau geste delle banche: azzeramento, o almeno riduzione considerevolissima, dei costi attinenti alle spese di commissione dell’utilizzo dei POS. Tali costi si sostanziano da una parte, nel pagamento di un costo fisso per transazione (è un costo applicato da alcune banche che si aggira attorno ai 10 centesimi, e che sui pagamenti inferiori ai 10 euro pesa fino all’1% sull’incasso), e dall’altra nel pagamento di un costo percentuale per transazione (tale costo dipende dal tipo di carta e dal circuito utilizzato). Ragionevolmente si tratterebbe di abolire o il costo fisso per transazione o il costo percentuale per transazione. Far permanere entrambe le tipologie di costi, zavorra l’andamento dell’attività dell’esercente.
Tra l’altro i banchieri che si accingono a questo beau geste, non fanno altro che emulare quanto anni addietro fecero i ristoratori quando motu proprio abolirono quella fastidiosa gabella tutta italiana che andava sotto il nome di “coperto”.
Difatti, così come i ristoratori abolirono motu proprio la voce “coperto”, così parimenti i banchieri a breve aboliranno i costi (almeno uno dei due) attinenti al funzionamento dei POS.
Ma come si fa a non essere ottimisti?!
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Alberto Lupini
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