Per i balneari italiani la parola d'ordine di questo periodo, loro malgrado, sembra essere una soltanto: incertezza. L'anno appena iniziato dovrebbe, infatti, portare alle tanto discusse nuove regole per l'assegnazione delle concessioni, in ossequio alla direttiva europea Bolkestein. Il condizionale è d'obbligo perché, nonostante la scadenza sia chiara (il 31/12/2023), ancora non esistono indicazioni chiare e i decreti attuativi della legge sulla Concorrenza, attesi a febbraio, potrebbero slittare di nuovo.
In questo panorama già di per sé teso e complesso si è aggiunta una novità: il ministero delle Infrastrutture, con una circolare, ha aumentato i canoni delle concessioni balneari del 25,15%, che porta il minimo da 2.698 a 3.377 euro. Una decisione che ha trovato la dura opposizione delle associazioni di categoria. «Si tratta di un provvedimento ingiustificato e ingiusto - hanno sottolineato Sib, Sindacato italiano balneari, e Fiba, Federazione italiana imprese balneari - Ingiustificato perché è più del doppio dell'indice Istat registrato nel 2022 (11,5%) e più del triplo dell'inflazione (8,1%). Ingiusto perché esaspera un meccanismo di determinazione dei canoni sbagliato (in quanto non parametrato all’effettiva redditività dell'area oggetto di concessione), e disincentivante rispetto agli investimenti per il potenziamento dei servizi balneari».
Degli aumenti e del momento che stanno vivendo i balneari, ne abbiamo parlato con Alberto Bertolotti, vicepresidente del Sib.
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Il punto di partenza non può che essere proprio l'aumento dei canoni deciso del ministro delle Infrastrutture. «Sicuramente alla notizia gran parte dell'opinione pubblica avrà gioito - ha sottolineato Bertolotti - Per anni si è creato un odio sociale nei nostri confronti che ha giustificato provvedimenti normativi violenti nei confronti dei balneari. La nostra realtà non è composta soltanto dal Twiga, di fronte al quale mi tolgo il cappello per le capacità imprenditoriali, ma anche da piccole realtà, chioschi a cui questo genere di aumento può sconvolgere il conto economico. Si tratta comunque, al momento, di un falso problema».
Cosa intende?
Che quella dei canoni è una delle tante riforme che attendiamo dal 2006 e che andrebbero discusse con il comparto e non fatte entrare come una mannaia da un momento all'altro. Serve una riforma organica. Noi abbiamo sempre dato la nostra disponibilità, dimostrando senso dello Stato e delle istituzioni, ma è necessario definire nel dettaglio i termini dell'europeizzazione dei balneari italiani.
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Che effetto hanno queste incertezze sul comparto?
Noi dal 2006 siamo appesi al nulla, a causa di un vuoto normativo che nessuno ha voluto colmare. Questo ha significato nessun investimento significativo e una conseguente svalorizzazione del comparto balneare. In questo modo lo si è reso appetibile per chi ha denaro a disposizione e vuole investirlo, facendo "shopping" in uno degli assetti fondamentali dell'economia italiana. Forse però è proprio questo l'obiettivo...
A cosa fa riferimento?
Non vorrei che dietro a tutti questi ostacoli imposti a livello europeo ai balneari italiani aleggino gli interessi dei grandi gruppi finanziari internazionali. Quello dei balneari è uno dei comparti trainanti del turismo in Italia. Basta pensare alla Sardegna, dove la maggior parte dei turisti sceglie di venire proprio per il mare e per ciò che il turismo balneare può offrire.
L'Italia, in questo senso, fa scuola a livello europeo...
Proprio questo intendo. Non esiste un comparto del genere in nessun altro posto al mondo. Stiamo parlando di 30mila imprese, in gran parte famigliari, italiane, nate grazie alla cultura del lavoro delle persone che hanno, di fatto, creato questo mestiere, che è una specificità esclusivamente italiana. E qui sorge una domanda. Quali altre spiagge possono essere europeizzate? Un polacco potrà venire a gestire una spiaggia in Sardegna. Io cosa potrò fare in Polonia? O in Ungheria? O in Olanda? Sono pochissimi i Paesi europei con un turismo balneare importante.
E a chi dice che i canoni delle concessioni sono troppo bassi, cosa risponde?
Dico che il canone è basso, è vero, ma va sommato a tutti gli oneri di servizio pubblico che lo Stato impone al concessionario dopo averlo scelto come fiduciario. Sto parlando del servizio di salvataggio, che devi gestire tu, della pulizia e del mantenimento dell'area che ti è stata assegnata, della salvaguardia dall'erosione del tratto costiero di tua competenza e della Tarsu, che paghiamo su tutta l'area data in concessione. Oltretutto, in molti casi, si tratta di zone in cui i mezzi della raccolta non riescono ad arrivare e spetta al concessionario conferire i rifiuti.
E quella della Tarsu non è l'unico per i balneari con le imposte, giusto?
Esatto. Per noi l'Iva è al 22%, mentre tutte le altre aziende turistiche hanno l'aliquota al 10%. Non solo: i balneari, nonostante siano affittuari, pagano l'Imu. A quale altro affittuario accade?
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Alberto Lupini
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