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Bufala Campana
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Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

Anche nel piatto la Georgia fa fede alla sua storia di terra di confine, fatta di incontri tra Europa e Asia e di continui scambi. Grande attenzione per la panificazione e coriandolo onnipresente

 
29 ottobre 2023 | 15:30

Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

Anche nel piatto la Georgia fa fede alla sua storia di terra di confine, fatta di incontri tra Europa e Asia e di continui scambi. Grande attenzione per la panificazione e coriandolo onnipresente

29 ottobre 2023 | 15:30
 

La cucina di un luogo è, per amore o per forza, figlia della storia del Paese che rappresenta. La Georgia, in questo senso, non fa di certo eccezione. Una terra di confine, sospesa tra l'Europa e l'Asia e legata a doppio filo con l'odiata Russia. Il risultato è una cucina dalle mille influenze e sfumature, semplice nelle sue preparazioni, ma molto varia e altrettanto saporita. Il fiore all'occhiello sono i prodotti da forno, ma la cucina georgiana può vantare anche un'ampia proposta vegetariana, che la rende adatta alle esigenze di tutti.

Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

Alcuni piatti della cucina georgiana in tavola

Khachapuri, simbolo della cucina georgiana

Se c'è un piatto simbolo della cucina georgiana quello è sicuramente il khachapuri. Una focaccia, riassumendo all'estremo, che nelle diverse zone del Paese assume differenti declinazioni, ma che riassume, qualsiasi sia la sua forma, le caratteristiche della cucina locale. In primis, la già citata attenzione ai prodotti da forno. È molto raro, infatti, anche in baracchini sulla strada o piccolissimi negozi, trovare qualcuno che utilizzi khachapuri surgelati. Tutti o quasi impastano e infornano al momento. In seconda battuta, nel khachapuri ha un ruolo centrale il sulguni, vale a dire il formaggio a pasta filante tradizionale georgiano. A caratterizzarlo è la sua preparazione: dopo la filatura manuale viene immerso in salamoia.

Questo gli conferisce una particolare sapidità, ma anche una nota acida, che emerge quando viene messo all'interno della focaccia. Il sulguni, aggiungiamo, è soltanto uno dei quattordici formaggi georgiani registrati dal ministero dell'Agricoltura locale. Prima dell'arrivo dei sovietici erano più di ottanta. Poi, come accaduto con il vino, anche il formaggio venne in qualche modo standardizzato e si persero tecniche tradizionali e preparazioni locali.

Tornando al khachapuri, invece, le due versioni più note e più comuni sono:

  • Khachapuri Imeruli: ha una forma circolare, identica alla pizza. Al suo interno ci sono formaggio e uovo e, una volta uscito dal forno, solitamente si spennella con un po' di burro.
  • Khachapuri Acharuli: è il khachapuri più conosciuto, quello a forma di "barca" con l'uovo al centro. La "barca" è, anche in questo caso, ripiena di formaggio. Per consumarlo si strappa la pasta ai lati e poi si intinge con uovo e formaggio.

Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

Khachapuri Acharuli

Ne esistono, poi, numerose altre declinazioni, che prevedono la presenza di altri ingredienti, come funghi o patate, a vole intere, molto più spesso sotto forma di purè. Discorso a parte lo merita il Lobiani, che è una pagnotta molto morbida, simile per forma e consistenza al khachapuri imeruli, ma ripieno di fagioli rossi.

Come si mangiano i khinkali?

In una ipotetica classifica delle specialità georgiane più note, alle spalle del khachapuri fanno sicuramente capolino i khinkali. Di cosa si tratta? Di grandi ravioli ripieni, solitamente di manzo e maiale, oltre all'immancabile coriandolo, ma in alcuni casi anche di agnello, formaggio, patate o funghi. Le sue caratteristiche principali sono due. La prima è la forma, con una chiusura con quella che potremmo definire una "coda avvitata". La seconda è la preparazione, che avviene rigorosamente bollendoli. Tutto questo implica, al momento di consumarli, una specifica tecnica, che dovrete imparare in fretta se volete viaggiare in Georgia. I khinkali sono, infatti, dappertutto e vengono ordinati sempre a multipli di cinque e messi in mezzo al tavolo, ancora fumanti. Come mangiarli, quindi? La bollitura fa sì che all'interno del raviolo si sprigionino tutti i succhi del ripieno. Quindi, vanno presi per la parte apicale, rigorosamente con le mani e aggiungendo, al massimo un po' di pepe, e con i denti va aperto un piccolo taglietto in un punto a scelta. Da quel punto vanno bevuti i succhi e, solo dopo questo passaggio, si può procedere al morso con la certezza di non sporcarsi.

Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

I khinkali

Attenzione, però, la coda del raviolo resta cruda e non va, quindi, mangiata. C'è persino una leggenda curiosa legata a questa abitudine. Si narra, infatti, che Nikita Krusciov, segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica dal 1953 al 1964, rimase colpito dalla cucina georgiana durante una delle sue visite. Apprezzò particolarmente proprio i khinkali, ma vi fu qualcosa di questa ricetta che non sembrò piacergli particolarmente. Krusciov, infatti, interpretò l'avanzo della coda del raviolo come uno spreco e, di ritorno a Mosca, decise di razionare le forniture di farina alla Georgia per punirla di questo spreco.

La carne nella cucina georgiana

Oltre ai due piatti simbolo che vi abbiamo appena raccontato, la Georgia ha moltissimo da offrire. Un ruolo importante lo gioca la carne, che viene declinata in diversi modi. Una preparazione classica è quella dei mtsvadi, spiedini di carne tagliata a pezzi e messa sulla brace. In tutto il resto del Caucaso e della Russia sono conosciuti come shashlik e la preparazione è pressoché identica. La carne viene marinata con limone, melograno e olio. Viene poi messa sulla brace e servita con verdure, cipolla e lo stesso melograno. La carne in Georgia viene anche servita con il nome di chashushuli, che altro non è che una specie di goulash, con la carne che viene brasata e accompagnata da pomodoro, cipolla, bordo di carne, aglio, funghi e, non potrebbe essere altrimenti, coriandolo.

Non solo khachapuri: alla scoperta della cucina georgiana

Mtsvadi in preparazione

Il clima rigido invernale lascia, poi, spazio alle minestre. La più interessante e anche quella maggiormente diffusa è il kharcho. Si tratta di una zuppa con manzo, aglio, coriandolo, noci tritate, prugne e, spesso ma non sempre, riso. C'è, poi, anche la chikhirtma, che altro non è che un brodo di pollo rinforzato con uova sbattute e farina, e il khashi, molto diffuso anche in Armenia e che è, di fatto, una zuppa con varie interiora di manzo, simile alla trippa che viene preparata in alcune parti del Nord Italia.

La verdura nella cucina georgiana

C'è la carne, certo, ma c'è anche moltissima verdura sulle tavole georgiane. La regina, in questo caso, è la melanzana. È lei che serve per preparare, per esempio, l'ajapsandali, una sorta di caponata, con, appunto, melanzane stufate insieme a patate, peperoni e pomodoro. Un piatto semplice quanto gustoso, definizione che ben si sposa anche con i badrijani, che sono, in sostanza, degli involtini di melanzane fritte ripiene di una crema fatta di noci e aglio, solitamente accompagnati da melograno. Se la melanzana è la regina, i fagioli, di contro, i re. Il legume, nella sua versione rossa, è praticamente ovunque e abitualmente, oltre ad accompagnare altri piatti, viene anche consumato da solo. Si chiama, lo abbiamo già nominato in precedenza, lobio ed è una sorta di crema di fagioli, con coriandolo e spezie varie.

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I badrijani

La churchkhela, un dolce in ogni angolo della strada

Se khachapuri e khinkali hanno superato i confini georgiani, diventando ambasciatori della cucina della Georgia nel mondo, c'è un prodotto sconosciuto, invece, fuori dai confini del Paese, ma diffusissimo al suo interno. Per vederlo è sufficiente camminare per le vie di qualsiasi città georgiana e lui farà capolino, appeso a una bancarella. Stiamo parlando della churchkhela, il dolce tradizionale georgiano.

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Churchkhela in un mercato della capitale Tbilisi

La forma è, per un occhio italiano, quella di un salame, ma non ci si deve far trarre in inganno, si tratta di un dolciume. Si prepara con noci, nocciole, mandorle, semi di zucca puliti e frutta essiccata di vario tipo, che vengono infilzati in una gugliata di filo e immersi a più riprese in un succo di uva o di mora altamente condensato. Lo si prepara di solito nei mesi autunnali, in corrispondenza con la piena maturità delle nocciole e con l’epoca della vendemmia.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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