La
ripresa dopo la crisi da
pandemia sembra più che mai all’insegna della questione “occupazione”. C’è chi teme un
aumento della
disoccupazione e chi, al contrario (pensiamo ai gestori di bar e ristoranti), è in seria
difficoltà perché manca personale. Una contraddizione tutta italiana, generata dal caos che c’è oggi sul mercato del lavoro “drogato”, in cu si mescolano
ammortizzatori sociali e sistemi assistenzialistici di tipo populista (pensiamo solo alla gestione del reddito di cittadinanza). E così, da una parte abbiamo i
sindacati sul piede di guerra perché da luglio potrebbe saltare il
blocco ai licenziamenti nell’industria (dove emerge peraltro anche la difficoltà di trovare personale qualificato) e dall’altra la posizione di segno opposto con l’allarme dei pubblici esercizi e degli hotel che teme di non poter
approfittare delle riaperture perché non trova camerieri o cuochi.
Alla ricerca di personale
I vuoti d'organico la nuova palla al piede
Sarebbe troppo facile dire che
tutti i nodi vengono al pettine, ma
non possiamo non ricordare che fin dal primo lockdown Italia a Tavola aveva segnalato proprio questo possibile pericolo: le troppo prolungate chiusure e la mancanza di sostegni economici adeguati avrebbero potuto fare fuggire il personale dei pubblici esercizi e degli alberghi. E oggi, con la riapertura, i vuoti nell’organico rischiano di essere proprio la nuova palla al piede per il
mondo dell’accoglienza che si è impoverito di professionalità.
E a denunciare il problema “carenza di personale” è oggi, ancora una volta, la
Fipe. Dopo che le tante piccole sigle degli “arrabbiati” smontano il campo, tocca ancora una volta alle associazioni di categoria più rappresentative di affrontare i problemi veri. «In questo momento
abbiamo bisogno di riportare il personale in sala e nei locali - dice in proposito il direttore generale di Fipe,
Roberto Calugi - visto che il 2020 ci ha portato via circa 150mila lavoratori, la maggioranza dei quali a tempo indeterminato».
Ma se questa è la situazione come fare “rientrare” questo personale?
Non basta riassumerli? «Le aziende sono spesso stremate da quasi un anno e mezzo di chiusure e senza risorse adeguate - dice Calugi - oltre a prevedere
sgravi contributivi per questo tipo di
assunzioni, sarebbe oggi auspicabile introdurre incentivi per l’assunzione dei lavoratori stagionali. Dobbiamo poter rimettere in moto queste imprese senza
generare nuovi debiti».
Paradosso riaperture: si riparte ma con brigate limitate
Si riapre, ma con quali professionalità?
Può sembrare un paradosso, ma ora il
rischio è proprio quello di non riuscire a ricostituire in fretta brigate e squadre di sala.
Mancano i 120mila professionisti a tempo indeterminato che nel corso dell’anno passato, a causa delle troppe chiusure e delle incertezze sul futuro,
hanno preferito cambiare lavoro. Si tratta anche di cuochi e barman di lunga esperienza, attorno ai quali spesso sono state costruite le imprese.
A questi si aggiungono altri 30mila lavoratori che lo scorso anno lavoravano a tempo determinato e che oggi, anche alla luce dell’incertezza sul futuro, potrebbero preferire strumenti di sostegno al reddito, invece di un vero impiego.
Il punto da cui si parte è quello della già ricordata drammatica mancanza di personale. «Si fa una
fatica incredibile a trovare qualcuno disposto a lavorare nei bar e nei ristoranti, sia in cucina che in sala», spiega Calugi. E le ragioni sono proprio quelle che abbiamo ricordato: da una parte chi lavorava in questo comparto, viste le modeste somme ricevute durante il lockdown, arrivate oltretutto in fortissimo ritardo, è uscito dal settore e ha trovato un altro lavoro; dall’altro chi riceve i sussidi di disoccupazione, come l’
indennità di licenziamento o il reddito di cittadinanza, spesso preferisce rimanere a casa. E questo la dice lunga sui danni fatti con normative pasticciate come il reddito di cittadinanza, a suo tempo sbandierato come la fine della povertà in Italia...
Certo non si può dimenticare che in molti casi questa
“fuga” è stata imposta dalla fine di contratti stagionali o, peggio, da condizioni a volte di lavoro in nero. Ma è solo una parziale spiegazione che non tiene nemmeno conto del pessimismo cresciuto nei mesi, che ha spinto cuochi o camerieri ad andare a fare magari i magazzinieri pur di avere un lavoro sicuro.
Roberto Calugi, direttore generale Fipe
La pandemia forse passa, i problemi economici no
E il punto di crisi dell’intero comparto sta proprio qui. Ora con le riaperture soffia finalmente un po’ di ottimismo, ma per molti locali è difficile camminare su gambe gracili e senza personale. Su questo punto il direttore Fipe è più che chiaro: «Tutti speriamo che questa volta si apra per non chiudere più - dice - ma
bisogna stare attenti perché se l’emergenza sanitaria sta scemando, i problemi economici di chi lavora nel nostro settore non termineranno dall’oggi al domani: manca il personale e i locali dei centri storici sono allo stremo». La preoccupazione di Calugi è quella da tempo espressa in più sedi: nei centri storici delle nostre città il lavoro viene spesso svolto in
smart working e questo penalizza bar e ristoranti. «Altro problema - aggiunge - è la
mancanza di turismo che pesa per 8 miliardi di euro: anche se c’è una ripresa di quello nazionale, il turismo straniero è ancora molto esiguo». E se nel 2019 bar e ristoranti avevano fatturato 90 miliardi di euro, nel 2020, va ricordato, ne hanno persi 40 e nel 2021 siamo già a 20 miliardi in meno, per un totale di 60 miliardi di euro persi.
Molti hanno cambiato lavoro con la pandemia Ma che si può fare allora in queste condizioni? Qui la Fipe va come al solito sul concreto ed oltre agli incentivi per il personale da riassumere, evidenzia alcuni
problemi generali. Il primo, di ampio respiro,
riguarda il tema degli affitti. La federazione di ConfCommercio chiede al Parlamento di fare di più sul fronte della rinegoziazione dei canoni di locazione. L’azione di moral suasion esercitata attraverso il
Dl Sostegni, nel quale si invitano le parti a trovare un accordo per la riduzione degli affitti commerciali, da sola non basta:
deve essere adeguatamente incentivata con fondi statali.
C’è poi la questione centrale dei
prestiti alle piccole e medie imprese garantiti dallo Stato. «È certamente apprezzabile la proroga al 31 dicembre 2021 degli interventi in deroga del Fondo di Garanzia per le Pmi e dei finanziamenti garantiti da Sace - spiega Calugi - ma, in questa fase di ripartenza, l
a proroga della moratoria va estesa non solo al capitale, ma anche agli interessi che rischiano di essere troppo onerosi per chi ha lavorato a singhiozzo negli ultimi 15 mesi. E analogamente si pone il problema di aumentare il fondo di 600 milioni di euro, previsto nel decreto Sostegni bis, destinato ai Comuni per la riduzione della Tari ai pubblici esercizi».
E poi c’è anche chi non ha lavorato proprio per nulla, come le
discoteche. Cosa si può fare? La richiesta della Fipe al Governo (non certo l’ultima per importanza) è quella di un
fondo ad hoc a sostegno dei locali da ballo e dell’intrattenimento che, dopo essere rimasti chiusi per 15 mesi, al momento non hanno alcuna certezza su una possibile riapertura. «Le discoteche - conclude Calugi - sono state le prime a chiudere, saranno le ultime a riaprire, ma nonostante questo non avranno diritto ad alcuno specifico sostegno economico da parte del governo.
Questa è un’incongruenza che deve essere sanata al più presto».