L’inflazione in Italia, secondo Istat, ha raggiunto a marzo quota 6,7%, dato che non si registrava da luglio 1991. L'indice nazionale dei prezzi al consumo ha segnato nel nostro Paese un aumento del 1,2% su base mensile e del 6,7% su base annua. Le tensioni inflazionistiche continuano a diffondersi con la crescita dei prezzi nel "carrello della spesa" che accelera di quasi un punto percentuale, portandosi a +5%. In una recente conferenza stampa il presidente del Consiglio, Mario Draghi ha spiegato che questa inflazione preoccupante si sta verificando perché aumentano i prezzi di tutte le materie prime, in particolare quelle agroalimentari, che toccano da vicino il potere d’acquisto delle famiglie, in più la scarsa disponibilità di materie prime crea strozzature nella produzione e questo crea ulteriore aumento dei prezzi.
Attenzione alla spesa
Il fattore energetico
L'accelerazione dell'inflazione su base tendenziale è dovuta prevalentemente ai prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +45,9% di febbraio a +52,9% di marzo), in particolare a quelli della componente non regolamentata (da +31,3% a +38,7%) e, in misura minore, ai prezzi dei beni alimentari, sia lavorati (da +3,1% a +4%) che non lavorati (da +6,9% a +8,0%) e a quelli dei beni durevoli (da +1,2% a +1,9%). I prezzi dei beni energetici regolamentati continuano a essere quasi doppi di quelli registrati nello stesso mese di febbraio dello scorso anno (+94,6%), mentre i servizi relativi ai trasporti registrano un rallentamento (da +1,4% a +1%); accelerano sia i prezzi dei beni alimentari, quelli per la cura della casa e della persona (da +4,1% a +5%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto (da +5,3% a +6,9%). Ho riportato tutti questi numeri non tanto con l’idea di mettere il dito nella piaga che spaventa i clienti e frena i consumi, quanto per cercare di riflettere su alcune “azioni di risposta” che si stanno attuando, ma che hanno poco a che fare con la trasparenza e l’onestà.
Tra speculazioni e truffe
Non a caso, proprio nelle scorse settimane il Codacons ha chiesto all'Antitrust e a diverse Procure territoriali di avviare indagini finalizzate ad accertare le numerosissime segnalazioni da parte di cittadini ed Imprese sul crescente fenomeno di "shrinkflation", termine inglese che deriva dall’unione delle parole “shrink” - restringere) e “inflation” - inflazione), pratica sempre più diffusa dalle aziende produttrici di ridurre le dimensioni o il peso dei prodotti di largo consumo per mascherare l'aumento del prezzo. In pratica, la cifra che si paga rimane la stessa, ma il prodotto che si compra è di meno.
Le segnalazioni arrivate a Codacons nel periodo pasquale, mostravano esempi di prezzi invariati di alcune confezioni di colombe, che contenevano 750 g di prodotto invece che 1000g, trattandosi quindi di manovre speculative a danno dei consumatori, oltre che di "pratica commerciale scorretta", perseguibile per legge. A tale proposito, avvisando il fatto che tali irregolarità non erano occasionali o circoscritte, il Codacons ha ritenuto opportuno chiedere l’intervento dell’Agcom (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) e della Magistratura per «audire il presidente dell'Istat, nonché Mise, Mef, Federalimentare e le principali multinazionali italiane, al fine di acquisire elementi circa il fenomeno in questione».
È altrettanto allarmante uno altro studio recente dell'Istat che ha registrato 7.306 casi analoghi in mercati, rivendite e supermercati italiani: i picchi «si registrano nel settore merceologico di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele - in 613 casi con diminuzione della quantità ed aumento del prezzo - ed in quello del pane e dei cereali in 788 casi in cui, però, si è riscontrata solo una riduzione delle confezioni». E se pensiamo che la “shrinkflation” possa riguardare solo la vendita di beni e prodotti, forse ci sbagliamo, perché lo stesso fenomeno sta inesorabilmente penetrando anche nel settore dei servizi.
Anche il turismo a rischio
Coinvolto nel fenomeno anche il turismo
Vi do come esempio i voli aerei che con la formula “low-cost” che induce a pensare ad acquisto di un biglietto di viaggio a buon prezzo, per farci scoprire dopo, che “basso” c’è poco e che se vogliamo imbarcare una valigia, questa costa quasi come il biglietto stesso, in certi casi di più, così come uno snack o una bevanda si pagano sempre a parte come in un bistrot di lusso in centro città.
Anche il settore della ristorazione e ospitalità non rimane indietro su questa “nuova” tendenza. Sfiniti dalla pandemia e in balia dell’inflazione, guarnita dalla mancanza di matterie prime e per far quadrare i conti, gli operatori F&B confezionano pacchetti speciali di vacanze e soggiorni in promozione dove beni e servizi una volta compresi nel prezzo vengono forniti solo su richiesta. Ormai la pulizia della stanza, il cambio biancheria, le collazioni a buffet ed altre piccole comodità tipiche del servizio alberghiero, sono a pagamento.
Non molto diversa risulta la situazione nei ristoranti, dove a fronte di piccoli aumenti delle portate, è stata abbinata la riduzione delle porzioni, saggiamente mascherata con salse, condimenti e contorni, incorniciati in attraenti “mise en place”. Per non parlare poi della sostituzione di prodotti di qualità a favore di ingredienti “secondari” presentati sotto forma di creazioni dello chef e preparazioni “speciali”.
Insomma, tutti questi fenomeni rappresentano un forte segnale di un settore in grande difficoltà e sofferenza che si ingegna con ogni mezzo disponibile a far quadrare i conti. Sin qui nulla di strano, è successo in altre epoche come reazione a situazioni contingenti particolari. Il problema nasce quando manca la trasparenza e la corretta informazione al cliente, ovvero si nascondono gli effetti dall’inflazione e del caro bolletta utilizzando pratiche al limite della legalità, rischiando di peggiorare la situazione e danneggiare la reputazione dell’intero comparto.
Per informazioni: www.giubilesiassociati.com