Adesso ci mancava solo la
mutazione inglese del Covid, con l’annessa
nuova ondata di paura e, soprattutto, di sconforto. Proprio mentre ci accingiamo ad avviare la più importante campagna di
vaccinazioni di massa mai tentata al mondo, ci ritroviamo con nuovi dubbi ed incertezze. Quasi che in Italia non ne avessimo avuto abbastanza del
barcamenarsi fra Dpcm e ordinanze di Governatori e Sindaci, senza che si sia mai avuta una coerenza di comportamenti o una condivisione su cosa fare rispetto agli obiettivi primari di salvare quante più vite possibili ed impedire un tracollo della nostra economia. Fra
continui “apri e chiudi” è sempre stato uno scontro costante che ha visto perire giorno dopo giorno bar e ristoranti in tutta Italia, insieme a tutte le aziende che si occupano di svago e benessere.
E il risultato è un’Italia sempre più triste, più povera e più sfiduciata che assiste impotente al
balletto dei nostri politici che sembrano vivere su un altro pianeta. Ciò che preoccupa è la
politica demenziale del bastone e della carota usata negli ultimi mesi, alternando pretese “buone notizie” a drastici retromarcia, quasi che agli italiani non sia possibile parlare con responsabilità. D’estate ci avevano consigliato di passare le ferie vicino a casa, ma poi hanno aperto le frontiere, dato i bonus vacanze e aperto le discoteche. E quando si sono create le situazioni pericolose delle movide incontrollate, la colpa era degli italiani o dei gestori, non certo delle istituzioni che non avevano fatto i controlli.
Giuseppe Conte (foto: avvenire.it)
Non ci sono soldi per i ristori e la cassa integrazione per chi è stato chiuso a ripetizione per decreto (i
pubblici esercizi), ma poi si è continuato a foraggiare uno strumento utile come il
reddito di cittadinanza, gestito in maniera vergognosa come assistenzialismo e mancia elettorale. E ancora, nei bar o nei ristoranti non si poteva andare di sera e i coperti dovevano essere contingentati, ma poi
nessuno controllava gli assembramenti nei centri commerciali o nelle vie dello shopping, che si sono riempiti anche su incentivo dell’improvvido avvio del
cash-back.
Il risultato è che
gli italiani non capiscono più cosa si deve fare, e dopo
settimane di un Paese “arlecchino” si ritrovano carichi di ansia e preoccupazioni.
E poi ci sono le questioni di fondo irrisolte. A parole, già dall’estate tutti parlavano dei problemi veri a cui porre rimedio con priorità assoluta. Dai
mezzi di trasporto, che non potevano essere scatole di sardine, alle
terapie intensive negli ospedali che andavano potenziate con ventilatori e, soprattutto, con personale aggiuntivo. Ma ad oggi cosa è stato fatto? Praticamente nulla, tanto che torna ad essere in forse la riapertura delle scuole, che sono luoghi di fatto sicuri, mentre non lo sono i mezzi con cui ci si arriva o si torna a casa. E tutte le nuove restrizioni vanificano anche i precedenti
sacrifici chiesti “per salvare il Natale” e sono legate alla paura che gli ospedali non possano sostenere una
terza ondata di contagi per l’evidente
impreparazione di tutto il sistema sanitario.
Ma cosa fare lo sapevamo già dal primo lockdown.
Si è preferito rinviare ogni decisione, sperando forse che il virus andasse in sonno da solo. Per carità, si tratta di un errore compiuto dalla maggior parte dei governi in tutto il mondo. Il punto è che da noi si è preferito puntare sul
bizantinismo dei decreti e su
aiuti a pioggia (che non accontentano alla fine nessuno...), invece di prendere
decisioni anche impopolari. Conte, che pure nei primi tempi aveva dato una buona impressione alla gran parte degli italiani, si è fatto prendere la mano dal mestiere del politico. Rinnegando il fatto di essere figlio di quell’antipolitica tanto strombazzata da Grillo & company, il premier ha illuso e usato la comunicazione come uno strumento di gestione dell’emergenza, dividendo l’Italia fra “protetti” (gli statali, gli impiegati in
smart working, la grande industria sindacalizzata) e
“abbandonati” (tutto il mondo del turismo, gli artigiani, le piccole imprese). E che dire dell’illusione di garantire posti di lavoro col divieto di licenziamento, la cui scadenza è spostata di mese in mese? La verità è che allo Stato costa meno pagare la cassa integrazione che non le indennità di licenziamento...
Se poi pensiamo al
vergognoso balletto sulla gestione e sugli investimenti previsti nel
Recovery plan ci si rende conto che fra Palazzo Chigi e il Paese è in atto un
corto circuito. Ed è proprio da qui che si deve invece ripartire per cercare di
ripristinare un minimo di fiducia, senza la quale ogni possibilità di ripresa sarebbe vanificata. Siamo ormai a Natale,
Conte e i suoi ministri parlino subito con sincerità agli italiani.
Dicano che Italia immaginano. Sarebbe almeno un
regalo di ottimismo per le feste. Se invece vogliono continuare a tenere segreti progetti e strategie, magari
tagliando fuori il mondo del turismo, forse è meglio che si preparino a
fare le valigie con l’arrivo del nuovo anno.