Cucinare in casa a pagamento, nessuna sicurezza e soldi in nero

10 marzo 2015 | 11:37
di Alberto Lupini
Un tempo in Italia quasi tutti si sentivano ct della nazionale di calcio. Ora, dopo anni di Prova del cuoco, MasterChef e altri spettacolini in tv fra forni e padelle, a molti italiani è venuto il “trip” di fare il cuoco. Per i giovani scatta la scelta degli istituti alberghieri, mai così frequentati. Ma per gli adulti è un po’ più difficile potersi esibire in pubblico. O meglio, lo era fino a poco tempo fa, visto che negli ultimi mesi impazza la moda del social eating, ed ogni ragioniere, avvocato o agente di commercio, grazie a un avviso in internet, può trasformare la sua casa in ristorante e di fronte ad un pubblico “pagante” sentirsi un po’ come Cracco.

A un dirigente o impiegato frustrato il web regala la possibilità di essere appagato per gli apprezzamenti alle sue orecchiette alle cime di rapa o le melanzane alla parmigiana. Tutto risolto dunque? Lo potrebbe essere se queste cene fossero, come è sempre successo, con gli amici. La nuova realtà che si appoggia a siti e portali, di cui al momento il più famoso è Gnammo, prevede invece il pagamento di un corrispettivo (per giunta anticipato) da parte di estranei. Il che cambia radicalmente la natura di queste cene che, a conti fatti, rappresentano un tipico aggiustamento all’italiana che puzza di evasione fiscale (anche se modesta) e assenza di controlli di sicurezza.

Se da un lato è certamente stimolante l’idea della convivialità domestica, dall’altro non si può accettare che, in assenza di qualunque controllo o regola, qualcuno possa costruire il proprio business basato sul cibo pur non essendo un cuoco professionista. Tracciabilità dei prodotti e Haccp, per restare ai campi che interessano maggiormente la nostra salute, non sono optional di cui deve usufruisce solo chi entra in un ristorante. L’attenzione alle intolleranze non è che sia proprio una cultura così diffusa da permettere a chiunque di farsi pagare (in nero...) per dare da mangiare ad estranei in casa sua.

E non parliamo della concorrenza sleale nei confronti dei ristoranti, perché questa è talmente evidente che non si capisce perché la Guardia di finanza non si sia ancora mossa. Eppure questa idea di cenare in casa di estranei (soprattutto se la casa merita una visita) potrebbe essere risolta tranquillamente rivolgendosi a cuochi a domicilio o a ristoranti che possono organizzare serate ad hoc. È il padrone potrebbe fare da secondo in cucina. Di novelli piccoli Cracco esibizionisti ed evasori fiscali francamente non ne abbiamo bisogno...

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