Per dare un futuro a bar e ristoranti ecco i 6 progetti da realizzare
Li ha proposti la Fipe in occasione dell'audizione parlamentare sul Dpcm. Da un prolungamento al 2021 di molti aiuti a norme per "accompagnare" le migliaia di aziende che chiuderanno . Serve una strategia generale per sostenere un comparto strategico e per evitare ripercussioni pesantissime su tutta l'economia
1. Ristoro economico
2. Riduzione dei costi operativi
3. Generazione di liquidità
4. Stimolo della domanda
5. Stimolo degli investimenti
6. Riordino del mercato
Molti operatori del comparto sono esasperati e le manifestazioni di protesta, al netto delle azioni violente di estremisti, ne sono una dimostrazione. È vero che in quasi tutto il mondo, dal dirigismo comunista della Cina al negazionismo trumpiano, si è arrivati a chiudere i pubblici esercizi, ma forse in nessun Paese l’accoglienza ha un peso socialmente così rilevante come in Italia. In Germania pesa esattamente la metà. Ma in Italia le risorse per le imprese sono fra le più basse a disposizione. E ciò che preoccupa maggiormente è l’assenza di una qualche strategia politica per immaginare il futuro a breve di queste aziende. Al netto dei soliti proclami un po’ demagogici (del Governo come delle opposizioni), si procede solo con interventi tampone (e di fatto assistenzialistici). Non c’è alcun progetto per riorganizzare e rendere più forte un comporto che in prevalenza si poggia su piccole realtà famigliari, spesso sottocapitalizzate e magari con problemi a livello del personale. E in più sono troppi i Ministeri fra cui sono frazionate le competenze del settore. Ed è su queste basi che, ancora una volta, per supplire a quella carenza di visione generale da parte delle istituzioni la Fipe lancia il suo progetto in 6 punti per garantire un futuro a bar e ristoranti. Ma vediamo in sintesi alcune delle azioni proposte.
1. Ristoro economico
È il punto forse più semplice e su cui la Fipe ricorda che i pur apprezzabili interventi di “ristoro” non sono in grado di incidere su aziende che sono state fermate. Ciò che si chiede, in particolare, è uno stanziamento che al netto di quanto già erogato alle imprese, garantisca almeno un ristoro pari al 20% della perdita di fatturato dallo scorso mese di marzo a quello di Gennaio 2021. Ciò potrebbe dare un minimo di ossigeno ad aziende oggi a rischio di non potere più riaprire.
2. Riduzione dei costi operativi
Su questo punto la Fipe pone l’accenno, come ha fatto dal primo giorno sull’importanza del lavoro dei dipendenti, il cui futuro non ha molte garanzie fra fine della cassa integrazione e riapertura dei licenziamenti. E qui si apre il tema di un “patto occupazionale” sulla base di un taglio al costo degli oneri sociali per i lavoratori della ristorazione e dell’intrattenimento per tutto il 2021. Un costo che sarebbe più checompensato dagli oneri a carico dello Stato per una larga massa altrimenti di disoccupati.
C’è poi la questione di affitti, canoni di concessioni o degli affitti di azienda. Oggi gli imprenditori di questo settore non sono in grado di sostenere i costi delle locazioni che sono balzati dal 10% al 30% come incidenza del fatturato. O si interviene con una misura “ad hoc” in grado di ridefinirli in maniera strutturale, o i tribunali, che stanno emettendo le prime ordinanze, sono destinati ad ingolfarsi di contenziosi. Oltre ad un blocco degli sfratti, serve una riforma che tenga conti degli interessi di tutte le parti e introduca magari la cedolare secca per favorire un ribasso dei contratti esistenti.
In tema di costi operativi, c’è poi tutta la questione fiscale, dove la Fipe chiede con forza una dilazione ad almeno 10 anni delle scadenze fiscali indifferibili del 2020 ed una cancellazione per le imposte come IMU-Tari-Tosap direttamente collegate alla gestione dell’attività.
3. Generazione di liquidità
Un po’ come per la leva fiscale, così si deve agire anche per quanto riguarda i debiti bancari che le aziende hanno attivato a fronte del crollo delle attività. Il decreto che garantiva liquidità è stato attuato con grande lentezza e ora i debiti bancari contratti nel 2020 vanno spalmati in un arco temporale lungo, di almeno 20 anni con un preammortamento di almeno 24 o 36 mesi, che permetta alle imprese che sono oggi in stato prefallimentare di ottenere quella liquidità per rialzarsi e ripagare il debito in un periodo sostenibile. Serve un grande patto con le banche.
4. Stimolo della domanda
Per riattivare la domanda, che stagnerà per molto tempo in assenza di turismo e di lavoro nella pausa pranzo, un obiettivo indispensabile è ridurre l’IVA sulla ristorazione. Austria, Belgio, Germania, Gran Bretagna etc. hanno approvato tagli significativi dell’imposta sul valore aggiuntoper il periodo di crisi e comunque in media fino alla fine del 2021. L’Iva sarebbe fra l’altro da azzerare su delivery ed asporto e sulle attività di intrattenimento, per garantire un minimo di start up. Un altro strumento importante sarà quello del cash back per agevolare al massimo i pagamenti elettronici e garantire un “ritorno” anche ai consumatori
5. Stimolo degli investimenti
Sul piano degli investimenti vanno introdotte tutte le formule possibili per favorire l’ammodernamento delle strutture attraverso agevolazioni e incentivi: La digitalizzazione è uno dei campi obbligati, a sostegno della quale vanno posti tax-credit e superammortamenti.
6. Riordino del mercato
È forse il punto più delicato, sul quale con senso di responsabilità la Fipe lancia l’idea di un mega provvedimento che garantisca un futuro ad imprenditori e dipendenti che saranno obbligati a chiudere. Di fronte alla prevedibile chiusura di 50mila aziende si chiede un fondo destinato a mitigare gli effetti sull’indotto. Un “Fondo chiusura delle imprese a causa Covid”, a cui collegare nuove norme sulle crisi di impresa per preservare il futuro imprenditoriale di migliaia di persone che altrimenti si ritroveranno impossibilitati ad operare a causa di un evento del tutto esterno ed imprevedibile.
E per chi resterà sul mercato, e per i nuovi ingressi, serviranno invece norme più restrittive per regolare i criteri di accesso al settore della ristorazione e dell’intrattenimento che, causa la liberalizzazione della legge n.223 del 2006 che ha lasciato spazio a troppa improvvisazione, spingendo oltre ogni limite accettabile il numero dei pubblici esercizi.
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Alberto Lupini