Poco coraggio e scelte inspiegabili. Nove tre stelle non rappresentano tutta l'Alta Cucina italiana.
Molti si aspettavano la prima stella ad una pizzeria. E fra i molti papabili il più accreditato sembrava
Franco Pepe, un esempio di successo per tutta la categoria. Ma sulla pizza, che si appresta ad essere
riconosciuta dall’Unesco e che a tutti gli effetti è il piatto più noto e più trendy della Cucina italiana, la
Michelin non ha avuto coraggio. È stata un’occasione persa per quella che resta la più famosa guida sulla ristorazione. Una scelta che ne intacca peraltro la credibilità, già messa in discussione dall’avventura di promuovere sul web, a pagamento, i locali che recensisce. Non che la “Rossa” avesse di fronte a sé altre guide concorrenti più coraggiose (nessuna assegna cappelli o forchette ad una pizzeria), ma certo questa novità avrebbe segnato una differenza di non poco conto. Chissà che l’anno prossimo non si trovi superata in questo da qualche team di guidaioli più attenti a cosa cambia nel nostro mondo…
Ma invece di osare, da ormai qualche edizione la Michelin preferisce cercare in tutti i modi di “controllare” e contenere la
ristorazione italiana. L’Italia sarà anche la guida con più locali stellati dopo la Francia, ma è quella che in rapporto al suo riconoscimento internazionale vede l’alta Cucina come la più sottorappresentata. Sarà banale, ma il sospetto che i francesi cerchino di contenere la ristorazione italiana esce rafforzato dall’edizione 2018. Se
Norbert Niederkofler è riuscito a portare a quota nove i tristellati, resta infatti l’amara constatazione che, per i francesi, sotto Roma le eccellenze stentino a trovarsi. Quasi che in Sicilia, in Campania o nelle Marche non ci siano altri locali di prestigio per irrobustire la squadra dei nostri campioni nazionali.
E anche in quota medaglie d’argento è ben vero che ci sono
tre meritatissime due stelle (Aprea, Faccani e
Metullio), ma altri due bistellati
ne perdono una. Entrambi a Milano. Inspiegabile sembra la scelta di penalizzare un professionista come
Claudio Sadler che, anche per impegno sociale, ha dato tanto alla crescita della nostra ristorazione, offrendo stimoli continui anche con la sua creatività. Per molti sembra più comprensibile la perdita subita da
Carlo Cracco, ma pur avendo avuto molte occasioni per criticare certe scelte del cuoco
volto di MasterChef, troviamo anche in questo caso ingiustificabile penalizzare un simbolo come lui. Se è per l’
iperattività pubblicitaria e
televisiva, la riduzione era da fare da tempo. Ma ci sono altri cuochi nelle stesse condizioni che sono stati invece graziati. Il che farebbe cadere questa ipotesi. Se fosse invece perché Cracco
trasferirà a breve il locale in Galleria, sarebbe bastato “sospendere” il giudizio. Così è come dire che la Rossa, comunque, dà una stella “sulla fiducia”. Il che è un po’ deprimente per tutti e avvicina la guida agli indovini…
Ma forse si tratta di finti scivoloni. Magari fatti apposta per richiamare l’attenzione. Il che aprirebbe il dubbio sui criteri con cui una guida vuole affrontare sul serio la
contemporaneità. Non è con coperchi, bilancini e qualche fuoco pirotecnico (o gli spot a pagamento sul web) che la
critica gastronomica può pensare di recuperare autorevolezza e contrastare il populismo che autoalimenta fenomeni come TripAdvisor. Certo la stella sulla giacca fa ancora la differenza, ma sempre più gente sa che c’è buona Cucina anche dove non passa la Michelin.