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Brexit, food italiano non teme ricadute Ma torneranno le etichette a semaforo?

Il settore agroalimentare italiano gode di buona salute. L’export dei nostri prodotti oltremanica è cresciuto senza sosta anche negli anni della crisi. Gli analisti parlano di maggiori rischi per la Gran Bretagna. Tra i possibili scenari, la fine del libero scambio e l'adozione del sistema delle “etichette a semaforo”

di Lucio Tordini
24 giugno 2016 | 12:05
Brexit, food italiano non teme ricadute 
Ma torneranno le etichette a semaforo?
Brexit, food italiano non teme ricadute 
Ma torneranno le etichette a semaforo?

Brexit, food italiano non teme ricadute Ma torneranno le etichette a semaforo?

Il settore agroalimentare italiano gode di buona salute. L’export dei nostri prodotti oltremanica è cresciuto senza sosta anche negli anni della crisi. Gli analisti parlano di maggiori rischi per la Gran Bretagna. Tra i possibili scenari, la fine del libero scambio e l'adozione del sistema delle “etichette a semaforo”

di Lucio Tordini
24 giugno 2016 | 12:05
 

Molte le incognite all’indomani della vittoria del “Leave” al referendum in Gran Bretagna sull’uscita dall’Unione europea. Quello che appare certo, al momento, è che sarà un processo lungo e complesso, di almeno due anni, ma ne potrebbe durare anche dieci se si considerano i rapporti post-Brexit da rinegoziare tra Gran Bretagna e Ue. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nei giorni precedenti al referendum, aveva parlato di «almeno 7 anni», il governo britannico di «un decennio o più». Fino all’uscita formale, la legislazione Ue resta comunque in vigore. «Non ci sarà un vuoto legale - ha assicurato Tusk - fino all’uscita formale della Gran Bretagna la legge Ue resta valida nel Regno Unito, ciò significa diritti e doveri».



E mentre questa mattina il premier David Cameron ha già parlato di dimissioni, annunciando che il negoziato di uscita sarà guidato da un nuovo leader, in Italia sorgono molti interrogativi sui possibili contraccolpi sulla nostra economia. Nel settore agroalimentare, già nei giorni scorsi, le principali associazioni di categoria hanno cercato di ipotizzare possibili scenari in caso di Brexit, dal momento che il Regno Unito è tra i maggiori mercati in Europa per la nostra industria alimentare.

Federalimentare: Rischi marginali per l’agroalimentare italiano
Federalimentare, ad esempio, sostiene che in caso di Brexit il peggio sarebbe per gli inglesi, sia produttori che consumatori. Questo perché il Regno Unito ha spesso eluso politiche volte all’innalzamento degli standard qualitativi, mentre in Italia sono alla base delle nostre eccellenze. La domanda di prodotti potrebbe dunque non diminuire, anche in virtù del peso del mercato britannico sull’export alimentare italiano: il 9,7% del totale.

In Gran Bretagna food & wine italiani sono richiestissimi (è il secondo mercato europeo dopo la Germania e il quarto a livello mondiale), con una crescita di domanda che non ha avuto sosta neanche negli anni di crisi: l’export dei nostri prodotti verso il Regno Unito è cresciuto senza sosta, raggiungendo nel 2015 i 2,8 miliardi, vale a dire una crescita del 9,5% rispetto al 2014 e del 56,4% sul 2007. In un’analisi condotta per l’Ansa, Coldiretti, Federalimentare e Alleanza delle coop agroalimentari non prevedono stravolgimenti negativi. I rischi sarebbero marginali, legati in buona parte alla perdita di velocità del Pil inglese e quindi alla minore dinamica della capacità di acquisto locale. Mentre nel breve periodo si dovrebbe assistere alla perdita di valore della sterlina sull’euro (che potrebbe avvicinarsi a un rapporto paritario 1 a 1), con conseguente penalizzazione dei prezzi all’import.

Con l’uscita dall’Ue, «chi avrà la peggio nell’agroalimentare saranno gli inglesi, non noi», prevede Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare. «Non va inoltre dimenticato che nel campo delle Politiche agricole comunitarie il Regno Unito ha sempre preso molte più risorse di quelle che ha versato».

Coldiretti: La Gran Bretagna ha da perdere più dell’Italia
La Gran Bretagna è diventato nel 2016 il primo mercato mondiale di sbocco dello spumante italiano, con le bottiglie esportate che hanno fatto registrare un aumento record del 38% nel primo trimestre, consentendo il sorpasso sugli Stati Uniti. La svalutazione della sterlina potrebbe tuttavia avere ripercussioni sui rapporti commerciali. La Gran Bretagna è il quarto sbocco estero dei prodotti agroalimentari made in Italy, con un valore annuale di ben 3,2 miliardi delle importazioni dall’Italia ed una tendenza progressiva all’aumento, mentre al contrario dalla Gran Bretagna arrivano in Italia prodotti agroalimentari per appena 701,9 milioni di euro.



Lattiero caseari, ortofrutta e vino e spumanti sono i prodotti alimentari italiani maggiormente richiesti. La bilancia commerciale agroalimentare è dunque fortemente sbilanciata a favore dell’Italia, con le esportazioni che superano di 4,6 volte le importazioni. La Brexit potrebbe avere effetti sulle politiche comunitarie: «È probabile che la Gran Bretagna abbia da perdere molto più dell’Italia», sostiene Coldiretti. «Riceve il 7% delle risorse destinate alla politica agricola dall’Unione europea e si posiziona al 6° posto nella classifica dei maggiori beneficiari, nonostante sia al 13° posto come numero di aziende agricole, che sono circa 187mila».

Mercuri (Alleanza coop agroalimentari): Rischi per le denominazioni di qualità
Eventuali rischi derivanti dalla Brexit potrebbero, piuttosto, essere legati alle regole (dazi sull’import e sull’export, denominazioni) e dunque colpire principalmente i produttori britannici non avendo assicurati i fondi previsti dalla Politica agricola comune. Si rederebbe, inoltre, più difficile l’accesso ai mercati europei, un ostacolo che oltremanica sembra allarmare non poco gli imprenditori agricoli.

Sulle conseguenze della Brexit si è espresso anche il presidente dell’Alleanza delle cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri: «Molto dipenderà dal tipo di politica commerciale che sceglierà il Regno Unito. Se sarà orientata a un accordo di libero scambio con l’Ue, occorrerà valutarne i termini: è da escludere l’apposizione di dazi, mentre bisognerà fare i conti con l’impatto di eventuali modifiche in merito al riconoscimento delle denominazioni di qualità. Un aspetto chiave per la cooperazione, che è leader in queste produzioni. Da non trascurare infine le eventuali conseguenze sul tasso di cambio euro-sterlina, che determinerà la competitività dei prezzi dei prodotti».

Torneranno le “etichette a semaforo”?
Sono molti gli interrogativi che al momento rimangono senza risposta: non dovendo più rispettare i regolamenti europei, quali regole adotterà la Gran Bretagna? Manterrà rapporti commerciali con gli altri Paesi improntati al libero scambio? Oppure diventerà per noi come l’Egitto o l’India? La strada più semplice sarebbe l’adesione della Gran Bretagna all’Efta, l’Associazione europea di libero scambio, che comprende anche nazioni che non aderiscono all’Ue come Liechtenstein, Islanda, Svizzera e Norvegia. In caso di mancata inclusione nell’Efsa, è possibile che vengano ristabiliti dazi sui prodotti agroalimentari che potrebbero andare dal 5 al 10%. Ma molte preoccupazioni riguardano anche la qualità dei prodotti alimentari.


Storicamente la Gran Bretagna è il Paese che ha contrastato maggiormente le politiche di tutela qualitativa delle produzioni agricole, a favore di una standardizzazione verso il basso. L’ultima battaglia che ha visto contrapporsi l’Unione europea alla Gran Bretagna è stata quella sul sistema delle “etichette a semaforo”, che lo scorso aprile ha ricevuto la bocciatura a larga maggioranza da parte del Parlamento europeo. La Commissione europea è stata invitata a «riesaminare la base scientifica, l’utilità e la fattibilità del regolamento 1924/2006 nonché eventualmente a eliminare il concetto di profili nutrizionali», ovvero quelle soglie tecniche di determinati nutrienti “critici” (come grassi, grassi saturi, zuccheri, sale).

Si tratta di una informazione visiva sul contenuto di nutrienti con i bollini rosso, giallo o verde ad indicare il livello di “criticità” per la salute. La segnalazione sui contenuti di grassi, sali e zuccheri non si basa però sulle quantità effettivamente consumate, ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze. Il sistema finisce così per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani promuovendo, al contrario, prodotti come bevande gassate senza zucchero, fuorviando i consumatori rispetto al reale valore nutrizionale.

“Vittime” illustri di questo sistema di classificazione, che colpirebbe il 60% delle produzioni italiane, sono le esportazioni delle principali denominazioni Made in Italy, dal Prosciutto di Parma al Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma anche gli oli extravergine di oliva, la mozzarella o le nocciole.

Con il sì referendario alla Brexit, la Gran Bretagna spingerà dunque di nuovo per l’adozione dell’etichettatura a semaforo?

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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