Festeggiamenti in tutto il mondo
dedicati alla pasta, alimento buono, sano, accessibile e sostenibile. Ma che dentro i nostri confini sta creando non pochi attriti.
Paolo Barilla e Riccardo Felicetti
«Nel nostro Paese - ha spiegato
Riccardo Felicetti - non abbiamo
quantitativi sufficienti di grano duro per rispondere alla richiesta del mercato. E non tutto il grano, circa il 40%, ha qualità sufficienti per essere utilizzato in purezza per fare pasta, come richiesto dalla “legge di purezza” del 1967». Una dichiarazione dovuta a pochi giorni da un tour mondiale e
in aperto contrasto con il
Decreto «non trasparente e non accettabile», e solo nazionale, sull’origine del grano in etichetta. Una procedura «non ortodossa e non ratificata dall’Ue», tanto che il ricorso al Tar è già stato effettuato.
Se Coldiretti gongola nel sottolineare gli effetti della pubblicazione del Decreto dei ministeri delle Politiche agricole e dello Sviluppo economico per l’introduzione in Italia dell’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta a partire dal febbraio 2018, dall’
Aidepi emerge un retropensiero, quello che sia stato creato un condizionamento in base al quale il grano straniero sia meno sicuro di quello italiano. «Cosa che non sta né in cielo, né in terra». E che
non fa certo bene all’export, alla competitività delle nostre imprese e alla nostra immagine.
«Abbiamo preso questa decisione - ha puntualizzato Felicetti - perché il decreto è fatto male: non informa correttamente il consumatore, rischia di far credere che ciò che conta per una pasta di qualità è l’origine del grano. E questo non è vero. Non incentiva gli agricoltori italiani a produrre grano di qualità. Riduce la nostra competitività all’estero perché introduce un obbligo che comporta costi aggiuntivi solo per noi e non per i nostri concorrenti. Siamo a favore della trasparenza verso il consumatore: avevamo mandato una nostra proposta alternativa, più semplice ed efficace, che però non è stata neppure presa in considerazione dai Ministri».
Oggi l’export di pasta pesa circa il 50% sul fatturato della pasta, ma secondo stime di Aidepi con la nuova etichetta perderemmo il 5-7% annuo delle nostre quote di mercato. Quanto basta per farci perdere, entro i prossimi 10 anni, la leadership del mercato della pasta, che conserviamo da oltre due secoli.
«Si tratta di un autogol del Paese - ha rimarcato Felicetti -. Sfavorisce un settore che esporta più del 50% della produzione, che crea valore anche per le filiere dell’olio e del pomodoro e che già acquista tutto il grano duro italiano adatto alla pastificazione».
Secondo Aidepi, il decreto sarà una vera e propria nuova tassa, che ci pone fuori mercato rispetto a una concorrenza internazionale molto agguerrita sul fronte dei prezzi. Oggi i nostri rivali, Turchia e Egitto, producono ancora una pasta di minor qualità rispetto alla nostra, ma sono in crescita grazie anche delle sovvenzioni che arrivano dai loro governi. Al contrario dell’Italia, dove questo settore ricco di tradizione viene messo alle corde da chi lo dovrebbe difendere e promuovere nel mondo.
E il ministro delle Politiche agricole
Maurizio Martina non ha tardato nel commentare la notizia del ricorso al Tar del Lazio dell'Aidepi contro il decreto: «Siamo pronti a difendere la scelta di trasparenza a favore dei consumatori che abbiamo fatto. In Europa lavoriamo perché si estenda ancora questo modello».