Caffè ristretto a Torino: chiusi mille bar in dieci anni
La Camera di Commercio ha fotografato il calo dei pubblici esercizi, scesi a 5.930 nel 2021. L'espansione incontrollata, la qualità bassa dell'offerta, il caro affitti e l'emergenza pandemica fra le cause del crollo
È di questi giorni la fotografia fatta dalla Camera di Commercio di Torino sul trend di decrescita di bar ed esercizi assimilati dal 2012 al 2021. I dati raccolti parlano di 6.853 unità nel 2012 scese a 5.930 del 2021. Andiamo a rileggere con Paolo Troccoli, vice presidente Epat/Ascom e responsabile del servizio pubblici esercizi, i dati della Camera di Commercio di Torino alla luce di quanto è successo in questi 10 anni. Gli aspetti da tenere in considerazione per commentare questa drastica diminuzione sono diversi: l'aumento incontrollato di attività dopo il via libera della legge Bersani, il drastico calo dell'offerta, la crisi della Fiat, che ha portato molti suoi ex lavoratori a cercarsi un nuovo impiego, puntando sulla ristorazione, il caro affitti e ovviamente anche l'emergenza pandemica hanno portato a un quadro a tinte fosche.
Caffè ristretto a Torino, ecco le cause delle chiusure
Nel 2012 la statistica riporta una crescita consistente rispetto al periodo precedente quasi del 3%. Da ricordare nel 2006 la legge Bersani che ha rivoluzionato in generale il settore dei pubblici esercizi in tema di licenze. Di conseguenza si è verificata un’espansione indifferenziata dell’offerta non supportata nè dall’utenza turistica, seppur cresciuta, nè dal numero della popolazione che dal 2012 ad oggi è diminuito di 50mila unità (oggi Torino ha 850mila abtitanti). Senza dimenticare che l’eccessiva concorrenza ha portato ad una qualità medio-bassa sotto tutti i punti di vista. Ed ancora, in quegli anni si è assistito al ridimensionamento degli stabilimenti Fiat e molte persone licenziate si sono tuffate nella nuova avventura imprenditoriale offerta dall’attività ristorativa. Nel 2018 non ha di certo giovato il fallimento della società dei buoni pasto lasciando migliaia di bar e ristoranti nell’impossibilità di riscuotere i propri crediti con il conseguente ricorso all’aiuto delle banche. Per finire il caro affitti: in molti casi allo scadere dei vecchi contratti di locazione il canone è quasi raddoppiato.
Tra le chiusure anche qualche "vittima illustre"
Tra gli esercizi chiusi anche alcuni di quelli storici, una grave perdita anche per il patrimonio culturale della città. Per ricordarli: in piazza San Carlo il Caval d’brons, caduto nel dimenticatoio dal 2016; il Caffè San Carlo i cui locali sono di Intesa Sanpaolo, che ha in mente di aprire forse quest’anno un ristorante di lusso ed ancora il Fiorio di via Po.
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Nel 2020 è arrivata la pandemia che ha cambiato le abitudini
Siamo arrivati al 2020 con l’inizio della pandemia: i locali passano da 6.109 del 2020 a 5.930 del 2021, una percentuale negativa del 2,9%. Stando alle notizie poco confortanti di questo ultimo periodo la situazione decisamente non si prospetta rosea penalizzata dalle mutate abitudini dei consumatori e dai nuovi modelli di canali di acquisto, ma non solo. Fulvio Griffa, presidente provinciale della federazione dei pubblici esercizi della Confesercenti, fa notare che da un lato stiamo uscendo dall’ultima ondata della pandemia, ma siamo appena entrati in quella eonomica. «Nel nostro settore quasi tutti i locali per sopravvivere hanno fatto ricorso al credito facilitato - ha ammesso - Tra marzo, aprile e maggio arrivano le scadenze delle rate, a questo si sommano le rate delle cartelle esattoriali come Iva e Tari, che chiede il pagamento della prima rata entro il 31 marzo; a tutto questo si aggiungono i rincari delle materie prime e l‘aumento dei costi delle utenze. Al di là della statistica occorre incominciare a parlare del prossimo futuro con un piano per il commercio/turismo dove il rilancio deve essere accompagnato da una vera programmazione a lungo termine, i ristori pubblici non sono la soluzione».
L'inversione di tendenza portata da Gerla
Una positiva inversione di tendenza si registra con il marchio Gerla 1927. «L’anno scorso è stato ricco di aperture per il gruppo - ha detto Roberto Munnia, presidente del gruppo - Che ha trasferito l’esperienza imprenditoriale acquisita nell’azienda di famiglia al mondo della ristorazione. Solo in città a luglio l’inaugurazione del ristorante La Pista del Lingotto, ma soprattutto di due locali storici, Gertosio in via Lagrange e Platti di corso Vittorio. Di recente abbiamo vinto il bando per la gestione per quattro anni dei foyer del Teatro Regio. La nostra azienda ha raggiunto una forte credibilità sul territorio, grazie agli investimenti che comprendono continua innovazione, formazione dei giovani e assunzione di professionisti. Il nostro scopo è di offrire qualità di prodotto e nel servizio e questi sforzi ci vengono riconosciuti anche dal mercato estero. Abbiamo richieste interessanti da Riad a Dubai e ci stiamo muovendo. Questo non vuol dire che non abbiamo registrato delle flessioni nei consumi, ma abbiamo cercato di modulare le uscite con le entrate. Rispetto ad una volta a Torino ci sono molti locali, la liberalizzazione non ha di certo giovato. La chiusura di mille aziende è un grosso danno, dal punto di vista economico e da quello sociale. Quello che manca è l’entusiasmo, per intenderci quello degli anni Novanta in cui si lavorava molto, siamo colpiti ogni giorno da notizie negative. Occorre ritrovare l’entusiasmo, politica e media possono fare molto».
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Alberto Lupini