Non si arresta il dibattito, con relative polemiche, sul profondo rosso di Carlo Cracco che nel suo ristorante in Galleria Milano in cinque anni ha perso oltre 4,6 milioni di euro, meno di quanto deve pagare di affitto il Comune di Milano. Si tratta di un caso che mette in evidenza l’insostenibilità di un certo di tipo di ristorazione (fine dining) che è in crisi di mercato (gli italiani preferiscono sempre più una cucina un po’ più tradizionale) e soprattutto è schiava di un meccanismo che non garantisce più un guadagno. A rompere il silenzio di molta ristorazione è sceso in campo con un post ripreso da un po’ tutta la stampa, dimostrando ancora una volta coraggio e capacità di essere controcorrente, Giancarlo Morelli, uno dei cuochi più rappresentativi dell’alta cucina, capace di mantenere uno standing alto anche dopo che la Michelin gli aveva tolto la stella.
Morelli: «Troppi ristoranti sono in perdita»
«Il passivo di Cracco - dice lo chef patron de il Pomiroeu di Seregno (Monza) del Morelli Milano, all'interno dell’Hotel Viu - è il passivo di noi tutti ristoratori che facciamo da sempre una cucina di qualità. Il suo passivo è un segnale drammatico della crisi che sta attraversando l’alta ristorazione. Affitti troppo alti, energia alle stelle, personale sempre più difficile da reperire e concorrenza spietata. Gran parte della ristorazione - prosegue Morelli - vive di debiti per sopravvivere. Mangiare meno e mangiare meglio, invece sono incredulo di quanta gente ci sia in coda nei fast food, nei ristoranti veloci, nei casottini sorti per strada durante il Covid, dove neanche ti siedi per mangiare. Parliamo di igiene, di pulizia di attenzione, noi non possiamo neanche usare i mestoli di legno per girare il risotto e più della metà di questi posti non ha neanche il cesso».
Conti in rosso in troppi fine dining
L'alta ristorazione non ha solo modelli di gestione in crisi
«Gran parte della ristorazione vive di debiti per sopravvivere», puntualizza il cuoco bergamasco annunciando che di fatto il re è nudo… Un’amara constatazione che ormai spinge tanti a chiedersi cosa dovranno fare alcuni ristoranti di alta cucina per sopravvivere, visto che il “rosso” non è un dato che caratterizza tutti in realtà. Ci sono tanti esempi di successo, anzi forse sono anche i più… Pensiamo al caso del gruppo Cerea tanto per citare la maggiore realtà di alta cucina in Italia.
Come sosteniamo da tempo deve forse cambiare la cultura e la percezione del cibo da parte dei consumatori. Ma questo è un compito che spetta in prima persona a cuochi, maitre e ristoratori che devo adeguare anche i loro modelli organizzativi, come ha recentemente osservato anche Antonio Santini, patron de Il Pescatore.
Ed è anche su questo tema che Giancarlo Morelli aveva espresso un’altra delusione nel suo posto: «Speravo che la gente negli anni avesse imparato a mangiare: mangiare meno e mangiare meglio. Invece sono incredulo di quanta gente ci sia in coda nei fast food, nei ristoranti veloci, nei casottini sorti per strada durante il Covid, dove neanche ti siedi per mangiare».
È tempo di cambiare gestione in molti ristoranti
Morelli: «Troppi consumatori non comprendono la qualità dell'alta ristorazione»
«Azzannano famelici cartocci di cibo e metà di loro non sa neanche cosa stia masticando - ricorda il cuoco con amarezza - Capisco che i ristoranti come i nostri siamo più cari del cartoccio per strada, ma fare la spesa dal contadino non è uguale a quella dell’ingrosso o del super, un cameriere che ti serve a tavola con professionalità richiede impegno e formazione, un cuoco esperto va premiato per la disponibilità e il sacrificio».
Giancarlo Morelli fa i conti con le gestioni in rosso di molti ristoranti fine dining
E qui si apre davvero il confronto: come fare in modo che il valore della ristorazione di qualità sia davvero compresa? Un po’ di pentimento spetterebbe anche a molta stampa e a certi congressi che negli anni hanno spinto solo a valorizzare chi “stupiva”, chi seguiva le mode o gli ultimi prodotti esteri che facevano figo, togliendo attenzione a chi restava nel solco di una cucina “all’italiana”, con meno licheni e fermentati per intenderci … Non è una soddisfazione scrivere che per anni, quasi da soli, come Italia a Tavola abbiamo sostenuto l’importanza di fare innovazione senza tradire la nostra cultura e le nostre tradizioni. Ora i nodi vengono finalmente al pettine ed è utile che anche cuochi di valore come Morelli (che si è sempre speso per promuovere il valore dell’alta cucina) scendano in campo mettendo in chiaro i punti critici di un sistema che ha bisogno di essere quanto meno revisionato. Il tutto senza dimenticare l'importanza di distinguere sempre fra un cuoco dipendente e un ristoratore (o cuoco-ristoratore), visto che è quest'ultimo che deve alla fine essere responsabile della gestione.