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Siad
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I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia

di Marco Di Giovanni
 
05 febbraio 2019 | 18:42

I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia

di Marco Di Giovanni
05 febbraio 2019 | 18:42
 

Franco è chef per vocazione, non ha studiato ma col tempo si è dovuto rassegnare all'inevitabile: «Dentro di noi c'è qualcosa che prima o poi viene fuori». Quel qualcosa lo si trova al Mammaròssa di Avezzano.

Sul palco di Meet in Cucina Abruzzo, 5ª edizione, è a suo agio, è sicuro della sua cucina, soprattutto perché è con questa che comunica se stesso e la sua filosofia ai fornelli: «Il piatto di oggi è il racconto dei nostri tempi. E della tradizione».

Franco Franciosi, Massimo Di Cintio e Francesco D'Alessandro (I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia)
Franco Franciosi, Massimo Di Cintio e Francesco D'Alessandro

Ma la tradizione non deve essere un vincolo, deve rinnovarsi, cambiare, adeguarsi e - perché no? - contaminarsi. Non a caso uno dei due piatti che ha deciso di presentare si chiama Contaminazione Nordafricana. E se tanto ci dà tanto, per una volta l'abito fa il monaco e un nome che già di per sé ci intriga nasconde sia una storia che un gusto che m'hanno lasciato a dir poco affascinato.

La storia l'ha recitata come un vero oratore Franco Franciosi, ma a dargli una mano per quanto riguarda il gusto - è giusto dirlo - c'era anche il suo secondo, Francesco D'Alessandro. I due insieme, al Mammaròssa, condividono passioni e fornelli.

(I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia)
Contaminazioni Nordafricane

Innanzitutto la tradizione, nel loro Contaminazione Nordafricana, non manca. Protagonista infatti c'è la pecora, che tradizionalmente in Abruzzo «viene cotta - spiega Franco - in un paiolo di rame per molte ore insieme a spezie ed erbe, che cambiano a seconda della microzona regionale nella quale ci si trova».

Avezzano, piccolo comune in provincia de L'Aquila, ha la sua tradizione. L'ha sempre avuta il Mammaròssa così come i suoi vicini, primo fra tutti il vecchio contadino Luigi Pantoli. Era in sala a Meet, si aggirava silenzioso senza dare nell'occhio, ma è co-protagonista in questa bella vicenda. «Luigi mi ha insegnato tutto. È da sempre un contadino del territorio, mi ha dato i consigli più giusti per gestire il mio orto. Insieme a lui, nella sua azienda agricola, a lavorare ci sono tanti braccianti nord africani, ai quali abbiamo fatto assaggiare la nostra ricetta originale. Caso vuole che questi, nella loro tradizione, ne avessero una molto simile».

Franco Franciosi (I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia)
Franco Franciosi

Franco allora inizia ad elaborare: il processo di questa ricetta solo il suo chef lo conosce, ma il risultato noi non dobbiamo aspettare di vederlo. Sul banco una tajine, pentola tipica della cucina marocchina. Prima si preparano le verdure - sedano, carota e cipolla - poi la pecora sgrassata viene cotta appunto nella tajine, non nel classico paiolo, come vorrebbe la tradizione abruzzese. La pecora viene fatta quindi rosolare «per provocare la reazione di Maillard all'esterno». Si aggiungono zenzero e cumino in polvere, «sono spezie che ci vengono portate direttamente dai braccianti dal Marocco».

Franco poi prepara del pane da mettere sotto la pecora una volta pronta. «Il pane gioca un ruolo fondamentale a Mammaròssa, lo abbiamo studiato per tanto, così come abbiamo fatto ricerca sui diversi tipi di farina. Il grano che abbiamo scelto lo coltiviamo nei terreni dei nostri nonni, e lo facciamo "alla contadina", vale a dire con una rotazione trimestrale dei terreni».

(I piatti di Franco Franciosi Un linguaggio per raccontare una storia)
Frascarelli con mugnuli selvatici e cozze dell'Adriatico

Nella tajine viene messo anche il pomodoro. Oltre allo zenzero fresco, allo zenzero in polvere e al cumino, Franco e Francesco utilizzano altre spezie come il curry, la salvia, la maggiorana e il timo.

A questo punto, mettendo la tajine nel forno per un'intera notte a una temperatura di 140°C (all'interno della tajine la temperatura reale sarà compresa tra i 75°C e i 78°C), Franciosi riprende un'altra tradizione tipica del Nord Africa: «Ricreiamo quello che fanno nel deserto. Lasciano la tajine tutto il giorno sotto il sole, fin dall'alba, tornano poi all'imbrunire e la riprendono, la cena è insomma servita». Una volta tolta la pecora e il suo condimento dal forno, il piatto è pronto e viene condito con erbe e olio extravergine d'oliva.

Per informazioni: www.mammarossa.it

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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