Fuori dal coro? No, a Orvieto un nuovo ristorante è davvero in una chiesa

Sorge all'interno di una chiesa del 1500 il ristorante Coro, aperto lo scorso 23 dicembre e guidato in cucina dallo chef Ronald Bukri. In sala il socio e amico Francesco Perali, conosciuto in una precedente avventura toscana

27 marzo 2024 | 08:30
di Alessandro Creta

Una delle più recenti, e interessanti, novità in Umbria è rappresentata da un ristorante davvero sui generis. Verrebbe da dire quasi “fuori dal coro”, con la “c” rigorosamente minuscola, non fosse per il fatto che questa espressione, dato il nome del ristorante, rischierebbe di essere abusata, col rischio di perdere di valore. A ben vedere però fuori dal coro questo spazio lo è davvero, per quanto il gioco di parole sia piuttosto semplice e immediato dato il nome del ristorante, per l’appunto Coro, situato nel cuore del centro storico di Orvieto (Tr).

Coro per due motivazioni principalmente: la prima perché sorge letteralmente all’interno del coro di una chiesa sconsacrata del 1500, un edificio storico (oggi Palazzo Petrus) distante appena un centinaio di metri da quella meraviglia architettonica che è il Duomo di Orvieto. Ma Coro anche per un altro motivo, perché è la crasi dei nomi dei due che guidano questo progetto ambizioso in uno dei centri più storici e affascinanti di tutta l’Umbria, Regione che sensazioni e numeri alla mano (leggasi, l’exploit di ristoranti inseriti nell’ultima edizione della Guida Michelin) è ormai pronta per spiccare definitivamente il volo per quanto riguarda il fine dining. 

Coro a Orvieto, un ristorante a due passi dal Duomo

Dicevamo, i due a comando di questo progetto sono Francesco Perali, responsabile di sala, il cui “co” finale del nome di congiunge con il “ro” iniziale di Ronald Bukri, chef classe 1987 di origini albanesi ma dall’età di 6 anni trapiantato in Italia, e ormai figlio adottivo del nostro Paese. Eccolo quindi Coro, un ristorante (con annesso cocktail bar, Gocce) inserito in un contesto di rara bellezza in cui si percepiscono vibrazioni a dir poco ambiziose. 

L’ambizione, dopotutto, è quasi naturale considerando i trascorsi di chef Bukri, uno che si è formato nelle cucine di Arnolfo, storico ristorante due stelle Michelin in Toscana guidato da Gaetano Trovato, uno dei maestri che un giovane Ronald (ancora 21enne e alla prima esperienza in un fine dining) ha avuto prima di intraprendere una sorta di viaggio dell’eroe moderno che l’ha portato prima da Lo Priore (l’altro suo mentore) a Siena, poi a Londra nel bistellato Sketch e a Sidney nel tristellato Guillaume at Bennelong. A tutto ciò ha fatto seguito il ritorno in Italia, nuovamente in Toscana dove a Montalcino all’Osticcio ha conosciuto proprio Francesco Perali, responsabile di sala originario di Orvieto. 

E da poche settimane, la data di apertura ufficiale è stata il 23 dicembre, proprio a Orvieto Francesco è tornato assieme a Ronald per regalare alla cittadina un ristorante che in zona mancava. Che, tolte poche eccezioni, quasi nella provincia ternana (particolarmente indietro per quanto riguarda il fine dining rispetto al perugino, dove invece c’è grande fermento) mancava. Le ambizioni, come detto, sono alte, e non possono essere altrimenti considerando contesto e personalità che si sono imbarcate “in coro” in tale avventura.

Avventura battezzata recentemente da una cena a 4 mani in cui Ronald ha cucinato proprio col uno dei suoi mentori (assieme a Lo Priore) Gaetano Trovato, in modo da chiudere (metaforicamente parlando) un cerchio rispetto al suo passato, ma aprendone un altro proiettato nel futuro. Suo, ovviamente, ma anche di Coro, indissolubilmente.  Abbiamo parlato proprio con lo chef, che ci ha raccontato cosa c’è dietro questo progetto ma anche cosa c’è davanti, inteso come futuro del ristorante.

Coro ristorante a Orvieto, l'intervista allo chef Ronald Bukri

Ronald, ci racconti cosa c’è dietro il progetto di Coro?
«Con Francesco abbiamo condiviso un progetto importante in passato, Osticcio a Montalcino, e quando abbiamo dovuto chiudere quell’avventura con lui ci siamo promessi di continuare insieme. Coro di fatto è partito così, da quella promessa. Lo stesso nome del ristorante indica questa comunione di intenti, perché è composto dal finale del nome di Francesco e l’inizio di Ronald, a indicare come dove finisce uno inizia l’altro. Siamo non solo soci al 50%, non siamo solo colleghi ma siamo anche grandi amici e queste sono le basi di Coro. La proprietà dietro a tutto l’immobile ci aveva conosciuto da Osticcio, ci ha reputato ambiziosi, bravi e affidabili, e ci ha affidato le chiavi della struttura e del progetto. Ci era stata avanzata la proposta l’opzione di essere dipendenti, ma abbiamo declinato perché l’idea era di avviare un progetto nostro in cui poterci mettere nomi e faccia.

Avete aperto a fine dicembre, come giudichi il bilancio del primo periodo?
«Primo bilancio buono, buona risposta. Siamo partiti in punta di piedi, considerando a maggior ragione che ci troviamo in un borgo, cercando di conquistare la fiducia di chi vive qui, anche perché un ristorante estraneo al territorio risulterebbe fuori contesto, non supportato in questo senso dalla realtà locale, sociale e imprenditoriale. Serve l’appoggio del territorio a 360 gradi, serve che tutta la comunità sia orgogliosa di avere qui un ristorante di questo tipo. Nel nostro piccolo in questo ci crediamo molto».

Che tipo di cucina proponi qui?
«Sempre la domanda più difficile da rispondere. Penso di fare una cucina molto personale, che non punti sul mostrare le mie capacità o tecnicismi particolari e in molti casi inutili ai fini del piatto, ma essenziale per quanto ricercata e fatta per bene. Non voglio essere schiavo delle tecniche ma voglio tirar fuori certamente me stesso, la mia personalità e le mie esperienze, oltre ovviamente a quello che mi piace. Il mio obiettivo, comunque, è che il cliente sia al centro dell’attenzione, il protagonista, non lo chef».

Ci parli dei menu?
«Abbiamo tre menu degustazione, alla cieca, che si chiamano Coro Ardente in cui faccio uso del braciere, fatto su misura da un artigiano, poi Coro Armonico, il principale da 6 portate, e Coro Libero. Oltre ovviamente alla carta. A me piace una cucina non parlata ma sussurrata, che i piatti siano in linea con ciò che sono io e quello in cui credo. Nei menu degustazione inoltre il cliente ha la possibilità di inserire degli special. Sono piatti che mi hanno caratterizzato e che mi porto dietro: lo spaghetto al Parmigiano Reggiano, limone e paprika, il gambero rosso con emulsione di miele, olio e limone che è un antipasto, e poi dopo un dessert a base di miele, finger lime e polline fresco. Ora è entrato in carta un piatto che sta riscuotendo un buon successo, la pancia di pecora con calamaro che penso mi porterò dietro per un po’».

Qui si percepiscono vibrazioni importanti, l’ambizione è tanta e sembrate già in odore di riconoscimenti importanti…
«Ambizione è sempre alta, ma ciò non vuol dire che si lavori avendo come primo obiettivo entrare in guide particolari o avere riconoscimenti importanti. Quelli devono essere considerati una conseguenza del buon lavoro che si fa, del far star bene il cliente. Però ovviamente ci farebbe piacere, sarebbe una grande soddisfazione, per quanto sarebbe un plus e non il fine ultimo. Da quando ho 21 anni, età in cui entrai da Arnolfo, ho sempre lavorato in ristoranti stellati e sarebbe una grande cosa poter portare la Stella anche qui. Ma questo, se ce lo meriteremo, lo vedremo col tempo. L’importante è avere il ristorante pieno, i clienti felici e i conti in ordine. Se chi chiedi se siamo a un livello in cui ce la meritiamo ti rispondo di sì, ma vedremo più avanti cosa succederà».

Non ultimo aspetto: Coro dispone anche di 9 camere in cui poter soggiornare nel centro storico di Orvieto, oltre al già citato cocktail bar Gocce in cui potersi concedere un aperitivo o un piacevole after dinner con i drink ideati e realizzati da Domenico Sciascia.

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Alberto Lupini


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