«A pesca sì, a caccia invece no. Sono ridicoli». Non usa mezzi termini Alessandro Sala, presidente dell'Atc-Ambito territoriale unico di caccia di Brescia. Nelle zone rosse, dopo un lungo tiramolla di chiarimenti, precisazioni e interpretazioni, nei giorni scorsi è stato stabilito che i pescatori sportivi e professionali possono continuare a praticare la loro passione e attività, stop invece a tutti i cacciatori.

Cacciatori in protesta contro il Dpcm
Cacciatori nei campi e nei capanni in assoluta sicurezza«È assurdo e contro ogni logica. L'attività venatoria - ribadisce Sala - si effettua nei
campi e all’aria aperta, i cacciatori sono ben distanziati e tutt’altro che ammassati. Nei
capanni entrano al massimo due persone. Vi è forse il pericolo di trasmissione del virus pur rimanendo coperti con le mascherine? Abbiamo già chiesto al
Governo tramite le associazioni di categoria, di rivedere la norma così come sollecitato anche dalla Regione
Lombardia».
Non vogliamo i soldi, ma tornare a sparare«Che senso ha - prosegue - vessare e penalizzare oltre
30mila persone che praticano il loro sport preferito per 4 mesi all'anno? Non vogliamo nessuna
elemosina, né la restituzione dei soldi pagati per la licenza venatoria (circa 600 euro). Chiediamo solo di continuare a
praticare - nel rispetto di tutte le norme - la nostra attività senza assurdi vincoli e divieti».
Confagricoltura preoccupata per gli animali sulle stradeIn effetti il covid non si diffonde certo facilmente, fra coloro che girovagano in mezzo ai campi e spesso tutelano anche l'ambiente. E sulla questione è intervenuta anche
Confagricoltura regionale che
denuncia la situazione della fauna selvatica divenuta ormai insostenibile e pericolosa. L’associazione si è schierata a fianco dell'assessore regionale all’Agricoltura, Fabio Rolfi che ha chiesto al Governo di consentire in
Lombardia l'attività venatoria, nonostante la
classificazione di zona rossa.
«È fondamentale prevenire un'eccessiva
riproduzione degli animali - ha detto il presidente
Antonio Boselli - il rischio è che fra qualche mese il fenomeno non sia più gestibile, con danni incalcolabili per le attività. La situazione è al limite con tanti
agricoltori che chiedono risarcimenti certi senza che questi siano vincolati a costose, oltre che inefficaci, misure di prevenzione come le recinzioni chilometriche. Il
problema non riguarda solo il mondo agricolo ma tutta la collettività a causa dei gravi incidenti stradali causati dagli ungulati. Senza dimenticare che i
cinghiali selvatici sono i vettori principali della peste suina. Un'emergenza, che si assomma a quella della pandemia».