Si sa il passaggio generazionale è complesso, soprattutto se si tratta di dolci e pasticcini. Gestire una pasticceria non è semplice: occorre passione, capacità e amore. D’altra parte la storia di Supino ne è un esempio: dopo 51 anni di attività nel capoluogo lombardo ha chiuso definitivamente. Era famosa per i suoi cannoncini grandi come un dito mignolo. «Volevamo passare la mano, ha raccontato il titolare, ma abbiamo trovato solo pasticcioni e nessun pasticcere».
Come stanno le pasticceria storiche a Milano?
Taveggia, la rinascita di una pasticceria storica
Per chi andava in centro a Milano era un rito entrare nella storica pasticceria di Taveggia per assaporare il suo budino di riso. Una pastafrolla fragrante, dalla forma conica e dolce al punto giusto. Ora trova ancora le serrande chiuse: era passata nelle mani di un imprenditore libanese, che purtroppo ha fallito, ma finalmente, grazie a tre imprenditori del settore, riaprirà le porte ad aprile. Si tratta di Alessio, Antonella Conti e Paolo Maino che con la loro società Cmc sette anni fa hanno rilevato il locale storico Gamberini di Bologna, seguito dal Curtatone di Firenze e da Taveggia. Una vera sfida, ma se i locali di Bologna e Firenze stanno funzionando perfettamente, senz’altro toccherà anche a Milano.
Alessio e Antonella Conti e Paolo Maino
Tutto nasce dall’amore per la storia: i locali rilevati hanno un lungo passato alle spalle. Il Gamberini è la più antica pasticceria bolognese, risale al 1907: la Cmc ha realizzato una ristrutturazione conservativa, così è stato per il Curtatone datato 1937. D’altra parte, sono imprenditori che hanno il mondo della pasticceria nel cuore. Alessio Conti ha ereditato la passione dal nonno materno: si è formato prima nella pasticceria di famiglia a San Sepolcro, poi da Cova in Via Montenapoleone; è affiancato dalla sorella Antonella che si occupa del packaging, dell’aspetto visivo dei negozi e dell’allestimento delle vetrine e, infine, Paolo Maino, che è stato maestro credenziere da Cova.
Abituati a sfide, in piena pandemia hanno deciso, a settembre 2020, di rilevare Taveggia, devastato dalla gestione precedente e dalle battaglie legali. «È stata un’opera complessa, racconta Antonella, sono state restaurate la boiserie e i dipinti, mentre abbiamo sostituito completamente la tappezzeria, la parte tecnica della refrigerazione e le cucine. Purtroppo, ci sono stati dei ritardi nelle consegne e per questo motivo la riapertura è stata riprogrammata ad aprile. Il laboratorio centrale per i lievitati è alle porte di Bologna, ma la piccola pasticceria è curata in ogni sede. Ovviamente Alessio e Paolo saranno in prima linea per affrontare la riapertura, che confidiamo sia all’altezza delle aspettative dei milanesi».
Panzera, amore di famiglia
Lorenzo Panzera, classe 1970, nasce in una famiglia vocata alla ristorazione. Il bisnonno Ampelio a inizio Novecento apre un forno con produzione di pasticceria e panettoni in Via Lecco a Milano. Il figlio Federico, nonno di Lorenzo, prosegue con l’attività di famiglia avviando la pasticceria Panzera 1931 in Piazza Duca D’Aosta, in contemporanea con l’inaugurazione della Stazione Centrale di Milano. Giancarlo Panzera, papà di Lorenzo, porta avanti l’attività avviata dal padre ampliandola con l’inserimento del ristorante. Pur frequentando e aiutando l’attività di famiglia, Lorenzo si laurea in ingegneria: una strada che sembrava ormai segnata, invece, il richiamo della tradizione ha avuto la meglio. Così torna a respirare l’aria della pasticceria e della ristorazione, collabora per un paio d’anni presso il locale di famiglia, dove reimposta il laboratorio di pasticceria e la linea produttiva. Individua nel progetto Grandi Stazioni il contesto valoriale in cui inserirsi con un proprio locale. Lorenzo progetta personalmente il nuovo spazio in Stazione Centrale per realizzare un locale di qualità e con un’offerta di prodotti realizzati in casa utilizzando materie prime di qualità. Infine, nel 2014 rileva la pasticceria di Viale Monte Santo 10 creando un luogo eclettico, unico nel suo genere grazie ad un sapiente mix di tradizione e innovazione sia nell’offerta gastronomica sia nell’organizzazione del laboratorio e nelle tecnologie utilizzate.
Lorenzo Panzera
È la “cultura del fare” il tratto distintivo di Lorenzo Panzera: progetta personalmente i propri locali, imposta la linea produttiva, seleziona lo staff e lo vuole fare bene, in modo che il suo cliente si senta a casa. Abbiamo chiesto un parere a Lorenzo Panzera sulla trasformazione e il passaggio di proprietà avvenuto in alcune pasticcerie milanesi: «Non è un problema se un locale passa a proprietari non milanesi, ormai la contaminazione è dovunque, al contrario se dovesse andare in mano a una persona estranea del mestiere. La mia famiglia è milanese da generazioni, come quella di mia moglie.» La garanzia del passaggio? «La differenza la fa la persona. Se poi parliamo di fondi, servono per far crescere grandi numeri, in questo caso non si fa certo qualità e quindi si rischia di trasformare un marchio in un’industria»
E durante la pandemia? «Abbiamo sempre tenuto aperto, riorganizzando la logistica ed ora abbiamo ripreso con i ritmi di sempre.» A Pasqua Panzera produce le colombe fresche, disponibili in diverse versioni con ingredienti di prima scelta, tra cui il pregiato burro di Normandia e una lunga lievitazione. Una vera “chicca “la colomba con l’albicocca “Pellecchiella” del Vesuvio, dalla polpa dolcissima e succosa, che viene inserita a “pezzettoni” nell’impasto. «Ne avevo sentito parlare, continua Lorenzo, poi sono riuscito a reperirla, ha la caratteristica di non essere stucchevole, è morbida e profuma l’impasto». Il laboratorio di pasticceria è visibile da un vetro, qui lavorano sette persone, dalla mattina presto quando infornano le brioche, che consigliamo a tutti, ma il vero problema, non solo per Lorenzo è trovare personale di sala. I casi della vita: è stato Cesare Cucchi, titolare scomparso della omonima pasticceria, ad invogliare e spingere Lorenzo Panzera ad acquistare il locale di Via Monte Santo.
Gattullo, i panini amanti da Jannacci
La “Pasticceria Gattullo” inaugura il suo laboratorio di Piazzale di Porta Lodovica a Milano nel 1961, ma facciamo un passo indietro: Giuseppe e Michele Gattullo sono arrivati a Milano nel lontano 1926, Giuseppe aveva lavorato nelle migliori pasticcerie e poi nel 1961 apre il primo laboratorio, che in seguito ingrandisce. Oggi la Pasticceria occupa diverse vetrine: un ambiente caldo, piacevole, dove l’arredamento anni Settanta viene curato attentamente, come i delicati lampadari veneziani, mentre i banconi risalgono agli anni Novanta. Anche i panini sono famosi tanto da essere celebrati da Enzo Jannacci con uno scritto acuto e spiritoso, tanto da essere incorniciato in bella vista. Giuseppe Gattullo racconta: «fin da bambino ho respirato questo mondo, passavo il pomeriggio con i miei genitori, gironzolando fra il profumo del forno e i tavoli. Negli anni Sessanta mio padre aveva coinvolto tutti i parenti, ma anni fa era tutto diverso, basti pensare che negli anni Ottanta chiudevamo a mezzanotte. A 23 anni ho iniziato a lavorare in negozio, dopo il diploma in ragioneria. Mia moglie Vanessa si occupa del confezionamento, della scelta della carta e dell’allestimento delle vetrine, del personale, mentre io mi occupo della contabilità. Qui anche la clientela giovane privilegia la nostra pasticceria, ci sono molti giovani studenti della Bocconi, che vogliono mangiare bene. Nessuno vuole rinunciare ad assaporare la focaccia di “papà Gattullo”. Mio padre Domenico ha portato dalla Puglia la ricetta dell’impasto con i pomodorini e da allora questa tradizione prosegue. La focaccia è una vera istituzione del nostro locale e ovviamente è molto richiesta. Ogni giorno il menu cambia: le polpette con le patate, il vitello tonnato, infatti, molti si fermano a pranzare o s’incontrano per un aperitivo. È un lavoro dove occorre reinventarsi sempre, come è successo durante la pandemia, invece di dare il 25-30% alle società di delivery, andavo io a fare le consegne con il furgoncino. Anzi quando mi vedevano suonare alla loro porta, la clientela affezionata era molto contenta di vedere un viso amico. In questo lavoro non bisogna fermarsi mai: durante il lockdown ci siamo accordati con Rosanna, la titolare di Potafiori, per decorare la torta con i fiori per la Festa della mamma. Quest’anno l’abbiamo riproposta in un’altra versione con la collaborazione del fiorista, che ci segue sempre: l’abbiamo trasformata in un centro tavola con dei fiori a parte…».
Giuseppe e Vanessa Gattullo
E per i celiaci? «Non abbiamo menu speciali, dopo lunghe ricerche, abbiamo trovato degli ottimi biscotti confezionati». Il rosa anticato della confezione di Gattullo è riconoscibile, anche da lontano. Come mai questo colore particolare? «Nasce in un viaggio in Toscana: mia moglie ha visto una saponetta e ha voluto riprendere la stessa nuance per il nostro negozio. Purtroppo, con l’aumento dei prezzi della materia e anche della carta, siamo stati costretti a ritoccare i cartellini. Non abbiamo un magazzino così grande per stoccare la merce…». E per il lavoro di sala? È complesso trovare personale preparato, è un problema che hanno anche i miei colleghi, dovrebbero organizzare corsi e convincere i giovani a frequentare scuole professionali ad hoc».
Cucchi, alla moda oggi come ieri
È un marchio storico che risale al 1936. La pasticceria Cucchi è stata fondata nel 1936 come “caffe concerto” da Luigi Cucchi e da sua moglie Vittorina. In breve diventò uno dei ritrovi alla moda di Milano, perché offriva alla clientela serate animate da una orchestrina spagnola fino a tardi e servizio di cucina. “Resilienza” è un termine molto usato oggi, ma appropriato alla pasticceria Cucchi. Nell’agosto ’43 durante il bombardamento delle forse alleate, il locale è stato raso al suolo, poi ricostruito in poco tempo, assumendo la sua definitiva identità di pasticceria. Nel 1954 l’arredamento è stato rinnovato, conferendo al locale un’atmosfera particolare che è rimasta immutata negli anni, testimone di una società cambiata, ma che ama ancora sedersi al tavolino di una sala da tè o sorseggiare un aperitivo, in piedi, dietro il bancone, mentre gusta degli ottimi salatini dietro il bancone.
Cucchi è un marchio storico che risale al 1936
Nell’estate 2013 il locale è stato ingrandito verso Corso Genova, conservando i motivi dell’arredo e lo stile del negozio, così la pasticceria ha guadagnato in spazio e luminosità, senza perdere nulla del suo fascino d’altri tempi. L’attività ora è nelle mani di Laura e Vittoria Cucchi che si dividono i compiti. «Non c’è sostegno per i piccoli imprenditori e mandare avanti una attività con 25 dipendenti non è semplice. Siamo aperti dalle 7 del mattino alle 21:30 e quindi è necessario avere doppio personale, secondo le normative». La domenica è la giornata di grande lavoro, quando si riuniscono le famiglie o gli amici intorno ai tavolini o si acquistano torte e pasticcini. «È stato un grosso errore da parte di mio padre non avere acquistato lo spazio. Come fai a cambiare luogo? Dopo 80 anni, impossibile. Mio padre era “l’uomo immagine”, sempre presente, dietro la cassa, dal mattino alla sera, sorridendo alla clientela abituale. Nel laboratorio di pasticceria abbiamo sei persone, per carnevale abbiamo delle chiacchiere e dei tortelli spettacolari, ma è un bell’impegno, per non parlare della Pasqua o delle feste. Riceviamo ordinazioni tramite mail e come servizio di consegna ci serviamo di “Cosaporto”. Per noi è una bella vetrina… Abbiamo richieste anche di salato e abbiamo notato che sta prendendo piede. È dall’aprile del 2020 che si serviamo del servizio delivery Cosaporto. È stato un nostro collaboratore a suggerire questa opzione e devo constatare che ha incrementato notevolmente il lavoro. La pasticceria è una scienza esatta: i prodotti nuovi, si assaggiano prima per poi essere messi in vendita. Per un certo periodo abbiamo voluto cambiare la forma “a torretta” del budino di riso, trasformandolo in “barchetta”, ma c’è stata una specie di “insurrezione” della clientela e quindi siamo ritornati di nuovo a quella tradizionale. Anche noi siamo alla ricerca di personale di sala, che è sempre molto difficile trovare. Ad esempio, stamattina doveva presentarsi un ragazzo e non si è fatto vedere. Credo sia colpa delle sbagliate politiche lavorative…».