Un problema complesso, che arriva da lontano e coinvolge il settore a 360°, senza risparmiare nessuno: è quello della carenza di personale nella ristorazione e in ambito alberghiero. L'uscita, da qualcuno giudicata infelice, di Alessandro Borghese su stipendi e gavetta ha se non altro avuto il merito di dare spazio al dibattito e smuovere le acque.
Noi di Italia a Tavola ne stiamo parlando con i rappresentanti del settore, per provare a capire l'origine della criticità e per cercare risposte e spunti che possano portare ossigeno laddove ora ne manca. L'abbiamo fatto con Matteo Scibillia, cuoco e nostro responsabile scientifico, ma anche con Valerio Beltrami, presidente di Amira, l’Associazione maître italiani ristoranti e alberghi, Marco Reitano, sommelier del ristorante La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri di Roma e presidente di Noi di Sala, e Gabriele Bianchi, miglior cameriere d'Italia under 30 nel 2019, sommelier, influencer e volto noto della televisione.
Ora è il turno di Alessandro D'Andrea, che guida l'Ada, l'Associazione direttori d'albergo.
Crisi del personale: un problema che riguarda tutti
«È importante sottolineare subito una cosa - ha esordito D'Andrea - Il problema del reclutamento è un problema di tutto il settore, a 360°. Nella ristorazione la questione sembra più grave perché semplicemente, in proporzione, i ristoratori sono di più, ma riguarda tutti».
Ma come si è arrivati a questo punto?
Le motivazioni sono molteplici e tutte collegate tra loro. Possiamo per esempio partire dalle condizioni del lavoro. Il nostro settore ha un contratto complesso e questa complessità ha come obiettivo la tutela del lavoratore. Troppo spesso però non viene rispettato. Non è possibile chiedere qualunque cosa a qualsiasi condizione. Così si finisce per far perdere motivazione e passione. Il lavoratore, magari giovane, si sente sfruttato e considerato come un mulo e non come un professionista. Poi a fine mese vede la retribuzione e si chiede: chi me lo fa fare?
Borghese punta il dito sui giovani. Che colpe hanno?
Credo che un ragazzo debba accettare una retribuzione minore rispetto a una persona che ha meno esperienza. Quando si esce dalla scuola non si è pronti ancora al mondo del lavoro. Questo però deve essere compensato dalla certezza di imparare una professione e non ci deve essere la pretesa che il giovane sia già esperto. Se uno viene assunto per fare il commis, quello deve fare. Mansioni corrette, inquadramento giusto, carico di lavoro adeguato e la possibilità di crescere. Una carriera, è normale, deve partire dal basso, ma queste condizioni devono essere rispettate.
Cosa possono fare le scuole alberghiere?
Abbiamo scuole alberghiere valide, ma che non sempre riescono a mettere gli studenti nelle condizioni di entrare in un reparto lavorativo. Bisogna lavorare su due livelli, quello teorico e quello pratico. Poi, una volta arrivato il momento dell'ingresso nel mondo del lavoro, bisogna accompagnare i ragazzi, sfruttando il loro entusiasmo e facendo loro scoprire la professione. Altrimenti si dà per scontato che tra scuola e lavoro non ci siano differenze e invece c'è un abisso.
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Mancanza di personale nella ristorazione: per guadagnare si sacrificano gli stipendi dei camerieri?
L'Italia, nello specifico, che problemi ha?
I problemi soprattutto italiani sono due. Da un lato non ci rendiamo conto delle competenze che vengono richieste ai professionisti. Pensiamo al segretario di ricevimento: due lingue, sorriso costante, utilizzo dei sistemi informativi, turni, anche di notte, sette giorni su sette, senza domeniche e festivi. Tutto questo va pagato e va pagato il giusto. Le aziende però devono fare i conti con dei costi lordi del lavoro altissimi, con il netto per i dipendenti che è invece basso. Così ci si ritrova a essere fuori mercato rispetto alle competenze che vengono chieste.
E la conseguenza qual è?
Che si perde in qualità, perché vengono chieste mansioni per cui la persona non è stata formata o non ha ancora l'adeguata esperienza. Si fanno contratti di apprendistato, ma si pretende di trovare un cameriere fatto e finito.
Quale crede sia la soluzione?
Io non ho soluzioni, ma credo ci siano due aspetti su cui lavorare. Il primo è la riduzione dei costi a carico dell'azienda. Tra lordo e netto c'è troppa differenza e questo ricade sia sul datore di lavoro sia sul dipendente. Il secondo sono le condizioni lavorative: devono essere soddisfacenti e motivanti.
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Alberto Lupini
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