Migliaia di agricoltori al Brennero Protesta contro il falso made in Italy

07 settembre 2015 | 11:57
Sono già un migliaio gli agricoltori e gli allevatori che dalle prime ore della mattina hanno invaso la frontiera del Brennero, tra Italia e Austria, per difendere l’economia e il lavoro delle campagne dai traffici di schifezze di bassa qualità che varcano le frontiere per essere spacciate come italiane. Nel piazzale scelto come campo base all'area di parcheggio “Brennero” al km 1 dell'autostrada del Brennero - direzione sud (Austria-Italia) ci sono trattori, camper e pullman giunti nella notte. Gli agricoltori sono schierati attorno al tracciato stradale e hanno iniziato a fermare i camion per sapere cosa arriva e dove va a finire mentre sono sollevati cartelli per chiedere l’etichettatura di origine obbligatoria per tutti i prodotti alimentari: “No all’Europa che blocca i profughi e spalanca le frontiere alle schifezze” o “Il falso Made in Italy uccide l’Italia”. Su twitter la mobilitazione può essere seguita con l’hastag #bastaschifezze.



Chiuse 60 stalle e fattorie al giorno
Dall’inizio della crisi sono state chiuse in Italia oltre 172mila stalle e fattorie a un ritmo di oltre 60 al giorno, con effetti drammatici sull’economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale. È quanto emerge dal dossier presentato dalla Coldiretti al valico del Brennero. Occorre fermare chi fa affari sulle spalle degli agricoltori e dei consumatori con le speculazioni sui prodotti favorite dalla mancanza di trasparenza sulla reale origine e sulle caratteristiche degli alimenti, che stanno provocando l’abbandono delle campagne, sulla base dei dati Unioncamere relativi ai primi sei mesi del 2015 rispetto all’inizio della crisi nel 2007.
 
Sono oggi meno di 750mila le aziende agricole sopravvissute in Italia ma se l’abbandono continuerà a questo ritmo in 33 anni non ci sarà più agricoltura lungo la Penisola, con conseguenze devastanti sull’economia e sull’occupazione e sull’immagine del Made in Italy nel mondo ma anche sulla sicurezza alimentare e ambientale dei cittadini. Bisogna cambiare verso anche in agricoltura dove la chiusura di un’azienda significa maggiori rischi sulla qualità degli alimenti che si portano a tavola e minor presidio del territorio, lasciato all’incuria e alla cementificazione.
 
Sono questi i drammatici effetti di quelli che sono i due furti ai quali è sottoposta giornalmente l’agricoltura: da una parte il furto di identità e di immagine che vede sfacciatamente immesso in commercio cibo proveniente da chissà quale parte del mondo come italiano; dall'altra il furto di valore aggiunto che vede sottopagati i prodotti agricoli senza alcun beneficio per i consumatori per colpa di una filiera inefficiente.

«Rischiamo di perdere un patrimonio del nostro Paese sul quale costruire una ripresa economica sostenibile e duratura che faccia bene all’economia all’ambiente e alla salute- afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel denunciare che - l’invasione di materie prime estere spinge prima alla svendita agli stranieri dei nostri marchi più prestigiosi e poi alla delocalizzazione delle attività produttive».

Latte, da frontiere 3,5 milioni di litri al giorno diventano italiani
Anche la produzione di latte risente della mancanza di regole certe in merito alla provenienza. Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 3,5 milioni di litri di latte sterile, ma anche concentrati, cagliate, semilavorati e polveri per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all'insaputa dei consumatori. Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle in vendita sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio indicarlo in etichetta, denunciano gli allevatori della Coldiretti che hanno scoperto numerosi carichi di prodotti lattiero caseari pronti per essere nazionalizzati.

In Italia le poco più di 35mila stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente: per ogni milione di quintale di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura. E la situazione sta precipitando nel 2015 con il prezzo riconosciuto agli allevatori che non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura gli allevamenti. L’impatto negativo è però anche sulla sicurezza alimentare. Nell’ultimo anno hanno addirittura superato il milione di quintali le cosiddette cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte pari al 10% dell’intera produzione italiana.

Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità. La situazione rischia di aggravarsi con la richiesta della Commissione europea all’Italia di porre fine al divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari previsto storicamente dalla legge nazionale.

Una lettera di diffida, sollecitata dall’associazione italiana delle Industrie lattiero casearie (Assolatte), alla quale l’Italia dovrà rispondere entro il 29 settembre per evitare il rischio di una procedura di infrazione e il via libera ai formaggi senza latte ottenuti con la polvere. Gli industriali che premono in Europa per fare il formaggio senza latte sono peraltro  gli stessi che sottopagano il latte italiano e fanno chiudere le stalle, mentre il Made in Italy alimentare nel settore lattiero caseario è dominato da una multinazionale straniera che impone unilateralmente agli allevatori le proprie condizioni, beffa le Istituzioni nazionali, minaccia la qualità della produzione italiana e inganna i consumatori italiani, considerato che il latte nel nostro Paese ha i prezzi al consumo più alti in Europa.

Il tutto con il paradosso che gli italiani pagano un prezzo molto elevato per i formaggi e il latte fresco mentre agli allevatori si riduce la remunerazione senza tener conto della qualità del latte italiano. Lo dimostra il fatto che il prezzo del latte fresco moltiplica più di quattro volte dalla stalla allo scaffale con un ricarico del 329%, che è esploso nell’ultimo anno per il taglio del 20% nel compenso riconosciuto agli allevatori, mentre il prezzo al consumo tende addirittura ad aumentare. Il risultato è che oggi il latte agli allevatori italiani viene pagato meno di venti anni fa. Occorre allora intervenire per ripristinare le regole di trasparenza sul mercato di fronte ad un vero e proprio attentato alla sovranità nazionale che non sarebbe certo tollerato in altri Paesi dell’Unione europea come la Francia. La Coldiretti intende attivare le opportune azioni legali a tutela degli interessi degli allevatori per assicurare l’attuazione della legge 91 del luglio 2015. Tale legge in esecuzione dei principi comunitari, impone che il prezzo del latte da riconoscere agli allevatori debba commisurarsi ai costi medi di produzione.

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Alberto Lupini


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