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Pasta aglio, olio, peperoncino e banana: ecco perché non ha senso

«Il dolce della banana contrasta con la nota piccante del peperoncino. La chips d'aglio e i gherigli di noce aggiungono croccantezza oltre a completare il ventaglio di sapori» ha detto Stefano Parrella, chef campano, autore della ricetta

 
08 gennaio 2024 | 17:18

Pasta aglio, olio, peperoncino e banana: ecco perché non ha senso

«Il dolce della banana contrasta con la nota piccante del peperoncino. La chips d'aglio e i gherigli di noce aggiungono croccantezza oltre a completare il ventaglio di sapori» ha detto Stefano Parrella, chef campano, autore della ricetta

08 gennaio 2024 | 17:18
 

C'è chi con la pizza con l'ananas recentemente (ri)lanciata da Gino Sorbillo pensava di averle viste tutte. Eppure il 2024 per loro ha riservato un'altra sopresa, ben più "provocatoria" in verità rispetto a una pizza (per quanto a base pomodoro) già ampiamente consumata nel mondo. Stavolta nella morsa dell' "innovazione-provocazione" ci finisce la pasta. E nello specifico una pasta tanto semplice quanto diffusa: la aglio, olio e peperoncino, presentata stavolta arricchita di un alimento non certo convenzionale per il tipo di preparazione: la banana.

Pasta aglio, olio, peperoncino e banana: ecco perché non ha senso

L'ultima provocazione in campo gastronomico: la pasta aglio, olio, peperoncino e banana

Pasta aglio, olio e peperoncino con la banana. Made in Campania

La creazione culinaria proposta da Stefano Parrella, lo chef di Caffè Aragonese a Mugnano del Cardinale (Avellino), sembra essere una nuova provocazione nell'ambito della cucina regionale italiana. La combinazione di spaghetti aglio, olio, peperoncino e banana, stando alle parole dello chef, l'idea è nata durante una riunione a cena con altri chef durante la pianificazione dell'edizione 2024 del Festival della Cucina Italiana in America. L'ispirazione per questa "ricetta innovativa" deriva dal successo mediatico precedente della pizza all'ananas, lanciata da Gino Sorbillo.

Pasta aglio, olio, peperoncino e banana: ecco perché non ha senso

Stefano Parrella, ideatore della pasta aglio, olio, peperoncino e banana

Durante la discussione sul successo di questa combinazione insolita, la presenza di un casco di banane in cucina ha scatenato l'idea di aggiungerla agli spaghetti aglio, olio e peperoncino. La tradizione degli spaghetti aglio, olio e peperoncino è radicata nella cucina campana e diffusa in tutto il sud Italia, così come anche nel Centro. Inizialmente preparata dalle mogli dei contadini che lavoravano negli uliveti, questa pietanza era originariamente fatta con linguine o vermicelli. La versione proposta da Parrella introduce un ingrediente di certo insolito. La motivazione? Sempre stando alle parole dell'ideatore per far sì che il dolce della banana contrasti, smussandola, la nota piccante del peperoncino.

Pasta aglio, olio, peperoncino e banana: ecco perché non ha senso

La pizza con l'ananas di Gino Sorbillo

Un abbinamento non consueto, anzi, quanto coraggioso: ideato sicuramente per far discutere (come sta facendo, sulle riviste di settore) ma che rischia di dare il là a una serie di provocazioni gastronomiche che, specialmente se non supportate da basi solide ma semplicemente fini a sé stesse, possono ben presto sfociare nel ridicolo.

C'è un limite alla provocazione culinaria?

Detto come negli ultimi mesi abbiamo sempre preso posizione a favore dell'evoluzione di un'identità gastronomica che, per alcuni, potrebbe e dovrebbe rimanere fossilizzata al passato, diverso è il discorso quando queste presunte "innovazioni" sono sinonimo di provocazioni fini a sé stesse, che non poggiano su alcuna base solida o comprensibile. Insomma, ci auguriamo che questo 2024 non prosegua scadendo nel ridicolo, perlomeno in ambito gastronomico. Perché se da un lato la pizza con l'ananas è stata ormai sdoganata da tempo (secondo alcuni dati sarebbe la seconda più mangiata al mondo, dietro solo alla margherita), la pasta aglio, olio, peperoncino e banane non ci pare abbia nulla di concreto su cui basarsi, se non per l'appunto un mero effetto provocatorio che sfocia nello scimmiottamento del cibo. L'ha detto lo chef stesso che l'ha ideata: questa ricetta nasce "ispirata" dalla pizza con l'ananas di Sorbillo (che, come detto, già di per sé non era una novità), ma oltre a ciò non pare aver motivo concreto di esistenza. Ha fatto parlare di sé, e probabilmente lo farà anche nei prossimi giorni (quando la discussione ruota intorno al tema cibo difficilmente finisce tutto, e presto, nel dimenticatoio). Si rischia, in relazione a ciò, di entrare in un tunnel profondo: se ognuno pensa di scimmiottare ciò che si è scimmiottato, provocare ciò che è già provocatorio, rischiamo di vedere una degenerazione continua di ricette, pensate e realizzate da chiunque, col pericolo di non uscirne davvero più.

Nel 2024 il principio "bene o male, basta che se ne parli" pare ormai desueto e vetusto, come desuete e vetuste sono alcune delle considerazioni che in molti hanno del cibo e, nello specifico, di una "tradizione" gastronomica che deve rimanere cristallizzata e immutata. Quindi no, bene o male basta che se ne parli non può essere più un motivo per dissacrare e provocare solo per il gusto di farlo, retaggio di strategie commerciali che in passato avranno anche funzionato, ma che oggi paiono superate. E tornando alla pasta aglio olio, peperoncino e banana, la giustificazione dell'utilizzo del frutto per "smorzare la piccantezza" non ci pare nemmeno così sensata. Che senso ha, cioè, utilizzare un ingrediente già di per sé insolito e inconsueto incapace però di portare qualcosa in più al piatto, ma al contrario di smussare una delle sue prerogative come, per l'appunto, la piccantezza? Sarebbe un po' come cercare un ingrediente capace di placare il pungente sapore della salsiccia nella pasta alla norcina, un bel controsenso. O no?!

Rimaniamo quindi della nostra idea: benvengano le novità in campo culinario, la gastronomia dopotutto si è evoluta grazie a loro, purché però non siano figlie di tentativi di viralità e della ricerca spasdomica di quei 15 minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol. 

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