«Ci vorrebbe un Masterchef per camerieri». Gabriele Cartasegna, direttore del Capac, Fondazione che realizza servizi formativi nel settore del terziario, rispondendo ai fabbisogni di accompagnamento al lavoro di tutti i target d’utenza, lo dice in maniera ironica, ma non troppo. Nei suoi primi anni la nota trasmissione televisiva ha portato a un boom di ragazzi che volevano lavorare in cucina. «Oggi il servizio è il segmento della ristorazione più in difficoltà con il personale e la cultura si fa anche con la comunicazione», ha aggiunto.
Da giorni noi di Italia a Tavola stiamo approfondendo il tema della carenza di personale nell'accoglienza e nella ristorazione, dando voce a chi nel settore ci lavora tutti i giorni. Cercando così di capire dove si nasconda il nocciolo del problema e quali siano le possibili vie d'uscita.
Gabriele Cartasegna
Carenza di personale: è colpa della pandemia?
«Che ci sia carenza di personale è evidente - ha sottolineato Cartasegna - Lo constatiamo ogni giorno dai contatti con gli operatori di settore. Il tema è legato, secondo la nostra lettura, alle conseguenze della pandemia».
In che modo la pandemia ha colpito ristorazione e accoglienza?
Per tutta una serie di motivi, una parte importate di addetti è di fatto uscita dal settore. Lockdown e chiusure hanno bloccato le attività, ma non le persone. Alcune stime parlano del 30% di personale della ristorazione che è andato altrove, cambiando mercato di riferimento.
E adesso che torna il turismo, le conseguenze sono lampanti...
Esattamente. Le chiusure vengono meno, i ritmi del turismo sono buoni, anche se non è ancora periodo di vacche grasse, ma gli operatori sono preoccupati perché si trovano senza personale. Il problema è diventato strutturale. E per come la vedo io, non è di facile soluzione. Perdere professionisti è stato rapido, riportarli alla ristorazione non sarà facile. Serve un'attività su più livelli che non si fa dalla mattina alla sera...
E da dove si parte? Dalle scuole?
Serve raccontare la cultura del lavoro nella ristorazione partendo proprio dalle scuole. Anche perché, vista la situazione, ora come ora ci sono praterie per chi avesse voglia di lavorarci. Opportunità magari prima inavvicinabili, ora sono concrete. È questo il messaggio che serve dare ai più giovani.
Ripartire, insomma, dagli aspetti positivi...
Una delle chiavi della ristorazione è che il fattore umano fa sempre la differenza. Non si torna in un locale solo per la qualità del cibo, ma anche e a volte soprattutto per la qualità del servizio, l'atmosfera e il coinvolgimento. Agli occhi dei giovani questa cosa va valorizzata, rendendo il comparto appetibile.
In molti però sottolineano come spesso i giovani arrivino al mondo del lavoro ancora troppo inesperti...
Qui serve il lavoro di chi fa formazione: si devono aprire il prima possibile le scuole alla formazione sul campo. Aprire le porte delle imprese quando ancora sono sui banchi di scuola. È una cosa che nella ristorazione si può fare e altrove no. E deve essere un punto di forza, non una debolezza.
Poi esistono anche gli aspetti negativi...
Sicuramente ci sono. In tanti pensano, per quello che lavoro guadagno poco. Io credo che dopo il Covid non sarà più così. Difficilmente qualcuno potrà essere pagato poco. Forse però non è un problema economico. E comunque nella ristoriazione e nell'accoglienza ci sono numerose opportunità e possibilità importanti. Serve farle conoscere...
Torniamo quindi dove siamo partiti, alla comunicazione...
C'è un grosso problema di narrazione del settore. Con Masterchef, per esempio, si era assistito a un boom di giovani che volevano entrare in cucina. La cultura della ristorazione si fa anche con la comunicazione, raccontando al meglio ciò che il settore può offrirti. Oggi il segmento maggiormente in difficoltà è quello del servizio. Non ci sono camerieri. Ci vorrebbe un Masterchef per loro.
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