Lo stop a convegni e alle fiere Nuova batosta per i catering

Vietati congressi e meeting, il nuovo decreto di fatto uccide banqueting e catering e ogni forma di svago e intrattenimento: le aziende del settore hanno perso il 90% del fatturato

19 ottobre 2020 | 13:49
di Gabriele Ancona
Per il settore del banqueting e del catering, di fatto, è un nuovo lockdown. Cancellando i congressi e aumentando lo smart working, il nuovo decreto anti Covid, presentato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha dato il colpo di grazia a un comparto che ha già perso il 90% del fatturato. E, dopo lo stop alle “feste” con più di 30 persone del 13 ottobre, ora gli addetti al settore alzano gli occhi al cielo, invocando, almeno un aiuto economico per arrivare alla fine della crisi.

Più soddisfatti, invece, ristoratori e cuochi: i ristoranti possono rimanere aperti fino alle 24, anche se la limitazione di 6 persone al massimo in un tavolo, rappresenta un problema, soprattutto in vista delle feste. Dalla Fipe alle associazioni dei cuochi (Fic, Euro-Toques e Le Soste), i commenti sono tutto sommato positivi.

Per l'Anbc-Associazione nazionale banqueting e catering siamo a un nuovo lockdown

STOPPANI, FIPE: SPERIAMO SIA SCONGIURATA UNA STRETTA A NATALE
Tra le prime reazioni che abbiamo raccolto, quella del presidente di Fipe, Lino Stoppani, che - commentando il decreto firmato nella notte - ha detto: «A livello governativo sono stati presi dei provvedimenti in un contesto di attenzione per la nostra categoria. Teneri aperti i ristoranti significa anche considerare il peso del nostro comparto. Una “stretta” ora ci si augura possa scongiurarne una in periodo natalizio. Il contagio non si diffonde al ristorante, ma resta l’incognita degli enti locali che possono decidere nuove misure in autonomia».

Lino Stoppani

CURSANO, FIPE: TROPPE ZONE D'OMBRA IN QUESTO DECRETO

Meno ottimista, invece, il commento del vicepresidente vicario dell'associazione, Aldo Cursano: «Un decreto che dà qualche segnale, che fa filtrare un raggio di luce, ma lascia tante zone d’ombra – ha detto – Di fatto uccide banqueting e catering e ogni forma di svago e intrattenimento. E poi lo smart working al 75% che annulla l’offerta della pausa pranzo. Certo, la ristorazione, di sera, può tirare il fiato, ma l’emozionalità viene meno e il sentimento dominante è la paura. Siamo visti come un problema. Dobbiamo quindi esigere misure compensative come indennizzi per la perdita di fatturato, credito di imposta sugli affitti, prolungamento della cassa integrazione. Stiamo slittando verso una pandemia economico-sociale. Il fattore tempo è fondamentale».


Aldo Cursano

CAPURRO, ANBC: PER I BANCHETTI DI FATTO UN NUOVO LOCKDOWN
Vede nero Paolo Capurro, presidente Anbc-Associazione nazionale banqueting e catering: «Di fatto siano in un nuovo lockdown – spiega – I primi segnali ci sono stati il 13 ottobre con la cancellazione delle cosiddette “feste, limitando a 30 persone la partecipazione agli eventi. Per le aziende che rappresento, oltretutto, era una dimensione professionale antieconomica. Con il Decreto di ieri sono stati cancellati i congressi ed è stato aumentato lo smart working. Ci è stato scavato un fossato intorno. Un disastro. Un lockdown dichiarato. Abbiamo bisogno di un aiuto economico per arrivare alla fine della crisi. Siamo al 90% di perdita di fatturato. Il nostro è un settore che vive di programmazione e in questo momento nessuno guarda avanti. Chiederemo al presidente Conte, che abbiamo incontrato nei giorni scorsi, che la cassa integrazione prosegua, ma anche di aiutare le aziende perché il rischio che chiudano è davvero reale. Mentre la ristorazione tradizionale può contare su un piccolo volano di fatturato, noi siamo al fermo macchina».  

PICCA BIANCHI (FIPE): BANCHETTI IN LOCKDOWN DA MARZO
Valentina Picca Bianchi, presidente delle donne imprenditrici di Fipe e titolare della società di catering White Ricevimenti, si muove invece su due fronti: «Se non arriva un ristoro economico per sollevare dai costi fissi le aziende dovremo celebrare i funerali del catering. Noi siamo in lockdown da marzo e otto mesi in questa situazione sono devastanti. Siamo una nicchia di 2mila società che valgono 100mila posti di lavoro. Bisogna che vengano mantenute le promesse che ci sono state fatte. Abbiamo bisogno con urgenza di un aiuto economico. Come presidente delle imprenditrici Fipe, la ristorazione ha avuto un minimo di ossigeno, ma sono in seria difficoltà i bar a bancone e le discoteche. Anche in questo caso è indispensabile un ristoro economico a fondo perduto». 

Valentina Picca Bianchi


Una certa soddisfazione nei confronti del decreto è stata invece espressa da Rocco Pozzulo, presidente della Fic, Federazione Italiana Cuochi, e da Enrico Derflingher, presidente di Euro-Toques Italia, anche se con il limite di 6 persone al ristorante, resta il problema della tavolate, soprattutto in vista delle cene prenatalizie.

POZZULO (FIC): CHIEDEREMO UN INCONTRO AL GOVERNO PER TUTELARE I CUOCHI
«Come Federazione non possiamo che essere favorevoli alle misure che tutelano la salute dei cittadini - ha detto Pozzulo, in riferimento alla chiusura dei locali a mezzanotte - Ma è necessario sapere a breve di cosa hanno bisogno a livello economico i nostri associati. Le cene aziendali di fine anno salteranno e questa sarà un’ulteriore penalizzazione per il settore. Ci stiamo muovendo per chiedere al Governo un incontro al fine di tutelare in modo concreto i nostri cuochi. Abbiamo rispettato tutti i parametri di sicurezza, sempre, banchettistica compresa, ma bisogna arginare il
contagio. Tenere aperti i ristoranti un’ora in più o in meno non serve a nulla».


                                                                           Rocco Pozzulo ed Enrico Derlingher

DERFLINGHER (EURO-TOQUES): ALL’ESTERO STANNO MOLTO PEGGIO DI NOI
«Mi sembra un decreto ben fatto – spiega Enrico Derflingher, presidente Euro-Toques Italia – Non è penalizzante come è successo in passato. Chiudere i ristoranti alle 24 va bene. Misura ottima, non vincolante. Sono in contatto con tutta Europa: Francia, Spagna, Regno Unito, Belgio Lussemburgo. Se guardiamo alle regole imposte negli altri Paesi non ci dobbiamo lamentare. In alcune nazioni la ristorazione chiude alle 19, in altre alle 20 o alle 21. In altre ancora il blocco è totale: lockdown. Testimonianze dirette, di giornata».

SADLER (LE SOSTE): UN ALTRO LOCKDOWN FAREBBE AFFONDARE L’ITALIA
«Questo Dpcm – racconta Claudio Sadler, presidente dell’associazione Le Soste – ha un’impostazione soft. Per la ristorazione il tetto di mezzanotte va bene e anche il tavolo con massimo sei coperti ha una sua logica. La responsabilità di ulteriori decisioni è stata scaricata sugli enti locali. Andiamo avanti sperando che non venga imposto un secondo lockdown. Anche solo un blocco di 2-3 mesi farebbe affondare l’Italia e la ristorazione sarebbe penalizzata in modo irreversibile. Ormai è appurato che non è la ristorazione il problema: le regole da noi vengono rispettate. Vanno comunque assolutamente fatti i controlli per evitare gli assembramenti e stroncare tutti i comportamenti dissennati che sconfessano la serietà dei professionisti. Abbiamo visto cosa è successo questa estate».


                                                                                 Claudio Sadler

COLAIACOVO, CONFINDUSTRIA ALBERGHI: PERCHÉ BLOCCARE IN ASSOLUTO TUTTI I CONVEGNI?

Anche Confindustria Alberghi, all’indomani dell’ultimo Decreto, sottolinea come il blocco di meeting e convegni non sia giustificato da motivi di sicurezza. In questi mesi l’attività ha potuto procedere senza esporre a rischi nessuno, perché le strutture, gli organizzatori e i partecipanti hanno rispettato pienamente i protocolli di sicurezza.



Confermata la chiusura alle 24 per la ristorazione. Servizio al tavolo per tutto il settore dopo le 18

«Siamo sorpresi e preoccupati dal blocco totale di meeting e convegni – dichiara Maria Carmela Colaiacovo, vicepresidente di Associazione italiana Confindustria Alberghi - Francamente uno stop assoluto, a prescindere dal numero dei partecipanti e dal rispetto dei protocolli, non appare giustificato dal tipo di attività. Non stiamo parlando di feste o di movida, ma di eventi organizzati e controllati, partecipati esclusivamente da individui adulti impegnati in attività di lavoro. È necessario un ripensamento che, nel quadro di questi mesi di faticosa convivenza con il virus, permetta di mantenere vive queste attività così importanti per l’economia del settore alberghiero, ma anche per l’operatività stessa delle imprese».

LE REAZIONI DEI RISTORATORI

«I tavoli da sei? Se uno ha un ristorante grande, va bene. Ma il problema è per chi ha locali piccoli, cioè moltissimi piccoli imprenditori in Italia. A Roma sono tutte piccole attività, familiari. Come si fa a distruggere queste attività che hanno dato lustro a questo Paese? Come si fa? Cerchiamo la qualità del cibo, ma l'abbiamo massacrata. Avrebbero dovuto avere più rispetto per un settore che produce il 13% del Pil – ha dichiarato Gianfranco Vissani, Casa Vissani, Baschi (Tn), all'Adnkronos - Sono misure che ci danno una mano a non chiudere, ma non sufficienti. La chiusura alle 24 va bene, almeno recuperiamo un po' di soldi per pagare i dipendenti, ma non basta di certo. C'è gente che chiude ogni giorno, forse non si rendono conto. Aspettiamo i soldi dell'Unione europea, ma quando arriveranno? Tra due anni? Nel frattempo, le attività di famiglie che ci hanno lavorato una vita non riapriranno più. C'è molta confusione, non ci danno regole precise, e questo non è più accettabile. Potevano organizzarsi per darci delle regole e aiutarci. Noi oltre a rispettare le regole, cosa dovevamo fare? Veniteci incontro, non vogliamo soldi, non vogliamo regali, ma dateci un aiuto!».


Gianfranco Vissani

«Se va avanti così non potrò fare altro che mettere in cassa integrazione il 50 per cento del personale. Lo Stato ci sta mettendo con le spalle al muro – ha spiegato sempre all’agenzia di stampa Adnkronos lo chef siciliano Natale Giunta, Ritorante Castello a Mare, Palermo -Il Dpcm colpisce duramente il nostro settore: c’è l'incapacità di questo governo di distinguere tra movida e settore della ristorazione. Sono attività completamente diverse, ma sembra che nessuno né al Governo né al Comitato tecnico scientifico se ne renda conto. Qualcuno mi spieghi che senso ha stabilire il massimo di sei coperti al tavolo. Forse se sono in 7 il contagio scatta in automatico? Nei giorni scorsi ho allestito nel mio locale un tavolo imperiale con 20 posti, ogni commensale era distante un metro rispetto all'ospite che aveva accanto e un metro e sessanta da quello di fronte. È evidente che chi ha pensato a queste misure non ha mai parlato con un ristoratore. La verità è che non hanno il contatto con la realtà».


Natale Giunta

Altra interpretazione è data all’attuazione  del Decreto da Cristina Bowerman. Dal suo Glass Hostaria di Roma ha dichiarato all’Adnkronos che si deve partire «dal presupposto che devono essere fatti dei sacrifici. Li fanno tutti. Ma siamo incapaci, ahimè, di seguire le regole più basilari. Le 'regole' imposte dal nuovo Dpcm non sono poi così eccessive. Le ore 24 a un ristorante vanno benissimo. Io e i miei colleghi temevamo il peggio. È un primo passo per evitare un prossimo lockdown che avrebbe messo in ginocchio il Paese e i ristoratori, che hanno per esempio tassazioni diverse rispetto ai bar. È importante che il Governo abbia preso coscienza che tutti i pubblici esercizi non sono uguali, dovrebbero essere trattati anche a livello di contratto nazionale in modo diverso. Nel mio ristorante tavoli al di sopra di 6 ospiti sono una rarità, anche se è capitato. Forse per le pizzerie, invece, potrebbe essere un problema. Ma può essere risolto con un po' di ingegno. Si possono mettere due tavoli contigui, non attaccati uno all'altro, di 6 persone. Ma senza aggirare naturalmente le regole».


Cristina Bowerman

Giovanni De Fazio
, titolare dell’Arrosteria Borgo Antico di Ceglie Messapica (Br), un’istituzione per quanto riguarda la gastronomia in Valle d’Itria, non approva il decreto. «È penalizzante - sottolinea - sia per l’orario sia per il numero di coperti per singolo tavolo. Temo che l’orario nel tempo si andrà sempre più a ridurre. Solo che a Milano si mangia alle 19 e qui dalle 21. Non è nemmeno questione di autonomia agli enti locali. Ogni Regione avrebbe dovuto a priori regolarsi secondo la propria situazione. L’incidenza del Covid non è uguale a livello nazionale».

A Parma un ristorante della tradizione è Cocchi 1925. «Per quanto riguarda l’orario – si commenta – a noi non cambia nulla. La cucina chiude infatti alle 22. E anche per il numero di persone sedute allo stesso tavola è solo questione di organizzarsi. La vera differenza la fa il distanziamento, pratica che applichiamo regolarmente. Certo che lavorare così è molto faticoso anche per calibrare la mappa dei posti a tavola. Cambia tutto se sono congiunti o è un incontro di lavoro.  E poi c’è l’effetto panico. Non sappiamo se per il Decreto di ieri sera o meno, ma oggi a pranzo abbiamo ricevuto diverse disdette».

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Alberto Lupini


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