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Alla scoperta della cucina e dei prodotti tipici delle valli dell’Ossola

Ornata delle sue pittoresche valli-nervature destre e sinistre (Valle Anzasca, Antrona, Bognanco, Divedro, Antigorio, Formazza, Isorno, Vigezzo), la Val d'Ossola è uno scrigno di tradizioni culinarie uniche

 
06 marzo 2022 | 10:30

Alla scoperta della cucina e dei prodotti tipici delle valli dell’Ossola

Ornata delle sue pittoresche valli-nervature destre e sinistre (Valle Anzasca, Antrona, Bognanco, Divedro, Antigorio, Formazza, Isorno, Vigezzo), la Val d'Ossola è uno scrigno di tradizioni culinarie uniche

06 marzo 2022 | 10:30
 

Cosa fare in Val d’Ossola, specie di fogliolona montuosa distesa a Nord del Piemonte verso la Svizzera, ornata delle sue pittoresche valli-nervature destre e sinistre (Valle Anzasca, Antrona, Bognanco, Divedro, Antigorio, Formazza, Isorno, Vigezzo)? Si può partire dal punto nevralgico della valle, collocato a Domodossola (un’ora e quaranta di auto da Milano) e cominciare ad ammirare la cittadina, crocevia fra il Nord Europa e la pianura padana.

Veduta di Riale Alla scoperta della cucina e dei prodotti tipici delle valli dell’Ossola

Veduta di Riale


Domodossola, pochi abitanti, tanti tesori

Domodossola ha solo 18mila abitanti e un passato tutto da esplorare, a partire dall’epoca romana e passando per le contese per la sua posizione strategica fra svizzeri, novaresi, milanesi, spagnoli, austriaci… e piemontesi, finalmente. Assorbire senza sforzo un po’ di reminiscenze è facile: basta passeggiare per il centro storico pedonalizzato e ammirare le mura pentagonali, palazzo Silva, piazza della Fontana, palazzo San Francesco e, infine, la magnifica piazza del Mercato, impreziosita da portici, balconate e loggette del 15° e 16° secolo.


Da Sciolla, piatti ossolani antichi

E se uno ci passa, a Domodossola, anche per omaggiare le tradizioni enogastronomiche? In tal caso “Da Sciolla” è il ristorante-locanda adatto per ritrovare il sapore dei piatti ossolani antichi - a partire dalle materie prime del territorio come il prosciutto della Val Vigezzo, gli insaccati di produzione propria, le trote. Il menu contempla piatti tipici come gli gnocchi dell’Ossola (farina di castagne, patate e zucca), la pasta rustida (integrale con fagioli piattoni), i civet di selvaggina, le torte di pane e latte. E se non si è proprio astemi astemi sarà bello scoprire che anche i vini sono fatti in casa, per così dire: ce ne illustra qualcuno l’enologo e viticoltore Edoardo Patrone, la cui famiglia gestisce il “Da Sciolla”.


«Il mio progetto - spiega Edoardo - parte da lontano; ho studiato da sommelier, poi mi sono laureato in viticoltura ed enologia e nel 2016, tornato da un’esperienza di lavoro all’estero, ho cominciato a pensare che qui da noi valeva la pena di puntare sulla viticoltura locale. Dopo sei anni gestisco cinque ettari e ventotto appezzamenti, spesso per conto di persone anziane, per cui la vigna non è un mezzo di sostentamento ma una tradizione ben radicata. E già, perché in Val d’Ossola il vino è da sempre un grande amore: mi raccontano che quarant’anni fa era normale bere più di un litro al giorno, a persona. Per conto mio, ho avuto la fortuna di vivere la rinascita partita negli anni Novanta della nostra cultivar, il Prünent, un clone del Nebbiolo: io mi sono inserito in questa scia. Sembra che i risultati odierni mi diano ragione».


La rinascita del vino ossolano

Il Prünent “Stella” di Edoardo Patrone che abbiamo provato appare più che ragionevole, grazie all’equilibrio tra sentori di frutta matura e spezie e all’eleganza dei tannini. Ma anche il “Vigna Vagna”, blend di Nebbiolo e Merlot, ha una sua presenza scenica, e non solo per il rubino intenso: all’olfatto la confettura si sente bene, mentre in bocca il contributo del Merlot sa donare rotondità e spessore.


In Valle Anzasca, alla scoperta della selvaggina locale

Procedendo nell’esplorazione da Domodossola verso sud-ovest, direzione Val d’Aosta, andiamo a scoprire la Valle Anzasca, una delle diramazioni della Val d’Ossola; merita una visita la Bottega della Carne di Marcello Maffeis, in località Bannio Anzino (Vb), a un tiro di schioppo dagli impianti sciistici di Macugnaga. La sua è una macelleria autorizzata alla lavorazione della selvaggina locale: salami, prosciutto crudo, bresaola, mocette di cervo e cinghiale, lardo alle erbe. «Faccio il macellaio da quando avevo ventidue anni, racconta Marcello Maffeis, mi sono appassionato alla materia e ho adottato una strategia molto semplice: trasformare e valorizzare i prodotti del territorio. Sono anche allevatore, avendo una certa quantità di maiali neri piemontesi, da cui ottengo prosciutto, lardo, pancetta e salame. L’allevamento di questi animali, simili più ai cinghiali che ai suini rosa, avviene completamente allo stato brado, nei boschi, ad un’altezza di 650 m. Le bestie non stanno mai in un luogo chiuso, eppure non soffrono il freddo: a volte mi chiedo come facciano a resistere. Ma lavoro anche la selvaggina (cinghiali, caprioli, camosci, cervi), che credo sia la carne più genuina che abbiamo sul territorio. È stato sufficiente organizzarsi bene con i cacciatori per ottenere dei prodotti di altissima qualità, che nei ristoranti locali si possono degustare crudi, cotti o insaccati. Sto parlando di una filiera a km 0 che si distingue per la sua sostenibilità. La carne che ora utilizzo in precedenza andava sprecata, perché era comunque necessario fare gli abbattimenti programmati: prima chi si portava a casa la bestia il più delle volte ne buttava una parte, non riuscendo né a consumarla né a conservarla adeguatamente. Ora è molto più difficile che accada». A qualcuno può sembrare un paradosso che la caccia rappresenti un contributo alla sostenibilità ambientale: eppure il ragionamento del nostro macellaio-allevatore-salumiere appare del tutto legittimo.

Val Formazza Alla scoperta della cucina e dei prodotti tipici delle valli dell’Ossola

Val Formazza


In Val Formazza per assaggiare il Bettelmatt

Ed ora, ad impreziosire ulteriormente il nostro tour gastronomico, lasciamo la Valle Anzasca, ripassiamo per Domodossola e saliamo verso l’apice della Val d’Ossola, fogliolona puntata verso la Svizzera: eccoci in Val Formazza. Ci fermiamo a Ponte, una delle quattordici frazioni del comune di Formazza, per occuparci di una new entry nel campo delle celebrità gastronomiche: il Bettelmatt, un formaggio a pasta semidura, di delicata occhiatura, che sugli alpeggi della Val Formazza si produce almeno da otto secoli e che è divenuto famosissimo, ma solo negli ultimi anni.

 


«Il Bettelmatt - ci spiega il giovane casaro Gabriele Scilligo - deve la sua rarità al fatto che si può produrre, secondo il disciplinare del nostro Consorzio, solo da latte di mucche che hanno pascolato sulle montagne formazzine da luglio a settembre. In questo periodo gli animali si nutrono di erbe e fiori tipici degli alpeggi che ci circondano, come l’erba Mutellina. Ne vien fuori un prodotto dall’aroma caratteristico, delicato ed erbaceo, legato alle varietà stagionali della flora, più intenso e complesso con la stagionatura, mai inferiore a sessanta giorni. Ma conosco dei clienti che preferiscono stagionature molto più lunghe e conservano le forme per anni come fossero vini pregiati, da invecchiare».

 

Gabriele Scilligo con il Bettelmatt Alla scoperta della cucina e dei prodotti tipici delle valli dell’Ossola

Gabriele Scilligo con il Bettelmatt


E fanno bene, si può dire dopo aver saggiato qualche esemplare attraversando la gamma dal giovane allo stravecchio. Il Bettelmatt ha un corredo aromatico e una consistenza (entrambi variabili nel tempo) così affascinanti che viene la curiosità di aspettare e sperimentare in più tappe, giocando con le infinite possibilità di abbinamento a grandi vini e perché no, anche distillati. C’è di sicuro qualche signor whisky leggermente torbato, o sapientemente affinato in botti di sherry, che non vede l’ora di accompagnarsi ad una dama di così alto lignaggio.


A Riale all’assaggio della cucina Walser

Il nostro itinerario si conclude in crescendo, anzi in salendo a Riale, 1740 metri sopra il livello del mare: siamo sempre in Val Formazza ma la strada finisce qui e intorno si possono ammirare solo montagne, vallate, cascate, piste da sci di fondo, inserite in un'ampia conca circondata da cime maestose, come il Corno Brunni. A Riale, frazione di pochissime anime, troviamo addirittura un ritrovo gastronomico per gourmet, la “Walser Schtuba” di Matteo Sormani, un cuoco innamorato delle sue montagne e delle loro tipicità inimitabili. «I prodotti che lei ha provato - spiega Sormani - andando in giro per valli e baite, sono il pane quotidiano nel mio albergo-ristorante: è chiaro l’intento di creare valore a beneficio di un territorio come la Val Formazza, sconosciuto ai grandi flussi turistici e pure a livello enogastronomico. Ma secondo me sta cambiando qualcosa: in parecchi cominciano a muoversi e viaggiare fin qui non solo per i sentieri da trekking, lo sci di fondo, il panorama e la natura. Pian piano si capisce che certi aromi e sapori sono difficilmente esportabili, e gustati “in loco” magari hanno una marcia in più. Io cerco di lavorare i prodotti nostrani in chiave contemporanea e, Covid-19 a parte, sembra che i nostri sforzi divulgativi vengano capiti sempre meglio».

 


Panettone d'alta quota 

Matteo Sormani, un mago dei lievitati, deve la sua fama al panettone più alto d’Italia. Un’armonia di fragranze, consistenze leggere e materie prime che si distinguono per qualità: genuino, altamente digeribile, in grado di esprimere l’essenza dell’alta montagna. Il panettone è solo una delle tante creazioni del cuoco, vero e proprio ambasciatore gastronomico di un territorio estremo dove la natura è la protagonista indiscussa e dove l’alta quota e l’isolamento, soprattutto nei mesi invernali, costringono spesso a organizzarsi con le proprie forze e a cercare continuamente nuove soluzioni.

 

 


Nella sua “Walser Schtuba” Sormani sa proporre, attraverso le eccellenze territoriali, pietanze che fanno da ponte tra saggezza montanara e lidi assai lontani: possiamo fare l’esempio del pâté di cervo servito su limone candito, del prosciutto di camoscio con maionese all’aglio orsino, castagne bollite con crema di Bettelmatt e spuma di zucca, terrina di coda di manzo arrosto con carciofo laccato. E con quest’ultimo piatto siamo giunti in vetta, per così dire, grazie all’equilibrio tra le diverse consistenze della coda (leggera e croccante fuori, quasi cremosa dentro) e l’erbaceo delicato del carciofo.


Non è facile il ritorno a casa, alla metropoli, al panorama di calcestruzzo. Tuttavia, ci rincuora ricordare che luoghi come la Val d’Ossola, Domodossola, la Valle Anzasca, la Val Formazza e Riale non si trovano in capo al mondo; né tantomeno costituiscono la meta esclusiva di vip e semi-vip, non sono assaliti da folle di vacanzieri maleducati e, soprattutto, sanno incidere nel cuore del viaggiatore gourmet, che voglia accostarsi a un territorio quasi vergine con curiosità e rispetto.


Per informazioni:
www.visitossola.it
www.valformazza.it

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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