È arrivata la risposta del premier Giuseppe Conte all'intervento (tanto atteso e tanto sperato) della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Dopo un "cara Ursula", Conte apre all'appello: "È l'ora del coraggio".
Ursula von der Leyen e Giuseppe Conte
Facciamo un passo indietro. La tedesca presidente della Commissione dell'Unione europea è stata, fin dall'inizio di questa crisi,
a braccetto con la Merkel, tanto da aver definito settimana scorsa i coronabond uno «slogan» che la Commissione Ue nemmeno stava considerando («è qualcosa di competenza dei singoli Stati»). Ma ieri il "tiro" è cambiato. Con il crescere dei contagi in tutta l'Europa (la Germania ha infatti superato per contagi la Cina) l'atteggiamento della Commissione (come già quello della BCE) verso l'Italia ora è di generale solidarietà.
Insomma, per dirla alla Conte, qui ci si sta pian piano accorgendo che «non si sta scrivendo un manuale di economia, ma
un libro di storia». «Nessuno Stato dell'Ue sopravviverà da solo a questa crisi». Finalmente sempre più Europa se ne sta rendendo conto.
La Commissione, parallelamente alla lettera della von der Leyen, ha fatto un primo passo concreto valutando una forma leggera di Fondo Salva Stati e proponendo SURE, uno stumento contrro la disoccupazione per contribuire a salvaguardare il lavoro nei Paesi più colpiti con un investimento di almeno 100 miliardi. Si proseguono i lavori su un MES senza (o con meno) condizionalità, perché - ancora Conte - «così com'è non va».
Riportiamo di seguito la lettera del premier alla presidente della Commissione Ue.
“Cara Ursula, ho apprezzato il sentimento di vicinanza e condivisione che ha ispirato le parole con cui ieri, dalle pagine di questo giornale, ti sei rivolta alla nostra comunità e, in particolare al nostro personale sanitario, che,
con grande sacrificio e responsabilità, è severamente impegnato nel fronteggiare questa emergenza.
Le tue parole sono la prova che la determinazione degli italiani ha scosso le coscienze di tutti, travalicando i confini nazionali e ponendo la riflessione oggi più urgente: cosa è disposta a fare l'Europa non per l'Italia ma per se stessa.
In questi giorni ho ricordato spesso come l'emergenza che stiamo vivendo richieda una risposta straordinaria, poiché la natura e le caratteristiche della crisi in corso sono tali da mettere a repentaglio l'esistenza stessa della casa comune europea. Non abbiamo scelta, la sfida è questa: siamo chiamati a compiere un salto di qualità che ci qualifichi come "unione" da un punto di vista politico e sociale, prima ancora che economico.
L’Italia sa che la ricetta per reggere questa sfida epocale non può essere affidata ai soli manuali di economia. Deve essere la solidarietà l’inchiostro con cui scrivere questa pagina di storia: la storia di Paesi che stanno contraendo debiti per difendersi da un male di cui non hanno colpa, pur di proteggere le proprie comunità, salvaguardando le vite dei suoi membri, soprattutto dei più fragili, e pur di preservare il proprio tessuto economico-sociale. La solidarietà europea, come hai tu stessa ricordato, nei primi giorni di questa crisi non si è avvertita e ora non c’è altro tempo da perdere.
Accogliamo con favore la proposta della Commissione europea di sostenere, attraverso il piano "Sure" da 100 miliardi di euro, i costi che i governi nazionali affronteranno per finanziare il reddito di quanti si trovano temporaneamente senza lavoro in questa fase difficile. È una iniziativa positiva, poiché consentirebbe di emettere obbligazioni europee per un importo massimo di 100 miliardi di euro, a fronte di garanzie statali intorno ai 25 miliardi di euro. Ma le risorse necessarie per sostenere i nostri sistemi sanitari, per garantire liquidità in tempi brevi a centinaia di migliaia di piccole e medie imprese, per mettere in sicurezza l’occupazione e i redditi dei lavoratori autonomi, sono molte di più.
E questo non vale certo solo per l’Italia. Per questo occorre andare oltre. Altri player internazionali, come gli Stati Uniti, stanno mettendo in campo uno sforzo fiscale senza precedenti e non possiamo permetterci, come italiani e come europei, di perdere non soltanto la sfida della ricostruzione delle nostre economie, ma anche quella della competizione globale
”Fonte: AdnKronos