Siamo in Italia e purtroppo anche su questioni importanti c’è sempre un qualcosa di vecchio e di ideologico nelle diverse posizioni. È il caso del confronto che sta crescendo in Italia sul tema dei menu delle mense scolastiche e del diritto, o meno, di alunni e studenti di portarsi il pasto da casa. Ad alzare il livello di quello che potrebbe diventare uno scontro è stato il
Codacons, che ha lanciato una
class action inibitoria nei confronti del Comune di Milano che, nonostante una
sentenza del Tribunale di Torino - favorevole alle richieste delle famiglie di poter fornire una “
schiscetta” ai figli - oppone un
netto rifiuto per iniziative del genere.
Da un lato ci sarebbe un presunto diritto di tutti i bambini di potersi portare il cibo da casa e dall’altro un altrettanto presunto dovere di garantire uniformità a tutti a tavola, immaginando le mense come luogo di incontro e aggregazione.
Il Comune di Milano (ma la situazione vale in tutta Italia) vuole in pratica evitare che al momento del pranzo si creino nuove differenze sociali fra gli alunni (qualcuno potrebbe portarsi pane e crescenza e il vicino di banco un’aragosta in bellavista). Per non parlare del fatto che il cibo portato a scuola (e non controllato dall’istituzione) potrebbe essere scambiato con altri bambini, ed essere causa di intolleranze o allergie.
Sul primo punto ci sembra francamente che si pecchi un po’ di demagogia considerando come i bimbi si recano vestiti a scuola (alcuni griffati ed altri no), o che tipo di smartphone esibiscono... Il secondo, invece, apre direttamente la porta ad una questione cruciale perché si intreccia in maniera forte con il tipo di approccio al cibo, che oggi in molti casi si divide fra criteri salutistici e modaioli, con non poche varianti fideistiche. Pensiamo alle scelte di famiglie vegetariane o vegane, rispetto alla cotoletta o al pesce. Per non parlare del dibattito in corso da mesi in Francia sull’introduzione, o meno, di menu per musulmani.
C’è poi una questione di costi, spesso non trascurabili per molte famiglie che hanno più figli in età scolare. A Milano una mensa può costare fino a 700 euro l’anno. Alcuni pensano che preparare qualcosa a casa costerebbe di meno. E sul piano del puro cibo può essere certamente vero, ma dove dovrebbero mangiare i bambini? In mensa? E come ci si regolerebbe coi costi per l’occupazione dello spazio, le pulizie, il personale che deve controllare i minorenni anche durante il pasto e così via?
E queste sono solo alcune delle più semplici questioni sul tavolo.
Il tema è davvero complesso e non può essere banalizzato con l’ennesimo scontro su diritti o doveri, o sul ruolo di famiglie e scuola. Ciò che forse manca è una visione generale capace di dare una prospettiva certa ad un tema che riguarda educazione civica e alimentare al tempo stesso. Sulla dieta degli adolescenti si discute da tempo senza che a livello istituzionale ci siano delle linee guida chiare. Oltre alle valutazioni generali dei medici, non si possono non tenere in considerazione aspetti legati a scelte individuali che attengono a sfere religiose od etiche. O anche a più concrete esigenze economiche. Occorre armonizzare le varie esigenze. È in ogni caso importante che il cibo diventi una parte integrante, e consapevole, del nostro modo di vivere, di stare in salute. Quel che è importante è che a scuola l’alimentazione non sia vista solo come un momento di socializzazione o di relax. Deve essere un momento in cui i bambini imparano a scegliere il meglio, ad affinare i gusti, a cibarsi secondo qualche semplice regola di abbinamenti corretti. E questo al di là degli interessi delle lobby dei gestori di mense o dei distributori di merendine confezionate e bibite gasate.