Concessioni balneari, Meloni cerca una soluzione. Ma il problema è il Demanio…

Con la proroga delle concessioni, l’Italia rischia di perdere parte dei miliardi del Pnrr. Serve una riforma subito, ma lo Stato non sa quanti sono gli stabilimenti balneari per l’inefficienza del Demanio . La premier, che deve superare i veti di Lega e Forza Italia, ha il sostegno di Mattarella

27 febbraio 2023 | 17:23
di Alberto Lupini

Ma è possibile che 10.500 “spiagge attrezzate con ombrelloni” (con circa 100 mila addetti d’estate) possano inchiodare la politica italiana e innescare rischiosi confronti fra le istituzioni (Unione Europea in testa)? Da 14 anni si sa che per una norma europea (votata anche dall’Italia) si deve introdurre più concorrenza a livello di servizi attraverso il sistema delle aste (e quindi anche sulle concessioni demaniali), ma come sempre noi arriviamo buoni ultimi. Col rischio stavolta di una procedura di infrazione europea che ci potrebbe fare perdere parte dei circa 200 miliardi del Pnrr. Un pericolo talmente concreto che è dovuto intervenire il presidente Sergio Mattarella per avvisare il Governo che l’ennesimo decreto di proroga andava subito rivisto. Anche perché abbiamo poco tempo per approvare una serie di riforme senza le quali parte dei finanziamenti europei sarebbero annullati. Per le concessioni avremmo dovuto avere tempo fino a fine 2023, ma col Milleproroghe la scadenza (in contrasto con gli impegni presi a livello europeo) si era scelto di rinviare un’altra volta. Ed è dal Governo Prodi che si va avanti così!

Le “battaglie di bandiera” di Forza Italia, Lega e di una frangia di ultrà di Fratelli d’Italia, avevano costretto il premier Giorgia Meloni ad accettare questa ennesima proroga “sfidando” le norme europee, ma ora bisogna rimediare al nuovo svarione postelettorale per evitare il peggio. Il capo del Governo stavolta ha il sostegno del presidente della Repubblica ed è probabile che nel giro di un paio di giorni ponga mano a quella “riforma” che si aspetta da tempo, superando i veti dei suoi "ultrà".

Il problema è l’inadeguatezza del Demanio

In campo c’è il non facile rapporto fra una lobby che difende legittimi interessi, da un lato, e regole di mercato più trasparenti, dall’altro. Un po’ come avviene con le licenze dei taxi. Ma a ben guardare il vero problema è l’inadeguatezza della nostra struttura burocratico-amministrativa che complica ogni decisione. Già, perché se andiamo a controllare, alla base di tutto questo pasticcio (al di là della demagogia di alcuni politici) c’è proprio la pessima gestione del Demanio, tanto che a oggi non si è ancora in grado di avere una “mappatura” precisa di cosa si sta discutendo… E le proroghe sarebbero giustificate proprio dalla mancanza di informazioni precise sulla realtà “concessioni”.

In 3 anni si è passati da 100mila a 26 mila concessioni

Il Demanio (l'ente a cui fanno capo tutte le proprietà immobiliari dello Stato) è da tempo uno dei buchi neri della burocrazia italiana. In cassaforte ha innumerevoli immobili e terreni, ma in molti casi si tratta di beni che non rendono nulla o, peggio, che sono soggetti a degrado. Per non parlare della case date ad affitti di favore ai politici e alla dirigenza dello Stato. E il peggio è che il sistema non sa nemmeno cosa gestisce. Un dato per tutti. Tre anni fa risultano attive 100mila concessioni, di cui ben 76 mila legate al comparto del turismo. Numeri forse senza senso se si pensa che secondo un recente studio di Nomisma e Fipe, attualmente ci sono invece in essere 26.313 concessioni, 15.414 delle quali ad uso turistico-ricreativo, considerando cioè anche villaggi vacanze, campeggi, ristoranti, discoteche e porti. Di queste ultime le imprese che sono "solo" o principalmente stabilimenti balneari sarebbero ora 6.952. Considerando anche i “bagni” di hotel, campeggi, villaggi, ecc si dovrebbe arrivare alle indicate 10.500 spiagge attrezzate in concessione.

 

Un numero che in termini di superficie rappresenta solo lo 0,5% delle proprietà del Demanio, che di fatto si è sempre disinteressato di come erano gestite e di quanto garantivano all’erario. Un dato per tutti: complessivamente da tutte queste concessioni per stabilimenti balneari lo Stato incasserebbe appena 100 milioni di euro a fronte di fatturati medi di 260mila euro per “bagno”. Ricordiamo, per inciso, che la sola galleria Vittorio Emanuele a Milano garantisce in affitti al Comune 65 milioni l’anno…

Ma quanti sono gli stabilimenti balneari? E ci sono pure le concessioni dei Comuni…

Ma andiamo oltre. Con poco più di 10mila concessioni demaniali di spiagge, come è possibile che qualche politico (Salvini per tutti) parli di almeno 30mila aziende in Italia? Quanti sono in realtà gli stabilimenti balneari? La confusione può essere alimentata proprio dai numeri ballerini che forniva il Demanio, ma ora è tempo di fare chiarezza. Anche perché, in pochi ne parlano, ma la realtà è ancora più complessa di quanto sembri. Non tutti i “bagni” sono realizzati su aree dello Stato. Ci sono zone dove le spiagge sono “private” (il 10% ad esempio a Rimini), mentre in altre sono di proprietà comunale (la gran parte di quelli di Misano Adriatico, ed esempio). Queste ultime sono comunque soggette a concessione ma, a conferma del caos legislativo italiano, in questo caso andranno a gara nel 2025 e le regole le detterà ogni singolo Comune.

 

E nelle concessioni ci sono anche i porti

Per aggiungere caos al caos, va ricordato che nelle 15mila concessioni ad uso turistico ci sono anche quelle dei porti. Per quanto riguarda specificatamente le infrastrutture della nautica da diporto va ricordato che la norma varata a maggio dal Governo Draghi le ha forse impropriamente incluse nell’ambito delle norme regolatorie delle spiagge, a esse del tutto inapplicabili per gli investimenti in campo e strutture inamovibili (banchine, moli, ecc), fino al paradosso di prevedere l’obbligo di libera balneazione all’interno dei porti.

Le spiagge fanno gola a investitori stranieri?

Ma perché il tema concessioni/aste è così esplosivo? Nella logica delle regole europee sulla libera concorrenza, le gare di appalto svolgono un ruolo fondamentale per realizzare infrastrutture, come per usare beni demaniali in concessione (e quindi pubblici di tutti). Il problema è che molte parti delle coste utilizzate per turismo in Italia farebbero gola a molti investitori stranieri. E qui scatta l’allarme di chi cita le molte concessioni passate in mano straniera in Grecia (per tutti il porto del Pireo), dimenticando che in quel caso Atene ha fatto cassa quando era a rischio bancarotta…

Vanno rimborsati gli investimenti fatti

Eppure una soluzione equa sarebbe stata facile da raggiungere, visto che un po’ tutti sono d’accordo sul prevedere degli indennizzi per quei gestori che, pur avendo investito molti soldi nel loro “bagno” potrebbero perderlo all’asta di fronte a offerte superiori a quanto potrebbero mettere sul tavolo per confermarsi concessioni che oggi “costano” pochissimo, e non garantiscono allo Stato quasi nemmeno il rimborso di cosa costa incassare i canoni… E non è che il recente aumento dei canoni del 25% cambierà la situazione. È invece indubbio che gli investimenti fatti (in condizioni di quasi certezza di potere continuare l’attività) vanno rimborsati in caso si perda all’asta. In molti casi parliamo di strutture con ristoranti, piscine, palestre e discoteche.

Già, ma come quantificare questi indennizzi? E qui casca l’asino, perché in molti casi c’è un problema tutto italiano: i soldi spesi non sono giustificabili perché fatti in nero. Come dire, non tutti i gestori avevano fatture da mettere in bilancio. Anche perché magari erano in nero anche parte degli incassi… Da qui la richiesta di tutte le associazioni di categoria di tutelare i concessionari uscenti e di prevedere un congruo indennizzo nei casi in cui la concessione non venga rinnovata a prescindere dai bilanci. Una situazione che richiama un po’ il problema dei ristori durante la pandemia: se il locale in precedenza aveva lavorato in nero, o avevano dipendenti senza contratto, come poter avere ristori adeguati in base ai bilanci?

Molte sono le richieste, condivisibili, delle imprese: imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento e, nel caso di rinnovi, valorizzando l'esperienza tecnica e professionale già acquisita, gli investimenti effettuati, la stabilità occupazionale e la continuità delle attività economiche. Il tutto con una tutela dal rischio di monopolio delle risorse pubbliche a vantaggio dei consumatori e delle imprese

La direttiva europea si può non applicare?

Ma non finisce qua. La direttiva Bolkestein (la regola europea che regola la libera concorrenza a livello di servizi) potrebbe non essere applicata? C’è chi lo sostiene perché il “bagnasciuga” sarebbe un bene e non un servizio, ma questa contestazione sembra davvero debole, tanto che sono rimasti in pochi a proporre questa interpretazione già boccata anche dal Consiglio di Stato italiano. Secondo Assobalneari Federturismo Confindustria ci sarebbe invece una ragione più forte, sostenuta anche dal senatore Maurizio Gasparri, di Forza Italia, per “interpretare” la direttiva. In Italia si sono 8mila kilometri di costa “libera”: perché non metterli all’asta? Un modo un po’ “peloso”, ci sia concesso, per cercare di sviare il tema e lasciare tutto come sta. Cosa che, non va dimenticato, stanno cercando di fare anche Portogallo, Spagna e in parte la Francia che hanno prolungato le concessioni incappando in richiami della Commissione europea, come rischia ora l’Italia.

Il tema delle “tante” spiagge e coste italiane è peraltro delicatissimo. Al di là di un conflitto con gli obiettivi di tutela ambientale, lascerebbe intatta tutta la situazione attuale cristallizzandola senza ammettere alcun possibile turnover nelle gestioni e impedendo anche possibile crescite aziendali o la creazioni di network “italiani”.

Sta di fatto che la questione è interessante per capire l’anomalia italiana del caso. La norma europea sulla concorrenza sembrerebbe poco adatta al caso delle spiagge che pochi Paesi hanno come l’Italia. Tutto il centro e nord Europa non hanno le nostre spiagge… Il tutto senza contare che la prima concessione di una spiaggia in Europa è datata 1781 e fu fatta in Toscana. Come dire: abbiamo una storia e e una realtà alle spalle che non ha eguali, valorizziamola ma adeguiamoci al nuovo Millennio. E nel caso trattiamo con l'Europa.

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