Tavoli a 4 metri? Follia dei tecnici Così si uccidono i ristoranti

L'indiscrezione, non confermata, di una distanza di 4 metri fra i tavoli come condizione per poter riaprire ha scatenato la rabbia della imprese e una durissima presa di posizione della Fipe. . Così staremo chiusi e un milione e 250mila persone vivranno sulle spalle dello Stato, taglia corto Lino Stoppani

10 maggio 2020 | 06:30
di Alberto Lupini
Un tavolo ogni 4 metri significa condannare a morte la stragrande maggioranza dei pubblici esercizi italiani. Almeno 8 su 10 non potrebbero riaprire. Già la distanza di due metri (che è quella mediamente applicata in Asia e già decisa da alcuni Paesi europei, come la Svizzera) creerebbe grandissimi problemi a molti locali, ma per un periodo transitorio si potrebbe forse tentare. Con 4 metri è impossibile. È bastato che nel pomeriggio di sabato prendesse sempre più corpo l'indiscrezione che il comitato scientifico che ha commissariato l'Italia si orientasse su questa decisione perchè esplodesse la rabbia e la disperazione di tanti gestori che già accettavano con disagio le tante limitazioni di cui si parla.  E tutto ovviamente senza alcuna conferma o dichiarazione ufficiale, secondo lo stile di un Paese che sembra governato ormai da incapaci e incompetenti la cui unica preoccupazione sembra quella di fare annunci su annunci e fare conferenze stampa a cui non seguono fatti. Pensiamo all'assenza a oggi di sostegni economici per rimprese e lavoratori del turismo.


Aspettando la fine dell'epidemia finiranno così i ristoranti italiani?

La preoccupazione ora è però davvero tanta, al punto che nel  tardo pomeriggio la Fipe ha preso una posizione durissima contro il Governo che continua a fare melina rinviando giorno dopo giorno, non solo le decisioni su "quando" riaprire (il 1° giugno o il 18 maggio in alcune regioni?), ma anche e soprattutto su "come" . A scendere in campo per primo è stato il vicepresidente vicario della federazione, Aldo Cursano, che senza mezzi termi aveva dichiarato:«Se si vuole uccidere la ristorazione italiana basta applicare quanto è stato ipotizzato: 4 metri o 2 metri di distanziamento significa non rendersi conto dei nostri modelli legati al familiare, al modello della piccola impresa. Pensare a 4 metri di distanziamento significa escludere dalla ripresa l'80% di questo modello». Sottolinea il «senso di responsabilità avuto fin ora dall'associazione e dalla base associativa», Cursano è andato oltre affermando che  «qualcuno sta scegliendo la fine di un modello» ed «ognuno si deve assumere le proprie responsabilità. Già ad aprile avevamo ipotizzato che 50 mila imprese non avrebbero più riaperto e 300 mila lavoratori avrebbero perso il lavoro. Le nuove indicazioni significano la chiusura definitiva della maggior parte delle imprese. Dietro le nostre aziende non ci sono capitali ma c'e' lavoro, amore passione voglia di condividere». 

«D'altronde come si fa a far ripartire un Paese senza la ristorazione, senza tenere in piedi il nostro modello di servizio?», si chiede ancora Cursano, ricordando che l'associazione ha consegnato già da tempo le proprie proposte al governo e alla task force, fra cui un apposito protocollo di tutela per tutte le nostre aziende e per i suoi lavoratori, sul quale il Governo non ha dato peraltro ancora alcuna risposta.

Fra 1 metro (che è quanto propone il protocollo Fipe) e i 4 metri delle indiscrezioni non confermate del comitato scientifico  non ci sono solo 300 centimetri di differfenza, ma il futuro di 300mila imprese. Non è più tempo di mediazioni, compromessi o meline. Questo Governo deve decidere se vuole uccidere il turismo italiano o, con tutte le cautele del caso, se vuole fare come si fa in tutto il mondo e garantire una riapertura controllata di bar e ristoranti . Ma si devono stabilire subito, regole e tempi. E già oggi ci vuole un chiarimento su queste distanze. Ciò che non è più accettabile è che un gruppo di supposti tecnici ed esperti, nessuno dei quali si è mai occupato di turismo (comparto che da solo vale quasi un terzo del pil italiano considerando tutto l'indotto collegato), possa permettersi di lasciare filtrare indiscrezioni come se stessimo parlando della presidenza di qualche ente (che è poi l'unica vera cosa che sta creando discussioni  e divisioni nella maggioranza). E se poi si scoprisse, come ci auguriamo, che si tratta solo di un'indiscrezione buttata lì per saggiare gli umore del comparto, sarebbe il caso di chiedere le dimissioni di qualche tecnico e qualche ministro...


Lino Stoppani e Aldo Cursano

Un ultimo appello alla responsabilità della politica è giunto in serata dal presidente della Fipe, Lino Stoppani, che pur senza nominarlo ha chiesto al premier Giuseppe Conte di prendere posizione una volta per tutte. «I casi sono due: o si riaprono i locali, dando ai ristoratori la possibilità di lavorare in sicurezza, con protocolli organizzativamente praticabili ed economicamente sostenibili, seppur con capienze ridotte, oppure - ha detto senza mezzi termini - è preferibile tenere tutto chiuso. A quel punto lo Stato dovrà in qualche modo aiutare 1,25 milioni di persone che dovranno vivere sulle sue spalle, almeno fino quando il Coronavirus sarà stato vinto».

«Noi ristoratori - ha proseguito Stoppani - crediamo che si possa riaprire garantendo la sicurezza sanitaria dei nostri avventori e quella economica degli imprenditori senza le esagerazioni che circolano. Per questo abbiamo promosso un protocollo sanitario per il settore, redatto con il contributo di un virologo, e lo abbiamo trasmesso al governo. A distanza di 10 giorni non abbiamo ancora ricevuto nessun riscontro, anche se sollecitato. È inaccettabile questo modo di operare, sbagliato nel metodo, perché vengono imposte regole calate dall’alto, senza un costruttivo confronto con la categoria. E sbagliato nel merito, perché impone procedure lontane dalle realtà del settore che dovrebbe applicarle».

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