Se possiamo riassumere con una sola parola i tempi difficili che sta attraversando l’economia - in particolar modo il settore dei pubblici esercizi e l’Horeca - la parola giusta, senza una minima ombra di dubbio, è incertezza. E se all’incertezza aggiungiamo il caos generale somministrato a bocconi di Dpcm e restrizioni con codice colore, i provvedimenti di Ristoro, oltre che tardivi, non si possono in alcun modo considerare come quanto basta per tenere in piedi l’intero comparto della ristorazione pubblica collettiva e commerciale.
Occorre un cambio di prospettiva puntando alla "nuova normalità" post-Covid
È assolutamente doveroso ribadire che
il settore si è visto doppiamente danneggiato dalla crisi, in quanto gli è stato imposto di spendere e impiegare significative risorse per mettersi in regola con tutte le prescrizioni e regolamenti di contenimento del virus e, nonostante ciò, è
rimasto soggetto a maggiori restrizioni e chiusure. Rimane da chiedersi come mai tutti ne parlano e sono d’accordo che non si potrà andare avanti così, ma di fatto si fa poco o niente, se non lamentarsi, per trovare una soluzione.
Tirare le somme e misurare i
danni provocati dal Covid nel settore della ristorazione - che ricordiamoci è composto di una catena lunghissima che trascina con sé l’intera filiera agroalimentare - forse è prematuro o quanto meno ancora impossibile, ma l’impatto sicuramente sarà devastante anche in termini sociali e occupazionali. Nonostante il vaccino, la via d’uscita dalla pandemia (a parere degli esperti) rimane ancora lontana, ma visto che ormai è passato quasi un anno dall’inizio di tutto, è doveroso riflettere con sincerità e responsabilità su quanto accaduto, cosa è cambiato e soprattutto cosa abbiamo imparato in questo periodo critico che, ahimè, ci mostra che forse stiamo varcando la soglia del
punto di non ritorno verso la “normalità” pre-Covid.
Partendo da questo ultimo ragionamento, a mio avviso, tra le prime cose che si sono “introdotte” nelle nostre vite (personali e professionali) insieme con il virus, c’è una serie di
parole inglesi che letteralmente hanno invaso e contagiato la nostra quotidianità e di conseguenza si stanno riflettendo sul nostro modo di pensare e percepire la situazione, spesso facendoci perdere nella traduzione. Tra
lockdown,
stop and go,
recovery fund,
v-day,
smart working,
conference call, passando tra la miriade di inglesismi introdotti nel mondo del cibo, a partire dal diffusissimo Haccp, e poi
food defense,
delivery,
dark kitchen,
lunch box,
packaging,
trend,
hub,
labeling,
e-commerce...
Insomma, stiamo assorbendo di tutto e, nella speranza di diventare tutti “
Covid free”, non ci siamo fatti mancare neppure il “
Covid Manager”, forse dimenticandoci però della
next generation che pagherà a lungo gli errori di oggi e non solo in termini “
green”.
Le difficoltà attuali vanno viste come opportunità per un cambiamento
Usare le parole come se fossero mascherine, dietro le quali tendiamo a nascondere mancanza di idee e approccio strategico, non significa purtroppo che abbiamo appreso i concetti e il senso che ci sta dietro. Significa invece che c’è bisogno di un vero cambiamento radicale soprattutto a livello strategico e di logiche di business che prima della pandemia faticavano a trovare terreno fertile di crescita in quanto comodamente messe a riparo sotto l’ombra del Belpaese pieno di turisti e persone affascinate di tutto ciò che è
Made in Italy.
Ma adottare le novità - per esempio lanciarsi nel delivery senza la dovuta
preparazione e adeguamento necessario che garantisca qualità e sicurezza, oppure trasformare il ristorante in una dark kitchen senza una mirata riqualificazione gestionale dei processi - può
trasformarsi da opportunità in minaccia, ovvero diventare causa di insuccesso o addirittura provocare la chiusura delle attività, se dietro queste iniziative sta solamente un’
idea poco chiara o un disperato tentativo di salvare il fatturato.
Di certo non mancano fantasia, ingegno e creatività come pilastri indispensabili nel mondo della ristorazione, ma i tempi sono duri e la sola passione o l’intraprendenza non bastano. Ci vogliono
competenze e abilità per applicare soluzioni tecnologiche all’avanguardia che, unite ad una
gestione manageriale agile e lungimirante, permetteranno non solo la sopravvivenza delle attività, ma spianeranno la strada verso un futuro meno incerto.
Forse è arrivata l’ora di abbandonare definitivamente l’idea che il mondo tornerà esattamente come era prima e iniziare a
pensare in maniera divergente, cercando e trovando soluzioni nuove alle problematiche attuali,
con metodi convergenti rispetto alle criticità della situazione.
In termini pratici, il più grande problema che deve affrontare in questo momento il mondo della ristorazione è la
pianificazione operativa sia a breve che a medio termine. Infatti, nessuno può prevedere quando scatterà una prossima chiusura o restrizione degli orari. È fondamentale quindi riuscire a
progettare un sistema semplice ed efficace (modalità di approvvigionamento, scelta delle materie prime, metodologie di preparazione-cottura-conservazione, shelf-life e sicurezza degli alimenti)
trasformando il ristorante in un laboratorio, in grado di vendere e servire in modo intelligente, adattandosi alle esigenze del momento.
Bisogna pensare in maniera divergente, cercando soluzioni nuove alle problematiche attuali
In primo luogo
va ripensato il menu, inteso come una linea di prodotti stagionali con materie prime del territorio che conferiscono identità al locale e generano un rapporto
smart e flessibile con i produttori locali. Torna utile quindi conoscere e distinguere (non solo linguisticamente) i fattori determinanti e le differenze tra il “
food waste” e il “
food loss” per poter arrivare al concetto e al vero impatto sugli utili che si determina tramite il calcolo del
food cost, visto poi che il maggior fatturato dei ristoranti, in questo momento, deriva dalle consegne a domicilio e/o dalle vendite online che non possono essere previste in termini temporanei e quantitativi.
I prodotti devono durare di più, le etichette devono essere green, la produzione deve pianificare e operare a prescindere dalle crisi e dalle restrizioni. Le tecnologie moderne consentono di produrre e conservare gli alimenti in modo sostenibile, riducendo gli sprechi,
prolungando la shelf-life senza bisogno di additivi e preservando gusto e salubrità anche ai prodotti veicolati verso i clienti a domicilio o venduti tramite commercio elettronico.
Non è il futuro, non è fantascienza, ma un
pensiero divergente che richiede l’applicazione di strategie convergenti per ottenere vantaggi da quello che già sappiamo fare bene e che unito alle
tecnologie alimentari (cotture sottovuoto, vasocottura, shock termico, sali bilanciati, atmosfere protettive, conservanti e acidificanti naturali bioprotettori), già ampiamente conosciute ma non ancora applicate in modo efficiente, ci può accompagnare con successo verso la ripresa.
Per informazioni:
www.giubilesiassociati.com