Quando lo Stato non c’è, la mafia balla. I numeri drammatici dell’agroalimentare

La mafia mira molto sul settore agroalimentare e gli effetti della pandemia e quelli della guerra hanno favorito l'ascesa del business malavitoso. E il caso di ieri nell'agrigentino è solo la punta dell'iceberg. Da anni alcune figure dell'Antimafia ed enti nazionali alzano la voce contro il silenzio semitombale del Governo

11 gennaio 2023 | 10:16
di Nicholas Reitano

La notizia che è arrivata ieri da Agrigento non dovrebbe destare troppo stupore. Sì, perché la mafia, si sa, è il cancro dell’Italia sin dalla sua prima apparizione nell’entroterra siciliano più di ottocento anni fa. Ed il fatto che abbia messo le mani, di recente, anche sui locali di ristorazione in una città moderna ed all’avanguardia come Milano, è segno di una mancanza di competenze da parte di chi dovrebbe fermare questo sporco business. E le dieci dita della malavita si allungano sia sulle zone centrali, dove regna la movida meneghina, e sia in quelle periferici (specialmente nei quartieri più complicati come Rozzano e Barona).

Un allarme reale che Italia a tavola ha lanciato già nell'aprile di due anni fa e ha riportato a galla più volte, ma che resta per molti un tabù difficile da nominare. E l’ultimo fatto, dicevamo, risale a ventiquattro ore fa, quando, nella provincia della Sicilia meridionale, durante un’operazione condotta dai carabinieri locali, c’è stata un’esecuzione di dieci misure cautelari nei confronti di un’organizzazione mafiosa attiva nelle mediazioni per la vendita dell’uva nell’agrigentino.

 

I prezzi a tavola triplicano

Come sottolineato dalla Coldiretti, questo racket condiziona totalmente il mercato della commercializzazione degli alimenti stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento. L’uva è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi arrivano a più che triplicare dal campo alla tavola. Così facendo, come accade in qualsiasi ambito economico, a farne le spese sono gli onesti: la concorrenza ed il libero mercato sono distrutti. E, soprattutto, il Made in Italy, come accadde qualche anno fa con il pomodoro pachino, dove a farne le spese, con l’annuncio sconvolgente in diretta televisiva, fu il coraggioso Alessandro Di Pietro.

Ormai è ben risaputo come l’agroalimentare – nello specifico, lo scorso anno, l’agricoltura, (15,9% dei casi), il commercio al dettaglio (15,2%) e la ristorazione (13,8%) - sia diventato un settore prioritario di investimento della malavita con un business criminale che ha superato, come riferito dalla Direzione Investigativa Antimafia, i 24.5 miliardi di euro. Una cifra astronomica che tocca il Bel Paese, ça va san dire, da nord a sud.

Effetto pandemia-guerra

E la causa di questo exploit è sicuramente il periodo pandemico che ha messo in ginocchio una grossissima fetta di lavoratori, per poi essere seguito dal rincaro dei prezzi (carburante, luce e gas su tutti) a causa della guerra tra Russia ed Ucraina. Un colpo di grazia, che ha permesso alla malavita di conquistare terreno ed ottenere la fiducia degli “affamati”: iconici gli aiuti nei confronti delle persone più povere durante il lockdown, quando vennero consegnate porta a porta dei beni alimentari.

 

Basti pensare che ben sei anni fa, a cavallo tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, il giro d’affari delle mafie si aggirava intorno ai 21-22 miliardi di euro. Una crescita, dunque, che non fa ben sperare e che mette la strada ulteriormente in salita per chi è interessato ad abbattere questo enorme problema, forse il numero uno per il nostro paese.

Dichiarazioni e accordi inutili

Come disse qualche mese fa Alessandra Dolci, coordinatrice delle indagini antimafia nel distretto di Milano, contro queste attività «è molto importante il ruolo della Polizia e in particolare dell'Unità Annonaria. Il suo compito è eseguire le operazioni di controllo riguardanti l'intero settore del commercio in sede fissa, su area pubblica, e sui pubblici esercizi». Un appello che, però, dopo più di 180 giorni e in seguito all’accordo siglato da Dna, Dia e Confindustria Alberghi (volto a monitorare precisamente la situazione), non sembrerebbe aver trovato manforte da parte delle istituzioni nazionali di riferimento prima, e dal Governo poi.

Tanto per citare un grandissimo capolavoro nostrano: la mafia ormai colpisce in tutte le stagioni, non solo d’estate. È tempo di svegliarsi, cara Italia.

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Alberto Lupini


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