Rosso, giallo o arancio I ristoratori vedono solo nero

Un pubblico esercizio su due chiude domani: un dramma per ristoranti, bar e pasticcerie, ma anche per tutta la filiera agroalimentare di qualità che non ha più un mercato di sbocco . Servono aiuti immediati per sostenere esercenti e produttori perchè entrambi sono indispensabili al sistema Italia

05 novembre 2020 | 08:30
di Alberto Lupini
Fra regioni rosse e arancio saranno almeno 150mila, i ristoranti, i bar, le pizzerie, le pasticcerie e gli agriturismi, che chiuderanno in quello che a tutti gli effetti (salvo la possibilità di andare dal parrucchiere) è un nuovo lockdown. E poi c'è il resto d'Italia dove comunque si lavorerà con forti limitazioni. Il che significa, euro più, euro meno, un’altra perdita secca di 3,8 miliardi per il mondo dei pubblici esercizi. E c’è solo da sperare che per l’incapacità dei nostri politici di tutelarci per tempo, si possa arrivare ai primi di dicembre avendo almeno allentato la corsa del covid-19.


Per restare alle sole zone rosse parliamo di almeno 90mila pubblici esercizi, il 27% del totale, con 1,6 miliardi di euro di consumi in meno e 306mila lavoratori costretti a casa. Un nuovo disastro annunciato, al punto che per la Fipe «quello che si sta abbattendo sulle imprese della ristorazione è un vero e proprio tsunami  Come testimoniano i dati del registro delle imprese del settore camerale, infatti, la situazione dei pubblici esercizi era già drammatica prima dell’ultimo provvedimento, con 10mila imprese in meno tra marzo e ottobre 2020, rispetto allo scorso anno. È dunque quanto mai necessario ampliare la dotazione economica del decreto Ristori e far fronte alle ulteriori criticità che si andranno a creare nelle zone rosse e arancioni».

Il disastro della Lombardia
In alcune regioni sarà magari anche facile, in altre, Lombardia in testa, sarà davvero una scommessa molto difficile da vincere. Proprio dove più duramente aveva colpito il contagio nei mesi scorsi, siamo rimasti infatti al palo per quanto riguarda assunzione di medici o infermieri. Per non parlare dello scandalo dei mancati acquisti di vaccini antinfluenzali, che condannano gli anziani a rimanere in balia anche di un altro virus, non meno pericoloso dopo una certa età, almeno fino alla fine del mese. E questo per la presunta efficienza di un assessore (sì, proprio Gallera) che nelle settimane in cui bergamaschi o bresciani morivano a centinaia, si permetteva di autocandidarsi a sindaco di Milano… Per non parlare del Governatore tentenna, Fontana, che oggi come a marzo, protestava e strillava contro chi chiedeva di creare zone rosse in Lombardia per non far tracimare il virus ovunque. Un malinteso senso di difesa degli interessi regionali a scapito degli interessi collettivi.

E Arcuri gioca con le rotelle
Ma tant'è, e anche grazie a questi politici, non certo peggiori di quelli al Governo che hanno lasciato gestire tutta la fase di preparazione a questa emergenza ad un boiardo di Stato come Arcuri che dopo essersi divertito con le rotelle dei banchi scolastici, ha chiuso solo due giorni fa alcuni bandi per allestire nuove terapie intensive. E così ci ritroviamo in lockdown e ancora una volta chi paga il prezzo più alto sarà il mondo dei pubblici esercizi, già stremato da chiusure, riduzione di posti, investimenti per la sicurezza e orari ridotti. E che nessuno si lamenti poi se anche nella civilissima Lombardia si arriveranno ad altre manifestazioni di protesta come quelle che l’altra sera hanno violentato anche il centro di Brescia.

Chiudono i pubblici esercizi e crolla tutta la filiera agroalimentare
Nelle regioni ad alta o massima gravità saranno di fatto sospese tutte le attività di somministrazione di cibo e bevande, salvo le sole consegne a domicilio o l’asporto fino alle 22. Oltre 50mila di questi locali sono in Lombardia che anche da questo punto di vista resta l’area più colpita. Tenendo conto delle limitazioni per gli altri locali attivi nelle regioni meno a rischio (dalle 5 alle 18 possono restare aperti) si innesca un meccanismo perverso che rimetterà in crisi non solo il mondo dell’Horeca, ma anche quello della collegata filiera agroalimentare di qualità, che da mesi non sa come riuscire a collocare alimenti che non sono in genere andati nella grande distribuzione. Ci saranno effetti negativi a cascata che colpiranno dalle cantine ai caseifici che solo nei pubblici esercizi avevano uno sbocco commerciale.

Servono aiuti immediati
Inutile dire che ora più che mai c’è la necessità di sostenere in modo urgente tutto il mondo che dalla terra alla tavola non solo ci permette di vivere (fra un po’ potrebbe essere sopravvivere…), ma anche di vivere meglio e di poter immaginarci una ripresa che non potrà non passare da questa realtà, che è sintesi ed emblema dello stile di vita italiano, nonché uno degli asset del nostro turismo e delle nostre esportazioni. Ma oggi più che mai si deve fare una scelta di campo sapendo che per ogni ristoratore che sopravviverà ci saranno dei produttori che potranno sperare di riprendersi anche loro, mentre per ogni tavolo del fuori casa che si perderà, saranno anche prosciutti o pesce che non troveranno domani un mercato di sbocco. Il Governo non può pensare di giocare coi “ristori” come fatto finora. Siamo giunti a questo punto non certo per colpa di contadini, baristi o cuochi. Da oggi si chiude, da domani devono arrivare i rimborsi… Il che vuole dire aprire la liquidità, tema sul quale è sempre la Fipe «è indispensabile siglare un patto con il sistema bancario. Oggi le nostre imprese vengono percepite come poco affidabili e questo rischia di compromettere anche le misure di sostegno al credito messe in campo dal governo. Ecco perché non c’è più un minuto da perdere: senza un’iniezione immediata di liquidità, l’ecatombe imprenditoriale e occupazionale rischia di diventare irreversibile».

 

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