Ancor più dello sterile e polemico dibattito estivo fra i partiti, il tema sul salario minimo sembra diventato di stretta attualità con il caso modenese del giovane cameriere in prova per 6 ore in un ristorante, con annesse discussioni su quanto si doveva pagare per quel test.
Si tratta di una questione che, come troppo spesso avviene in Italia, è stata strumentalizzata senza avere molti riscontri nella realtà. Anche perché, se consideriamo il mondo dei pubblici esercizi, è proprio sul tema del trattamento economico dei dipendenti che ci si gioca molte delle possibilità di crescita. E le sorprese sono molte: la demagogia ci sguazza, mentre si aprono i tempi dei rinnovi contrattuali che potrebbero segnare un cambio di passo per quanto riguarda stipendi, orario di lavoro e organizzazione aziendale.
Per pagare qualche ora di prova in un ristorante perché non usare i voucher?
Per chiudere subito la vicenda modenese della paga di 6 ore di prova si sarebbero potuti utilizzare i voucher, che i sostenitori del salario minino per legge demonizzano come il demonio. Ma questa è un'altra storia. Per quanto riguarda il salario minimo, va detto che al centro del confronto c’è l’opportunità, o meno, di fissare per legge i cosiddetti minimi. E le proposte attualmente in campo indicano in 9 euro questo importo. Dando per accettabile questo valore, il che non è detto, bisognerebbe capire cosa avviene nella realtà del mercato del lavoro. E ciò al di là del fatto che nell’HoReCa manca da tempo il personale e le azienda serie non si pongono certo il problema di pagare il meno possibile, ma semmai quello di offrire stipendi sempre più alti per tenere o avere nuovo personale qualificato.
Ma 9 euro di paga oraria sono tanti o poco nei pubblici esercizi?
Uno studio dell’Università di Modena - così non ci allontaniamo troppo dal caso delle "ore di prova" - indica che solo i lavoratori all’ultimo livello, il settimo, avrebbero una retribuzione oraria sotto la soglia dei 9 euro, precisamente di 8,77 euro. Il valore è stato calcolato a partire dal minimo tabellare, a cui sono state sommate solo le mensilità aggiuntive (13-esima e 14-esima mensilità). La Fondazione Consulenti del Lavoro ha però rettificato l’importo, alzandolo, perchè col contratto applicato dai pubblici esercizi la retribuzione oraria del settimo livello sarebbe di 9,40 euro, considerando oltre alle mensilità aggiuntive,anche il TFR in quanto retribuzione differita.
Se poi si considera che ci possono essere anche altre voci (come il fondo di assistenza sanitaria integrativa, che ha ricadute sulla retribuzione oraria) si andrebbe ben oltre la soglia dei 9 euro per i lavoratori che dovrebbero essere i meno pagati del comparto (per lo più lavapiatti o facchini).
Camerieri, cuochi, baristi: servono controlli per fare rispettare i contratti nazionali, non nuove leggi sul salario mininmo
Nei pubblici esercizi ci sono molte falle nell’applicazione dei contratti di lavoro
Quanto visto finora vale ovviamente se si considera il contratto Fipe-ConfCommercio e, soprattutto, se i contratti sono applicati regolarmente. Al di là del lavoro nero - che spesso è reso quasi obbligatorio dall’impossibilità di regolarizzare lavori saltuari per i quali funzionavano giusto i voucher, vedi pensionati o studenti per le ore di punta - c’è infatti una larga fetta di occupati che secondo l’Istat hanno una retribuzione oraria inferiore a 9 euro. Parliamo di 633mila i lavoratori (per lo più fra alloggio e ristorazione), il 23,2% dei contrattualizzati. Un dato eclatante che richiede una qualche spiegazione.
Troppi contratti pirata limitano i diritti e gli stipendi di camerieri e baristi
E qui vengono in aiuto Andrea Chiriatti e Luciano Sbraga, responsabili rispettivamente delle Relazioni Sindacali e dell’Ufficio Studi della Fipe, secondo i quali «due sono le ragioni. La prima riguarda l’applicazione non rigorosa delle prescrizioni contrattuali a svantaggio di un certo numero di lavoratori; la seconda, più rilevante, deriva dal problema della cosiddetta contrattazione pirata. Si tratta, infatti, dei 31 contratti di categoria depositati presso il CNEL, che vengono applicati nel settore dei pubblici esercizi e che si fondano sul principio della sottrazione, che toglie diritti ai lavoratori, valori al lavoro, produce concorrenza sleale e alimenta la ricerca di scorciatoie come quella del salario minimo per legge». In pratica sigle imprenditoriali senza rappresentatività (e ne abbiamo viste molte in campo durante il Covid), con la compiacenza di sindacati dei lavoratori, siglano contratti di fatto illegali che, anche se riguardano poche imprese, spesos a livello locale, sommati fra loro diventano una percentuale minoritaria ma "pesante". Un sistema che è utile ad alcune aziende che poi, grazie a minori costi del lavoro, fanno concorrenza sleale a chi tutela un po' di più di dipendenti.
Luciano Sbraga e Andrea Chiriatti, responsabili rispettivamente dell’Ufficio Studi e delle Relazioni Sindacali della Fipe
Troppi contratti pirata tolgono valore al lavoro nei pubblici esercizi e l’Inps non controlla
Come dire, tanti “furbetti” ricorrono a contratti di sigle assolutamente minoritarie e li siglano magari con quegli stessi sindacati che ora puntano sull’imporre per legge salari minimi. Eppure, come scrivono i dirigenti Fipe, solo la Contrattazione Collettiva potrebbe avere un ruolo di «presidio della legalità, utile a dimostrare, tra l’altro, che non vi sono altre strade per dare dignità al lavoro anche attraverso una giusta retribuzione».
Si tratta fra l’altro di pratiche illegali perché per calcolare il minimo contributivo di ogni rapporto di lavoro si dovrebbe fare riferimento a quello del contratto più rappresentativo, quello della Fipe appunto. Se qualcosa non funziona, dicono Chiriatti e Sbraga, è un «sistema efficace di controlli».
«Basterebbe che l’INPS misurasse “l’affidabilità” retributiva delle imprese - dicono i dirigenti Fipe - sulla base di parametri già esistenti e da qui pianificasse una vera azione di controllo per salvaguardare la legalità e soprattutto il rispetto del principio di buona concorrenza tra le imprese, anche a garanzia dei diritti dei lavoratori».
Più che il salario minimo, per bar e ristoranti servono controlli su chi non rispetta i contratti
Il tema del salario minimo non può poi essere disgiunto dal sistema di welfare che scarica sui contratti tutta una serie di adempimenti per l’assistenza sanitaria invece che previdenziale, i lavori notturni, festivi, domenicali, ecc. che in molti casi non sono rispettati nei contratti pirata già ricordati, ma anche in questo caso l’attività di controllo dell’Inps non sembra avere molta efficacia. Al punto che Chiriatti e Sbraga sostengono che in sostanza, se si parla di salario minimo si può con fondatezza affermare che questo già esiste ed è quello dei CCNL più rappresentativi che sono da sostenere e favorire, proprio nel più autentico rispetto della direttiva europea in materia di salario minimo».
La soluzione, che è forse quella su cui sembra muoversi oggi il Governo, sembrerebbe quella di «rafforzare la centralità dei contratti collettivi più rappresentativi e implementare un sistema di controlli basato sull’intelligenza di banche dati già disponibili». E questo, aggiungiamo, per dare più forza alle parti sociali (che rappresentano imprese e lavoratori) ed evitare soluzioni semplicistiche, quando demagogiche, che potrebbero creare danni agli stessi dipendenti dei livelli contrattuali più bassi.