È di nuovo bufera sul mondo pizza. Oggi nell’occhio del ciclone non è più Carlo Cracco con la pizza a 22 euro, ma un altro nome di peso: Flavio Briatore. Crazy Pizza, la sua catena internazionale con locali anche a Milano e Roma, è stata presa di mira dai social per il prezzo al pubblico delle pizze, dalla Pomodoro a 14 euro alla Pata Negra a 65, con la Margherita a 15. E Briatore, che non è certo persona che schiva il confronto, ha contrattaccato su Instagram prendendosela con i pizzaioli che vendono la pizza a 4 euro. Giustissimo il suo ragionamento: la pizza è cara, perché le materie prime di fascia alta costano e dipendenti, affitto, forniture e tasse vanno pagati. Per stare in piedi come attività, «con uno scontrino a 4 euro, si devono vendere almeno 50 mila pizze al giorno», ha puntualizzato. Ha però poi alzato i toni. «Io sono un genio, voi no, questa è la differenza», andando a sbeffeggiare una percentuale irrisoria delle decine di migliaia di professionisti della pizza.
Parlano i professionisti
«Qualcuno in Italia – racconta Giovanni Santarpia dalla sua pizzeria di Firenze – serve ancora pizze a 4 euro, ma è una nicchia marginale. Non so come possano fare. Per quanto mi riguarda, un sacco da 12,5 chili farina mi costa 26 euro e poi ci sono le altre materie prime, il personale e l’affitto. In una città come Firenze una Margherita non può costare meno di 8,50 euro». Gli fa eco Renato Pancini dalla pizzeria Al Foghèr di Arezzo: «Una pizza Margherita non può essere venduta a meno di 7 euro. Cominciano e togliere il 10% di Iva e il 25% di tasse e poi il personale, che va pagato e bene. La pizza a 4 euro? Forse in qualche paesino, ma i conti in ogni caso non tornano. Tutto è relativo, comunque, e l’ultima parola ce l’ha la cassa». «Il costo della vita del luogo in cui sei è determinante – spiega Michele Di Giglio, titolare del Peperon Risto-Pub di Gravina in Puglia (Ba) – Qui il prezzo giusto di una pizza è tra i 5 e i 6 euro. Non siamo a Milano e ci tengo a ricordare che la pizza nasce come piatto povero, cibo di strada».
La replica
Chi prende di petto Briatore, con toni grevi, è Francesco Emilio Borrelli, presidente della Commissione agricoltura della Regione Campania: «Sulla pizza napoletana non accettiamo lezioni da chi non ha nessun titolo per farne. Ancora una volta Flavio Briatore interviene a sproposito non sapendo minimamente di cosa parla. La pizza, riconosciuta dall’Ue con marchio Stg - Specialità tradizionale garantita, inserita dal 2017 nella lista Unesco dei patrimoni mondiali dell’umanità per la tradizione del pizzaiolo napoletano, è tipicamente un piatto povero e popolare, non di certo appannaggio per cafoni arricchiti. La tradizione secolare e la cultura che accompagna questo straordinario piatto di certo non può essere insolentita da un parvenu della ristorazione per ricchi. Briatore farebbe bene a venire a lezione dai pizzaioli napoletani dai quali potrebbe apprendere tanti segreti per una buona pizza realizzata con prodotti di qualità e alla portata di tutti. Faccia liberamente i suoi affari senza dare lezioni a chi rappresenta la storia e il successo di questo prodotto».
Punti di vista
Morale della favola, Briatore, facendo un po’ il “ganassa” (sbruffone, ndr), ha attirato l’attenzione sui suoi locali, pur sbagliando bersaglio, perché la pizza in Italia vola ben oltre i 4 euro e i pizzaioli non «fanno mattoni con un laghetto di pomodoro al centro». Semmai ci si può interrogare sulla sua clientela che è ben felice di spendere 65 euro per salsa di pomodoro, mozzarella di Bufala e prosciutto Pata Negra Joselito a pioggia. Del resto, lo stesso Briatore, criticato qualche anno fa per i prezzi della carta Champagne al Billionaire, in Costa Smeralda, sottolineava il fatto che tutti eran ben felici di metter mano al portafoglio. E in questo è davvero un genio.
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Alberto Lupini
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