Futuro sostenibile della pesca: l'importanza dei pesci poveri per i ristoranti

Solo l'Italia ha votato no alla proposta di Bruxelles di porre fine alla pesca a strascico entro il 2030. Abbiamo chiesto al biologo marino Corrado Piccinetti quale sarà il futuro della pesca italiana . Il ruolo dei ristoranti è anche quello di insegnare a mangiare specie sconosciute per salvaguardare il futuro del mare

30 giugno 2023 | 05:00
di Carla Latini

Durante Brodetto Fest a Fano il ministro dell'Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, il presidente della Commissione agricoltura alla Camera Mirco Carloni e l’assessore regionale marchigiano all’Agricoltura Andrea Maria Antonini con il presidente della regione Francesco Acquaroli hanno esposto le nuove proposte della Comunità europea riguardo il futuro della pesca in Italia e soprattutto della pesca a strascico. Presente Corrado Piccinetti, esperto del mondo marino, già docente di ecologia all'Università di Bologna e biologo marino di Linea Blu Rai 1. Abbiamo organizzato un incontro a due grazie a Flavio Cerioni, patron de Alla Lanterna a Fano, uno dei primi, se non il primo nelle Marche a valorizzare, a tavola, il cosiddetto “pesce povero”. La questione è capire come sarà il futuro della pesca in Italia e non solo.

Perché l’Ue vuole abolire la pesca a strascico

È vero professor Piccinetti che la Comunità europea vuole abolire la pesca a strascico in tutti i mari dei paesi membri?
Effettivamente la Commissione europea ha approvato un piano d'azione che non ha prospettive rosee per la pesca a strascico. È un piano che riguarda tutti i Paesi comunitari. Entro il 2030 dovrà essere vietata la pesca a strascico in una area di almeno il 30% della superficie delle acque europee, in Mediterraneo ed Atlantico.

Quali sono i numeri oggi?
I numeri esatti riportati dal Ministero sono 2.088 motopesca per pesca a strascico, 8.429 motopesca per piccola pesca con una produzione di 24.389 tonnellate.

Quali sono i pesci che vengono pescati con lo strascico?
Sono molte specie, tra le quali sogliole, triglie, merluzzi, scampi, rane pescatrici, seppie, calamari. moscardini ecc. La rete striscia sul fondo e cattura gli organismi presenti, che variano tra le aree e nei mesi. I pescatori con la loro esperienza pescano nelle aree che ritengono più redditizie.

Tutto il pesce che si tira su con strascico viene poi utilizzato?
No. Un buon 60 % viene ributtato in mare perché sotto taglia legale o perché di specie definite povere che non sono richieste dal mercato. Il consumatore finale non le conosce o non sa come utilizzarle.

Il futuro della pesca passa dai pesci poveri?

Flavio Cerioni è quindi anche un po’ colpa nostra se non siamo in grado di consumare il pescato che viene ributtato in mare?
In un certo senso sì. A bordo c’è sempre meno tempo e meno personale in grado di selezionare il pescato in maniera corretta e le scelte alla fine sono sempre le stesse. Ci vorrebbe più costanza e attenzione. Ad esempio, io, nel mio piccolo, ho combattuto e ho vinto la battaglia per avere in tavola il tanto bistrattato cefalo. Ora presente nei menu di molti miei colleghi e sulle tavole dei consumatori finali che oggi sanno come gustarlo e apprezzarlo.

Quindi è anche una questione di responsabilità e educazione?
Sì. Sono fermamente convinto che noi ristoratori abbiamo il dovere di divulgare cultura alimentare e di aprire le menti dei nostri ospiti, soprattutto i giovani.

Obiettivo Ue, salvare il mare e il lavoro dei pescatori

Professor Piccinetti perché questa scelta da parte della comunità europea?
È da tempo che la comunità europea esprime la volontà di proteggere il mare e la fauna marina. Dall’altro lato l’aumento del carburante e i costi per uscire in mare sono aumentati in modo eclatante costringendo l’imprenditore pescatore a, in certi casi, fermarsi. Ne è causa anche il mancato ricambio generazionale in un lavoro molto faticoso e con orari disumani. Per pulire e sistemare il pescato nelle cassette in barca ci vuole una manualità professionale che sta venendo a mancare. Prima in barca erano in 6/7 persone. Oggi compresi comandante e motorista sono 4 anche 3. E come lamenta Flavio, le cassette non sono più ordinate come una volta.

Quindi il margine di guadagno per il pescatore è sempre più ridotto. Per questo motivo molti abbandonano e la Comunità europea li aiuta in questo. Il piano d’azione da realizzare entro il 2030 riuscirà a incentivare una ripresa di questa economia?
Secondo me vi potrebbe essere un miglioramento generale riorganizzando il settore pesca. Si può diversificare meglio i tipi di pesca per aree e periodi. Riducendo le aree e la flotta per la pesca a strascico che incontra difficoltà economiche, è possibile una sostituzione con altre tipologie di pesca con minor impatto ambientale, migliorando anche le condizioni di lavoro. Miglioramenti tecnologici sono possibili per incrementare i rendimenti economici e la compatibilità ambientale degli attrezzi da pesca.

Flavio Cerioni il professor Piccinetti vede il bicchiere mezzo pieno. Lei?
Provo a vederlo anche io. Sperando nella formazione di pescatori sempre più professionisti e, mi ci metto anche io in prima persona, nel recupero di specie marine da far apprezzare al pubblico. Specie che sono buonissime e che nessuno conosce. Il mio intento adesso è far conoscere a più persone possibili l’alletterato, fratello più piccolo del tonno. Che già propongo in piatti speciali, viene apprezzato ma poca gente lo conosce. Il mio sogno è portare in tavola e quindi far pescare la burchia, una piccola razza che assomiglia alla manta. I miei primi tentativi, però, sono andati a vuoto.

Quindi per concludere professor Piccinetti ci stiamo avvicinando a una pesca più consapevole e rispettosa dell’ambiente marino e ad un consumatore più attento e acculturato?
Penso proprio di sì. Regolamentare sempre meglio, perché le regole in Italia già ci sono e sono molto valide, facendo attenzione ai tempi, ai luoghi, alle soste e al mare aperto. Disciplinando le uscite e le diverse tipologie di pesca. Vedo un buon futuro a venire e credo nella serietà e nella passione dei nostri pescatori. Fermo restando che, forse non tutti sanno, un buon 70% del pesce che viene consumato in Italia viene importato dall’estero.

Il ruolo dei ristoranti per valorizzare il pesce povero

Flavio Cerioni ancora due parole sulla lavorazione del pesce, soprattutto di quello cosiddetto povero. Il pesce detto povero costa poco all’acquisto in pescheria ma poi richiede molto tempo e abilità nella lavorazione in cucina. A casa, in famiglia, ci sono sempre meno persone in grado di farlo. Nelle cucine dei ristoranti il personale ha un costo che, spesso, non viene compreso dal cliente. Se ti servo uno spaghetto con le vongole sgusciate devo fartelo pagare di più di uno spaghetto con le vongole intere…

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Alberto Lupini


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