Adesso è forse il caso di porre un freno alle banalità e alla moda di fare le pulci, comunque e a prescindere, al lavoro di bar e ristoranti. Per carità, contestare chi fa pagare l’aggiunta di un piattino a tavola o il taglio di un toast è più che giusto. Al punto che è sceso in campo persino il sindacato dei pubblici esercizi (la Fipe) per invitare i gestori a essere seri ed evitare di gettare discredito su una categoria che già fa fatica a fare quadrare i bilanci fra rincari di ogni cosa, carenza di personale e minore propensione agli acquisti da parte dei consumatori. Arrivare a mettere all’indice il costo di un singolo piatto, senza alcuna motivazione, è però davvero inaccettabile. Soprattutto se il prezzo è esposto con un cartello enorme sulla vetrina del ristorante e nessuno può rischiare di trovarsi un conto inaspettato.
Lasagne a 23 euro al Bernabò in Città Alta con tanto di carello chiaro per i clienti
Lasagne a 23 euro: nessuno è obbligato ad assaggiarle…
Eppure, capita anche questo. Senza neanche una riga in cui mostrare di averle almeno annusate, c’è chi fa ironia su un piatto di lasagne, proposte nel centro storico di Bergamo, alla trattoria Bernabò, a 23 euro. Neanche fosse obbligatorio o inevitabile mangiare queste “lasagne di mamma Antonietta”.
Basta critici enogastronomici della domenica
Non sappiamo se questa sia una nuova tendenza di critici enogastronomici di strada - nel senso che basta leggere i prezzi di un menu per sparare un giudizio - ma certo scrivere 16 righe su una testa autorevole per ironizzare sulla promozione di un locale ci sembra francamente sopra le righe… Saremo della vecchia scuola, ma onestamente per valutare un rapporto di qualità prezzo di un piatto, ma lo stesso vale anche per una camicia o un frullatore, la prima regola sarebbe di provarlo. Ma di questo non c’è traccia, mentre ci si lancia in banali quanto sconvenienti confronti con nomi di chef tristellati (quasi che mamma Antonietta non potesse fare le migliori lasagne al mondo…).
Le famigerate lasagne di mamma Antonietta
Il prezzo di un piatto? Giusto che sia il cuoco a deciderlo
Noi non abbiamo il piacere di conoscere la cuoca bergamasca, e in attesa di poter magari provare (e giudicare) il piatto, ci permettiamo di esprimere un personale apprezzamento per la scelta coraggiosa di dare un prezzo, magari nella media più alto di quanto ci si potrebbe aspettare. E ciò perché è da rispettare un cuoco che non vuole svilire il suo lavoro e, sapendo bene di rischiare una drastica riduzione del numero dei clienti, accetta la sfida di mettersi alla prova sapendo che poi ci potrebbe essere qualche leone da tastiera che magari stronca il piatto proprio perché non a buon mercato. Anche perché le lasagne possono essere valutate un po’ da tutti, cosa che non si potrebbe dire di certi piatti che piacciono quasi per forza a certi grastrofighetti che non vogliono fare la figura di non avere capito un piatto “originale” in un fine dining.
Alla fine, ci si potrebbe chiedere chi ha il diritto di fissare il costo di un piatto se non il gestore di un locale? E se poi queste fossero davvero lasagne più che buone, perché lasciare solo agli stellati il diritto di proporre prezzi alto? In fondo in un ristorante nessuno è obbligato ad entrare…