Che fosse proprio la “rossa” a porre la parola fine al mito delle guide dedicate ai gourmet ed esclusive per definizione, in pochi se lo sarebbero aspettato. E invece, quasi per non perdere il treno delle “
offerte” che sembra dover sostituire il criterio della scelta di qualità, è proprio la
Michelin a rischiare di perdere per strada gli ultimi residui di credibilità che poteva mantenere in un mercato in piena evoluzione (o involuzione) come quello delle
guide.
Col fiato sul collo delle vendite in caduta libera, tutta l’editoria delle guide cartacee è alla ricerca di soluzioni con cui cercare di contenere l’espansione delle
recensioni senza regole di TripAdvisor e affini, da un lato, o dei sistemi di prenotazione con sconto, dall’altro.
Se
Identità Golose ha optato decisamente per una
guida solo digitale, costantemente aggiornata e di tipo critico-divulgativo (senza
punteggi), la Michelin sembra invece voler affiancare all’edizione tradizionale su carta (dove il valore è dato dalla valutazione per categoria dei locali) uno sportello sulla rete dove ci sono solo i locali che pagano una quota per esserci e per farsi pubblicità. E che abbiano una stella o due forchette poco importa, l’importante è che la visibilità non è data da scelte della redazione, ma dalla sottoscrizione di un contratto (300 euro per 3 mesi per essere visibile, a rotazione, insieme ad altri 300 locali che pagano).
La trasformazione in booking agency per ristoranti stellati (e non) e alberghi è una novità importante. L’aggiunta della segnalazione dei locali che pagano per essere visibili introduce però il dubbio di commistioni commerciali che alla lunga rischieranno di ledere all’immagine della guida. Chi può garantire che se un ristorante rifiuta l’offerta di promuoversi a pagamento sul sito Michelin, manterrà poi un giudizio positivo sulla guida?
Un merito va peraltro riconosciuto a questa iniziativa: non si basa su politiche di sconto che alla fine penalizzano il valore di un locale e al tempo stesso rende un po’ più democratico l’accesso alla ristorazione di qualità. Dai prezzi dei menu proposti (si parte attorno ai 30 euro) si può infatti capire come non è detto che la ristorazione di qualità (o un albergo di livello) debba per forza avere prezzi inaccessibili. Certo molto dipende da cosa è proposto a quella tariffa, ma già il solo entrare in alcuni locali senza il timore di lasciare sul tavolo fette importanti dello stipendio è utile a tutti. Resta però l’amaro in bocca che le segnalazioni valgano solo, lo ripetiamo, per chi paga l’annuncio.
Una conclusione che si potrebbe trarre, magari un po’ frettolosa, è che la ristorazione è diventata un grande guazzabuglio: i valori sembrano ormai legati agli sconti o alle promozioni. Un trend che sta influenzando moltissimo le
scelte dei consumatori, che spesso girano tra i ristoranti come fra i supermercati con i volantini delle offerte. I
menu col 50% di sconto promossi da TheFork (TripAdvisor) non sono solo uno scandalo per i locali che lo praticano (o tagliano sulle materie prime quando fanno lo sconto o negli altri giorni hanno rincari insensati...), sono anche la punta di un iceberg che rischia di far naufragare tutto e tutti. Ci si sta allineando ad una caduta di stile che
poco si sposa con la qualità conclamata dai più e che porterà ad una marginalità di guadagni che peserà non poco sulle gestioni. Servirebbe uno scatto di orgoglio da parte della categoria, soprattutto da parte di
chi la rappresenta. Ma questo forse è chiedere troppo a
sindacati che si sono allineati, e
alleati, con chi punta sugli sconti ad ogni costo...