Ristoratori in piazza a Pavia: «Se ci chiudono, vogliamo ristori "alla tedesca"»

Alle 18, protesta pacifica in Piazza della Vittoria che non ha nulla a che fare con "Io Apro". Le richieste: direttive chiare su aperture e chiusure, cassa integrazione e ristori tempestivi e adeguati

15 gennaio 2021 | 14:00
di Stefano Calvi
A Pavia si mobilitano ristoratori, baristi e imprenditori legati al turismo, all’accoglienza e alle attività sportive per dire “basta” alle aperture ad intermittenza e alle chiusure anti-Covid imposte dal Governo che stanno mettendo in ginocchio il tessuto economico dell’intera provincia di Pavia.

Direttive chiare su aperture e chiusure e, laddove sia necessario tener chiuso, cassa integrazione e ristori tempestivi e adeguati alle perdite reali delle imprese e dei dipendenti.


Si mobilitano ristoratori, baristi e imprenditori legati al turismo, all’accoglienza e alle attività sportive 

Protesta pacifica in Piazza della Vittoria
A chiederlo sono un gruppo di ristoratori della provincia di Pavia che, dopo aver lanciato la pagina Facebook “Basta stare in silenzio” (che in meno di 24 ore ha raccolto oltre 700 adesioni), si preparano, venerdì 15 gennaio alle 18, a scendere in Piazza della Vittoria a Pavia per una manifestazione pacifica di dissenso.

La mobilitazione spontanea che si sta diffondendo a macchia d’olio è nata sulle sponde del Ticino, in quel di Linarolo, nel ristorante di Paola Tronconi e Edoardo Verri, entrambi patron dello storico ristorante Le Rubinie del Po, trovando l’appoggio di moltissimi colleghi anche di altri settori da ogni parte della provincia.


Edoardo Verri

Se chiusi, ristori come ai colleghi europei
«Chiediamo semplicemente di aprire, la cosa migliore e più ovvia - spiega Paola Tronconi - Non è possibile? Allora dobbiamo avere la sicurezza di ricevere ristori e che devono essere commisurati alle perdite che abbiamo subito e al periodo di chiusura. Vogliamo dei ristori che siano in linea con quelli che sono stati dati ai nostri colleghi di altri paesi europei che sono chiusi quanto noi. Chiediamo la certezza della cassa integrazione per i nostri dipendenti che non deve arrivare dopo mesi, ma accreditata sui loro conti correnti un giorno preciso del mese, come facciamo noi imprenditori con i loro stipendi».

Il danno è lavorare a intermittenza
«Nessuna negazione della pandemia, anzi!», e lo dice uno come lo chef Edoardo Verri che porta ancora i segni del Covid provato purtroppo la scorsa primavera, ma, come sottolinea anche Paola, il diritto al lavoro è sancito dalla Costituzione. «Ci fanno aprire due giorni, ci chiudono per altri due. Lavoriamo ad intermittenza da ormai dieci mesi – spiega “Edo” Verri, ristoratore ed esponente della Federazione Italiana Cuochi di Pavia – L’incertezza fa male e psicologicamente ti distrugge. Poi c’è il problema della materia prima che va letteralmente buttata, con costi enormi buttati al vento. Noi ci siamo inventati e reinventati più volte ma ora siamo ridotti tutti, indistintamente dalle categorie di appartenenza, sul lastrico. Siamo disperati. Lo Stato, solo qualche settimana fa, ci ha chiesto acconti vari per il nuovo anno: ma come facciamo a pagarli? Per non parlare delle tasse che sono pressanti, i ristori non arrivano e la cassa integrazione non si vede. Alcuni imprenditori che hanno aderito alla nostra iniziativa, non sanno più come andare avanti. Le loro attività sono compromesse».

Niente a che vedere con “Io Apro”
Alla manifestazione di venerdì 15, alle 18, a Pavia, che, spiegano i promotori, sebbene concomitante non ha nulla a che fare (se non il malcontento di base) con quella nazionale “Io Apro” che sprona alla disobbedienza, sono stati invitati anche rappresentanti delle istituzioni e autorità. Così lo chef Edoardo Verri: «Siamo semplicemente un gruppo di partite iva, senza colori politici, che vogliono dire pacificamente, rispettando tutte le norme imposte dal governo, la loro opinione in merito alle restrizioni. Ribadiremo di poter svolgere, in tutta tranquillità e sicurezza, il nostro lavoro. Quello che ogni giorno cerchiamo di fare nel migliore dei modi».

Insomma, “Basta stare in silenzio”, i ristoratori si preparano a scendere in piazza.

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