Guide, parametri che non corrispondono alla realtà
21 novembre 2016 | 12:50
di Alberto Lupini
Ma questi ragionamenti sono forse scontati o ormai superati. La Michelin, pur essendo la più autorevole, resta oggettivamente la guida un po’ meno neutrale rispetto alle tendenze e ai gusti della clientela. Privilegia sempre e comunque lo stile francese. E lo si vede anche in molte delle scelte di valore fatte in Italia: troppo spesso per menu pieni di spume e creme, a svantaggio di una tradizione modernizzata.
Ma se Atene piange, non è certo Sparta che ride. A dirigere il gioco è infatti sempre la Rossa e dalle concorrenti italiane non vengono segnali di novità. In certi casi siamo addirittura qualche passo indietro, quasi che invece di pensare a competere coi francesi e giocare una partita tesa a valorizzare il Made in Italy a tavola (non per campanilismo), si voglia giocare convinti di perdere.
A parte la scarsa capacità di presentare locali nuovi e di valore (e in Italia ce ne sono davvero tanti), l’esempio più concreto di un’edizione di guida alla Tafazzi è quella dell’Espresso. L’astrusa gerarchia di 5 fasce di cappelli che ha sostituito i punteggi con le frazioni (al cui abbandono avevamo applaudito) ha creato una piramide ancora più ristretta e selettiva di quella costruita dalla Michelin. Dopo avere creato 5 categorie, l’Espresso mette in “serie A” soltanto 5 ristoranti (il Gambero, sia pure con la palla al piede dei punti, ne mette 29...), relegando in serie C (3 cappelli) ristoranti che per la Michelin o altre guide sono comunque al top. Scelte che hanno sconcertato tutti, soprattutto se si pensa che il curatore Enzo Vizzari aveva sempre contestato alla concorrente francese di essere di manica stretta...
Il risultato è che una scelta di questo tipo ha deluso i cuochi. E fin qui ci può stare. Ha deluso i giornalisti di settore. E anche questo potrebbe essere irrilevante per chi fa il critico. Il problema è che ha deluso pure molti dei critici che hanno appreso a cose fatte le decisioni inappellabili del solo curatore indipendentemente dalle loro valutazioni.
Al di là dei tanti delusi, potrebbero però essere i lettori a non capire i perché di queste gerarchie che sembrano segnalare come un valore assoluto la sola ricerca e la continua innovazione, quasi che grandi ristoranti come Da Vittorio, Il Pescatore o l’Enoteca Pinchiorri debbano stare in serie C solo perché a fianco dell’innovazione pongono anche l’attenzione ad una tradizione rivisitata e unica capace di parlare veramente la lingua delle Cucine italiane... Su queste basi si può anche capire perché in tanti, purtroppo, preferiscano affidarsi a TripAdvisor.
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Alberto Lupini