Bar, ristoranti e negozi in ginocchio: contagi e smart working creano il deserto

Mancano clienti. Il caso di Milano dove ConfCommercio parla di un calo del 72%. Sangalli e Stoppani chiedono nuovi aiuti e cassa integrazione. C'è chi rimpiange i lockdown e i ristori

15 gennaio 2022 | 19:55
di Alberto Lupini

In molti cominciano quasi a rimpiangere i tempi del lockdown: era quasi tutto chiuso, non si poteva lavorare ma, anche se insufficienti, c’erano i famosi “ristori” e la cassa integrazione. Ora, invece, per negozi, bar e ristoranti c’è comunque il vuoto di clienti, o quasi, ma tutti i costi (dalle tasse al personale e l’energia) restano in capo alle aziende, già provate da due anni di pandemia. E intanto l’inflazione e la speculazione hanno innescato rincari assurdi, dalla pasta al caffè.

Parlare di allarme rosso è quasi una banalità, tanto è lo stato di crisi del comparto del commercio e dei servizi, i cui addetti sembra sentinelle del deserto dei tartari in attesa di chi … non arriva mai. Una situazione che è diventata insostenibile soprattutto nei centri urbani di tutte le città, dove fra persone contagiate, gente in quarantena e smart working i clienti sono sempre più rari. Per non parlare della limitazione agli ingressi con il divieto ai no vax di entrare in bar o ristoranti. Un esempio per tutti, secondo uno studio di ConfCommercio, è quello offerto da Milano, dove i clienti sono in calo per il 72% e i rifornimenti sono a singhiozzo (segnalati da un’impresa su 5). Per non parlare degli innumerevoli disagi per dipendenti e collaboratori in isolamento domiciliare (con i relativi costi della malattia a carico delle imprese) che colpiscono almeno il 41% degli esercizi.

Il punto più critico è l’assenza dei clienti per lo smart working

Il dato campione deriva da un’indagine che ha coinvolto mille imprese in tre giorni di Milano, Monza-Brianza e Lodi (il 43% delle quali nel capoluogo). Hanno risposto alle domande ristoratori (26%), imprenditori nel settore dei servizi (20%) e negozianti al dettaglio non alimentare (19%).

Insomma, una situazione da crisi nera che l’associazione dei commercianti ha il suo punto di maggiore crisi nello smart working, denunciato dal 68% degli intervistati. E fra chi ne subisce gli effetti più negativi, ovviamente ci sono i ristoranti che ne sono colpiti all’87%.

 

La paura di finire in ziona arancione

Per non parlare che dietro l’angolo c’è la paura della mazzata finale che potrebbe arrivare se la Lombardia (ma ovviamente l‘effetto vale per tutta Italia) da zona gialla ad arancione. Il 57% degli intervistati stima per ConfCommercio, un’ulteriore perdita variabile dal 10% al 30%, mentre il 10% teme anche di chiudere. E già oggi secondo la Fipe i ristoranti stanno perdendo fatturato in un periodo già basso di suo.

È più che comprensibile che in queste condizioni il 91% delle imprese sia insoddisfatta delle misure attualmente in vigore per contrastare gli effetti dell’emergenza Covid. Come priorità il 37% chiede agevolazioni fiscali, il 28% maggiori e più rapidi indennizzi, una moratoria creditizia il 18%, la cassa integrazione Covid il 17%.

Non bastano le misure del Governo: Sangalli chiede indennizzi e cassa integrazione

A grande maggioranza (l’80%) c’è fiducia nel vaccino è c’è consenso con l’obbligo introdotto per gli over 50. Crolla invece il consenso sui provvedimenti e le iniziative per contrastare la pandemia: misure eccessive per il 55%, insufficienti per il 45%. «A causa degli effetti della variante Omicron - commenta per parte Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio - le imprese del terziario rischiano una nuova e profonda crisi. Cali di fatturato e problemi di personale sono le criticità più evidenti. Da qui la richiesta urgente al governo ma anche alle istituzioni locali, di attivare al più presto sostegni per i settori imprenditoriali più colpiti. In particolare indennizzi, rinnovo cassa Covid e moratorie fiscali e creditizie».

Stoppani: Momento difficile, ma non si può più chiudere

Questioni rilanciate recentemente anche dal presidente di Epam (associazione del commercio di Milano) e della Fipe nazionale, Lino Stoppani, che nei giorni scorsi a Italia a Tavola aveva ricordato come quest’anno c’è il Covid a trascinarla ancora più giù e i contagi alle stelle, con tutto quello che ne consegue, rappresentano una mazzata per la ristorazione, già abbastanza indebolita da due anni di pandemia. «Parlare di un -80% di fatturati credo sia eccessivo - spiega riferendolsi ad alcuni allarmi forse esagerati - anche se non si può negare che gli affari non vanno bene. Gennaio è sempre un mese dell’anno magro, perché viene dopo le Festività per cui i ragionamenti vanno inquadrati anche in questo contesto. Noi, come associazione, eravamo però di fronte a un bivio: puntare a restare chiusi e vivere di ristori, oppure puntare a restare aperti per essere pronti a tornare a pieno regime in fretta una volta scemata l’emergenza. Abbiamo preferito insistere sulla seconda ipotesi, perché ci crediamo e perché è nello spirito imprenditoriale giusto. Ciò non significa che non continuiamo a chiedere al Governo sostegni, sia sul fronte della cassa integrazione che su quello della liquidità che comunque dei ristori».

 

Anche la ristorazione collettiva è in crisi, sono a rischio ottomila posti di lavoro in Italia

Non soltanto i bar e i ristoranti, la nuova emergenza pandemica e la reintroduzione dello smart warking stanno mettendo in ginocchio anche il settore della ristorazione collettiva. Secondo lo studio dell'Osservatorio Oricon sulla ristorazione collettiva, pubblicato a dicembre, sono a rischio ottomila posti di lavoro

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