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Flamigni, dal 1930 pasticceria in movimento

Una storia che inizia nel 1930 in Romagna e da subito si delinea in modo originale. I prodotti di punta non sono i tipici, ma il torrone prima e il panettone con tutta la regalistica poi

 
25 maggio 2022 | 12:12

Flamigni, dal 1930 pasticceria in movimento

Una storia che inizia nel 1930 in Romagna e da subito si delinea in modo originale. I prodotti di punta non sono i tipici, ma il torrone prima e il panettone con tutta la regalistica poi

25 maggio 2022 | 12:12
 

A Milano i biscotti, il torrone e i lievitati “Flamigni” hanno messo in luce, durante la presentazione nel ristorante “Il liberty” di via Monte Grappa, un pezzetto di storia d’impresa dai tratti insoliti. Si tenga presente che a livello gastronomico l’Italia è il paese delle contaminazioni e delle sorprese, e quindi non bisogna meravigliarsi nell’apprendere che la Romagna è anche terra di torrone e panettone. Capito bene: non solo piadina, cappelletti e squacquerone, c’è dell’altro. E da quasi cent’anni: tutto ha inizio nel 1930 a Forlì, anno in cui i fratelli Armando, Lieto e Aurelio Flamigni aprono una pasticceria nel centro cittadino. Dopo qualche anno i loro negozi si moltiplicano, diventando tappa obbligata per tutti i viaggiatori che dal Nord si recano in vacanza nella zona della Riviera adriatica. Il rigore nei metodi di lavorazione e la scelta degli ingredienti migliori decretano i primi successi dell’azienda.

Le creazioni Flamigni Flamigni, dal 1930 pasticceria in movimento

Le creazioni Flamigni

La svolta: puntare sulla regalistica

La svolta arriva negli anni '70 quando Marco Buli, genero di uno dei fondatori, rileva il marchio e decide di sfornare nuovi progetti. Il prodotto di punta è il torrone e Flamigni diviene il sinonimo per indicarlo, nel mercato specializzato, ma l’intuizione decisiva è quella di puntare in prima battuta sulla regalistica, il settore commerciale degli oggetti da regalo; un mercato nuovo, a quei tempi, che ha il merito di legare l’immagine dell’arte pasticciera al concetto di festa e di dono.

«A quel punto - ricorda Massimo Buli, attualmente alla guida dell’azienda - si pensò di cominciare a produrre anche il panettone, e così giungiamo agli inizi degli anni ottanta: la collocazione era nella fascia top, con ingredienti di altissima qualità, costi e prezzi corrispondenti. Oggi la nostra filosofia è rimasta quella degli inizi, ossia lavorare bene con criteri artigianali. Ciò non vuol dire rifiutare la tecnologia industriale, perché sarebbe anacronistico: l’artigianalità sta nella ricerca delle migliori materie prime, nella qualità del ciclo produttivo, nell’attenzione al fattore umano, che da noi è determinante: abbiamo infatti le signore delle uvette, che curano la selezione, il bagno delle stesse, la loro prima lavorazione. Quindi i maestri del lievito madre che lo curano e lo coccolano per 365 giorni all’anno. E ancora il maestro degli impasti, colui che regola i dosaggi dei vari ingredienti che andranno a comporre i lievitati. Infine, le signore del riposo, che lasciano i futuri lievitati nella stanza dove si riposano prima della cottura, e a completare il ciclo i guardiani del forno. Automazione sì, ma senza robotizzare tutto, insomma».

Solo torrone e lievitati o c’è altro che bolle in pentola (forno)?
Da una decina di anni abbiamo anche un impianto per la produzione di biscotteria e pasticceria artigianale. E venendo alla protagonista di oggi, la nuovissima linea di pasticcini salati per aperitivo, mi pare giusto ricordare che è un’idea figlia del recente lockdown: in un momento in cui i miei viaggi di lavoro si erano rarefatti mi sono trovato a riflettere sulla movida e sulla moda degli aperitivi. Frequentatissimi dai più giovani: le mie nipoti, così pare, se non vanno agli aperitivi si sentono fuori dal giro. Viste le potenzialità, perchè non venir fuori con qualcosa di totalmente innovativo, mi sono detto? E quindi, anche sulla scia di prodotti similari visti e apprezzati a Parigi, è venuta fuori “Aperitivo italiano”, una linea di pasticcini salati che ricalca le eccellenze gastronomiche del nostro paese. Insieme ad un celebre pasticciere/consulente di Alessandria, Stefano Laghi, abbiamo ideato il giro d’Italia in otto aperitivi: il Piemontese, il Meneghino, il Toscano, il Cacio e pepe, il Fiore di riviera, l’Emiliano il Vesuviano, il Siciliano. In ognuno si ritrovano i prodotti iconici che ci identificano in tutto il mondo: la nocciola del Piemonte Igp e il peperone, ovvero la farina di riso e lo zafferano, le olive taggiasche e il basilico, pomodoro e origano, pistacchi e capperi e così via. Nelle ricette può ritrovarsi anche una sottile vena provocatoria, come nel cantuccino toscano con mandorle salate e rosmarino.

Nello specifico, a quale tipo di distribuzione punta la linea “Aperitivo italiano”?
All’inizio avevamo in mente i dettaglianti, che sono da sempre i nostri clienti principali. È stato Camillo Serena, il direttore marketing di “Flamigni”, a convincermi che l’Horeca poteva essere una scelta vincente. Abbiamo perciò cominciato a valorizzare le richieste provenienti da questo mondo, scoprendo che esiste tutta una serie di locali e di eventi per cui questo tipo di prodotto pronto da servire rappresenta una soluzione a un problema. Questo ci ha incoraggiato a proseguire con le invenzioni, e così sono arrivati i pasticcini salati ripieni che oggi vi presentiamo: friabili fuori e più morbidi dentro, al Gorgonzola Dop, Radicchio Igp, Acciughe del Cantàbrico e Caviale italiano.

Non ci era ancora capitato di testare una gamma così ampia di specialità già pronte da servire in aperitivo, caratterizzate da una qualità delle materie prime ben riconoscibile al palato; si conferma, allora, che un’azienda può reggere le sfide del mercato per quasi un secolo solo a patto di evolvere e rinnovarsi. Nella storia del marchio “Flamigni” sembra scritto proprio questo, essendo questi imprenditori passati dal torrone al panettone e poi al caviale, perfezionandosi nell’arte di spiazzare. Che è pur sempre un modo di stare sul mercato, resistendo alla tentazione di mettersi comodi e seguire le mode, quando si potrebbe anche inventarle.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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