Siamo dei mangioni di pasta, noi italiani, e questa non è una scoperta. E la nostra voglia matta nazionale si autocelebra e rispecchia nel 22° World Pasta Day, manifestazione ideata e curata da Unione Italiana Food (già Aidepi) e Ipo, International Pasta Organisation: l’appuntamento è annuale e cade ogni 25 ottobre, data di massima espressione dell’amore per la pasta. Nel 2020 i festeggiamenti raddoppiano: nel decennale del riconoscimento Unesco della Dieta Mediterranea a Patrimonio Immateriale dell’Umanità, torna la kermesse “Al Dente - The Italian way of Pasta”. Per una settimana (18-25 ottobre) 130 ristoranti italiani e di tutto il mondo hanno proposto in menu un piatto “mediterraneo” di pasta. Ad ispirare gli chef il movimento #VivoMediterraneo, un decalogo di principi e comportamenti quotidiani che richiama, attualizzandoli, i fondamenti della Dieta Mediterranea, coniugando alimentazione, movimento, convivialità e sostenibilità.
Tutti pazzi per la pasta
Ma non sono solo gli
italiani a festeggiare, perché il World Pasta Day per definizione non ha confini. Quale occasione migliore per ricordarci che, secondo i dati Ipo, l’Italia è il primo Paese produttore di pasta (con 3,5 milioni di tonnellate, +4% rispetto al 2018, precediamo Usa e Turchia); ma siamo anche i primi consumatori, con 23,1 kg pro-capite annui, davanti a
Tunisia (17), Venezuela (12), Grecia (11,4). E dappertutto si riconosce questo primato mangiando la pasta prodotta nel nostro Paese. È italiano un piatto di pasta su 4 al mondo, 3 su 4 in
Europa. Se il 2019 ha registrato il record di esportazioni (oltre 2,1 milioni di tonnellate, +7,5% sul 2018), le elaborazioni di Unione Italiana Food su dati Istat rivelano nei primi sei mesi del 2020 un risultato (+25%) davvero eccezionale. In valori assoluti,
Germania, Uk, Francia, Usa e Giappone sono i mercati più interessanti. Ma la voglia di pasta italiana registra crescite superiori al 40% verso gli Usa, Canada, Australia e Romania, del +30% verso Uk, Paesi Bassi, Arabia Saudita. Addirittura. superiori al 60% per Hong-Kong, Ucraina e Irlanda. Altri mercati strategici come Francia, Cina e Corea del Sud registrano crescite di oltre il 20%.
In altre parole, neanche il confinamento
anti-Covid19 è riuscito ad abbattere i consumi: secondo una ricerca Doxa commissionata da Uif (Unione Italiana Food) ed Ita (Italian Trade Agency), la pasta è rimasta un punto fermo dell’alimentazione per il 98% degli italiani: il 62% degli intervistati ha consumato pasta tutti i giorni o quasi, il 30% tra le 2 e le 3 volte a settimana, il 6% una volta a settimana e solo il 2% meno di una volta a settimana o al mese. Sebbene con percentuali più basse, anche negli altri stati si rilevano consumi interessanti: in Francia l’85% degli intervistati ha consumato pasta almeno una volta a settimana, in Uk il 71%, in Germania il 61% e in Usa il 53%.
E quindi, in un momento in cui non mancano i motivi per preoccuparsi, possiamo almeno rallegrarci per l’affermarsi globale di uno dei simboli dell’identità nazionale: la pasta. Che rappresenta un punto di riferimento a 360 gradi, non solo alimentare ma culturale ed emotivo, come confermano coloro che di pasta, pane, companatico e biodiversità mediterranea vivono e lavorano: gli chef. Abbiamo chiesto a
Vincenzo Butticè, chef siculo che a Monza si biloca su ben due scenografie gastronomiche (il ristorante “Il Moro” e “ATrattoria”, inaugurata di fresco) cosa significhi la pasta nella sua storia professionale.
«La pasta è l’inizio, il ricordo e l’infanzia - racconta Vincenzo - è il trovarsi tutti insieme della famiglia allargata che lavora in campagna, nel mio caso nell’agrigentino. La scena non si dimentica: a un certo punto ci si riunisce sull’aia e mio nonno materno prepara la mitica pasta alla carrettiera. I pomodori appena raccolti si sbollentano, si schiacciano con la forchetta e si aggiungono alla pasta appena scolata. In aggiunta olio extra vergine di oliva, pecorino e pepe… più semplice e poetico di così!
Mi sembra ancora di sentire i sapori, quelle sensazioni che davvero hanno accompagnato tutta la mia maturazione e che cerchiamo di riprodurre nei nostri due punti di ristoro».E dunque la pasta è una specie di tradizione che si autoimpone?«Diciamo che è una parte importante del nostro essere italiani e siciliani, specie per chi viene come me dalle campagne e ha negli occhi i paesaggi imbionditi dal grano. Al giorno d’oggi produrre la pasta col nostro frumento ha un valore particolare, non è semplicemente una strategia di marketing, perché non posso e non voglio affermare che il grano italiano, rispetto a quello importato, è per forza migliore. Qui c’è qualcosa di più della qualità, perché entra in gioco la storia, la cultura, la biodiversità: tutto questo abbiamo a cuore quando insistiamo ad utilizzare la varietà “Tumminìa” o “Senatore Cappelli”.
Utilizzare i nostri grani autoctoni è una questione etica, prima che agroalimentare: quando lo facciamo il pane, la pizza, la pasta che ne derivano acquistano un sapore inconfondibile. Solo così due penne in bianco, con un giro d’olio di quello giusto, diventano un’istantanea dell’Italia, in tutta la sua bellezza».Ottima la pasta in bianco, ma nel suo ristorante (o in trattoria) tra i vari modi di cucinare la pasta qual è quello che risulta vincente? «La pasta è tradizione e cultura, ed io mi trovo più a mio agio quando la preparo proprio all’italiana, nel modo che sento più mio: bollita e poi saltata in un’ampia padella. Con questi semplici gesti, ancora una volta, si definisce un’identità che sfida il tempo. Se voglio giocare con l’attualità posso agire sulla consistenza e servirla croccante, tipo corn flakes, come divertissement da aperitivo, o sbizzarrirmi con i condimenti. Ma non accadrà col classico primo: per quello c’è la pasta al salto, e regna incontrastata».
Da Monza a Como il passo è breve, pochi chilometri per trovare un altro interprete come il giovane chef
Federico Comi, che nel ristorantino-boutique “Comi 107” porta avanti la sua idea di eleganza ai fornelli. Pure a Federico proponiamo l’associazione mentale: chiudere gli occhi e pensare alla pasta, e poi spiegare cosa accade. «Un pezzo di cuore, la pasta - racconta Federico - specie quella fresca. Mi vedo davanti quella che si faceva tutte le domeniche, a casa mia: il piccolo Federico ne riceveva sempre un pezzo per poterci giocare. Rimane impresso il profumo della farina, delle uova, l’allegria del giorno festivo: indimenticabile.
Ecco perché nel mio locale la pasta fresca, fatta da me, non manca mai. Rinunciare vorrebbe dire non sentirsi più italiani, il che è impossibile».Federico, lei ha lavorato anche all’estero: dove la pasta è un altro pianeta, vero o no? «Spesso è una specie di contorno, un accompagnamento, non è al centro del pranzo o della cena, e quest’idea è difficile da digerire. Per quel che ho visto e assaggiato io, nessuno sa interpretare la pasta come noi italiani».
E se invece parliamo di ingredienti e condimenti, quali sono i suoi preferiti?«Ogni stagione ha il suo ingrediente particolare: in autunno, ad esempio, mi dedico ai miei cappellacci con zucca. E poi, dato che da ‘Comi107’ la specialità è il pesce di mare, quando è possibile non manca la pasta fresca con vongole o seppie. Più in generale, i miei clienti sanno apprezzare i piatti semplici, ossia il cuore della cucina nazionale, ed io ne sono ben felice: condire con olio, pomodoro e basilico equivale a riproporre sapori intramontabili, che rimangono nel cuore della gente».
Se si parla di pasta è normale che il cuore sia coinvolto, perché in qualche modo ci si connette ad una storia cominciata più di mille anni fa: per alcuni studiosi in Arabia (stiamo parlando di pasta essiccata), per poi passare alla vicina Sicilia, a Trabia, dove già nel XII secolo si trovano tracce di una fabbrica per la produzione industriale del prezioso alimento, esportato in Europa dai mercanti genovesi già a quell’epoca. Se ne deduce che l’invenzione della pasta è di molto più antica, ed anche per questo una giornata come il 25 ottobre, World Pasta Day, va vista come una riscoperta delle radici della civiltà; da migliaia di anni, insomma, non si può fare a meno di sedersi a tavola per apprezzare un successo gastronomico mondiale, e nel contempo alimentarsi in modo equilibrato. E gustoso.