Il ristorante in albergo: vecchio relitto o nave ammiraglia del fine dining?

Negli ultimi anni, i ristoranti d’albergo hanno subito una trasformazione, passando da opzioni di ripiego a veri e propri hub di fine dining. Grazie all'investimento in chef di alto livello e all'innovazione , sono diventati mete gastronomiche ambite sia per ospiti interni che esterni

26 settembre 2024 | 05:00
di Alberto Lupini

Sarà perché in Italia stanno finalmente investendo le più importanti catene degli hotel a 5 stelle, o magari solo perché non si conosce bene la storia della Cucina italiana. Sta di fatto che negli ultimi tempi sembra essersi acceso un faro sulla ristorazione d’albergo, tanto che non pochi ne parlano come della nuova frontiera del mangiare bene. Ma è davvero così? Una cosa è certa: fino a una decina di anni fa, dire "ristorante d’albergo" evocava scene di buffet desolati, piatti serviti con la stessa passione di una fila all'ufficio postale, e camerieri che avrebbero fatto rabbrividire anche il più clemente dei critici gastronomici. Ma ecco la sorpresa: secondo molta stampa, quegli stessi ristoranti non solo starebbero rinnovando il proprio status, ma sfiderebbero direttamente i migliori locali di fine dining del pianeta (identificati invece come l’anello oggi debole del comparto). E a leggere certi articoli sembra che questo format (ristorante d’albergo) sia destinato a definire il futuro della gastronomia. E se invece fosse solo un revival temporaneo o una sorta di ritorno al futuro?

La risposta, come spesso accade, non è bianca o nera. Anche perché, come spesso accade in Italia, di tutta un’erba si fa un fascio (senza riferimenti politici...) e si sorvola sui particolari. Se infatti è vero che molti ristoranti che sono in hotel hanno oggi successo, è perché sono ristoranti “in hotel”, e non già ristoranti “di hotel”. La distinzione non è semantica, ma sostanziale. Parliamo di locali che sono fisicamente “dentro” lo stabile di un albergo (spesso all’ultimo piano), ma non sono i ristoranti dell’albergo che fanno servizio per chi dorme in hotel. Le due formule sono infatti molto diverse, e anche se spesso hanno cucine e brigate in comune, hanno stili e proposte molto diverse. Questa distinzione permette di affrontare con più chiarezza un ragionamento che andrebbe poi ulteriormente approfondito. Un conto è parlare di ristoranti in grandi hotel, per lo più in città, e un altro di ristoranti di qualità che si sono trasformati in piccoli alberghi o in locande, per ospitare magari i clienti gourmand che preferiscono fermarsi a dormire dopo una cena importante.

Per questo articolo ci limitiamo a considerare i ristoranti che sono dentro un hotel, ma sono anche aperti al pubblico esterno. In questo caso, i fattori di successo sono dati dalla location (pensiamo alle grandi terrazze di Roma), al servizio e a chi c’è in cucina. Se la brigata è guidata da un talento con una visione ben chiara, capace di sfidare le convenzioni e innovare, allora il ristorante d’albergo diventa una vera calamita per gourmet. Se invece parliamo di un menu pensato per accontentare solo i gusti standardizzati del turista di passaggio, siamo tornati alla casella di partenza. Quindi, la domanda resta: i ristoranti “negli alberghi” sono qui per restare e innovare, oppure ci troviamo di fronte all’ennesima moda passeggera?

Il recente passato: hotel e ristoranti come due mondi separati

Partiamo dalla verità che nessuno vuole sentire: per anni, la ristorazione d’albergo era l'ultima spiaggia per chi non voleva avventurarsi fuori dalla lobby. Non c'era la necessità di stupire, innovare o creare un’identità culinaria. E perché mai avrebbero dovuto farlo? Gli ospiti non cercavano esperienze culinarie rivoluzionarie. Si accontentavano di hamburger, pasta e, se andava bene, una pizza surgelata. La cucina esisteva per soddisfare una funzione primaria: nutrire senza rischiare. Una realtà che deriva dalla “rivoluzione” degli anni Settanta quando, su spinta in particolare di Gualtiero Marchesi, i cuochi di valore abbandonarono i grandi alberghi (gli unici luoghi dove per decenni si è proposta l’alta cucina, per lo più di impostazione francese) per mettersi in proprio e aprire la stagione dei “ristoranti” autonomi. Il cuoco sarebbe destinato a diventare il protagonista, eclissando il maitre, che in passato era il vero protagonista dell’alta cucina. Ma questa è un’altra storia…

Da lì era partita la caduta di qualità della ristorazione d’albergo in Italia (ma non nel mondo, dove alzi i cuochi italiani hanno fatto la fortuna di molte catene alberghiere) che è durata fino ai primi anni del nuovo millennio, quando è successo qualcosa. L’ospite medio ha smesso di essere "medio". Con la globalizzazione, le informazioni e le aspettative dei viaggiatori sono cambiate. Non si accontentavano più del semplice nutrimento, volevano essere soddisfatti e magari sorpresi. La ristorazione d’albergo doveva smettere di essere un ripiego per chi non aveva altre opzioni. Il viaggiatore moderno vuole vivere un'esperienza completa. E qui si è acceso il campanello d’allarme per gli hotel di lusso che, come Italia a Tavola va illustrando da anni, si sono accorti che forse valeva la pena di investire su quest’area della loro attività. Da qui la ricerca di cuochi e personale più qualificato e la creazione di format aperti al pubblico.

Il risveglio: quando gli hotel hanno capito che la ristorazione poteva diventare il loro asso nella manica

A un certo punto, qualche mente brillante nel management alberghiero ha capito che la ristorazione poteva trasformarsi da semplice servizio in un vero magnete per clienti, un fattore decisivo nella scelta di un hotel. Gli ospiti di fascia alta cominciavano a preferire strutture dove potevano vivere un’esperienza gastronomica degna di nota, senza dover uscire. E cosa di meglio di puntare allora anche sull’opportunità di aggiungere alle 4 o 5 stelle per le camere dell’albergo, anche quelle della Michelin per i tavoli? Il rapporto fra ristorante e albergo si è completamente ribaltato. Da luogo funzionale e spesso secondario, è diventato un hub di innovazione e qualità, tanto che in alcuni casi il ristorante è persino più famoso dell’hotel stesso. Non sono più solo i clienti interni a sedersi ai tavoli, ma anche ospiti esterni, che prenotano un tavolo per vivere un’esperienza esclusiva, anche senza passare la notte in hotel.

La rinascita dei ristoranti in albergo: tra innovazione e tradizione

Oggi, alcuni dei più noti chef del mondo lavorano nei ristoranti dentro gli alberghi, e non per obbligo, ma per scelta. Non si tratta di scaldare piatti preconfezionati, ma di creare esperienze culinarie memorabili, capaci di far parlare di sé nei circoli della gastronomia internazionale. Alcuni esempi chiave mostrano quanto i ristoranti in hotel siano riusciti a reinventare il fine dining, abbandonando la mediocrità del passato per abbracciare l’innovazione.

A Milano: innovazione, sostenibilità e il ristorante come vetrina globale

Milano, con la sua ossessione per il design e la moda, non poteva non trasformare anche la ristorazione in un'esperienza di lusso. Pensiamo alle prime esperienze del Four Season con Segio Mei, per giungere al Park Hyatt o al Mandarin Oriental, dove i ristoranti interni brillano a 2 stelle. Sono ristoranti dove non si cerca di stupire con piatti elaborati, ma propongono una fusione tra tradizione e innovazione che riesce a raccontare una storia attraverso ogni portata. Il ristorante non si limita a servire i clienti dell’hotel: diventa una destinazione di per sé. E ancora c’è il Nobu all’hotel di Armani o quello di Romito al Bulgari Hotel, icone della cucina unite alla moda, a dimostrare quanto un ristorante d’albergo possa essere all’avanguardia. Il fatto che Nobu Matsuhisa avesse deciso di aprire qui uno dei suoi ristoranti la dice lunga su quanto Milano fosse diventata un punto di riferimento anche per chi è abituato a cucinare nelle capitali del mondo.

Milano aveva capito un concetto chiave: il ristorante in albergo non può essere solo un luogo dove nutrirsi, ma una vetrina del lusso e del design, dove il piatto diventa quasi secondario rispetto all’esperienza totale. La clientela milanese, abituata a standard altissimi, non si accontenta di meno. E il fatto che questi ristoranti abbiano successo in una città che vive di estetica e status dimostra che la ristorazione d’albergo può essere uno degli ultimi baluardi del fine dining di qualità.

Il fattore esperienza: perché oggi il ristorante d’albergo non vende solo cibo, ma emozioni

Oggi, l’atto di andare a mangiare fuori non è più visto come un semplice momento per riempirsi lo stomaco. Mangiare è diventato un’esperienza emotiva e sociale. Gli hotel, capendolo, hanno iniziato a costruire i loro ristoranti non solo per servire buon cibo, ma per offrire un viaggio emozionale, una storia da vivere. Questo cambiamento di mentalità ha trasformato il cliente medio in un ricercatore di emozioni, che si aspetta un servizio impeccabile, piatti sorprendenti, ma soprattutto una narrazione dietro ogni portata.

In questo senso, Roma ha dimostrato come l’esperienza possa essere portata al massimo livello. Parliamo di "La Pergola" al Rome Cavalieri, dove Heinz Beck ha trasformato la cucina italiana in un’esperienza sensoriale totale. Ogni piatto non è solo pensato per il palato, ma anche per l’occhio, per l’anima, per il cuore. La sostenibilità diventa parte integrante della narrazione: gli ingredienti biologici e l’attenzione al rispetto della terra si sposano perfettamente con la grandezza dei sapori.

Ma Roma non si accontenta solo di "La Pergola". C’è anche "Aroma" al Palazzo Manfredi, dove la vista sul Colosseo è la vera star del ristorante. Sì, i piatti sono eccellenti, ma la combinazione di cibo e panorama rende l’esperienza impossibile da replicare altrove. Aroma è la dimostrazione perfetta di come un ristorante d’albergo possa vendere non solo cucina, ma un intero pacchetto di sensazioni. È l’esperienza a definire il successo, e Roma lo ha capito. E che dire de Il Vizio all’hotel Bernini (con la più bella vista dallalto della capitale), della Terrazza all’Eden, di Idylio al Pantheon o di Imàgo all’Hassler, solo per citarne alcuni.

Il futuro del fine dining è negli hotel?

Dopo aver visto come le principali città italiane abbiano saputo reinventare il concetto di ristorante in albergo, la domanda resta: questi luoghi sono davvero il futuro del fine dining o si tratta solo di una parentesi momentanea? La risposta potrebbe sorprenderti. Il ristorante d’albergo ha una carta vincente rispetto a quelli indipendenti: la clientela di base. Gli hotel di lusso ospitano viaggiatori facoltosi che si aspettano il massimo da ogni singolo aspetto del soggiorno. E il ristorante non fa eccezione. Ma la vera sfida è riuscire a mantenere alto il livello anche per i clienti esterni, quelli che vengono a cenare apposta senza pernottare. Qui sta la grande differenza tra un ristorante d’albergo medio e uno eccellente. Un ristorante d’albergo che sa come attrarre clienti dall’esterno è destinato a durare. E non si tratta solo di servire piatti di alta qualità, ma di costruire un’identità, una filosofia culinaria che rispecchi i valori del luogo e della clientela.

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