Presso il Caab - Centro agroalimentare di Bologna - sono in partenza i grandi lavori che condurranno alla realizzazione di FiCo, ovvero la Fabbrica italiana contadina, nata da un'idea di Andrea Segrè (nella foto, a destra), grazie alla collaborazione di Oscar Farinetti (nella foto, a sinistra). Un vero e proprio parco tematico nella zona dei mercati generali di Bologna, tutto incentrato sulle eccellenze made in Italy. Per usare le parole dei responsabili del progetto, «il più grande centro al mondo per la celebrazione della bellezza dell’agroalimentare italiano». Un investimento da più parti definito epocale per la città di Bologna: al punto da sollecitarci alcune modeste riflessioni personali, che cercheremo di sintetizzare nei brevi paragrafi qui di seguito.
1. Introduzione
Aristotele diceva che l’uomo è un essere sociale, e questo lo sappiamo fin dagli anni della scuola. In tempi più vicini a noi, gli psicologi sociali hanno aggiunto che l’uomo è anche un essere gregario, vale a dire che molto spesso procede per imitazione dei suoi simili. Non ci ha sorpreso quindi l’unanimità di consensi che ha accolto, fin dal suo nascere, l’idea di FiCo: ma quando tale unanimità - come in questo caso - è plebiscitaria, immediata ed entusiasta (anzi, giuliva, come la famosa oca), allora c’è forse qualcosa che non quadra.
Quando soggetti che se li andate a trovare non vi offrono nemmeno un caffè si dicono subito disposti a corrispondere oboli di milioni di euro, allora c’è forse qualcosa che non quadra. Quando persone che si sono sempre disinteressate di agricoltura e di enogastronomia prendono a sdottoreggiare in ogni momento e in ogni salsa, neanche fossero replicanti di Gualtiero Marchesi o reincarnazioni del compianto Gino Veronelli, allora c’è forse qualcosa che non quadra. Per cercare di capirci un po’ di più, abbiamo provato a suddividere alcune considerazioni di buon senso in altrettante sezioni distinte, traendo poi poche, provvisorie valutazioni finali.
2. Un po' di storia
Il nucleo urbano che sarebbe diventato Bologna esiste da circa 3mila anni. Con l’andar del tempo vi si sono avvicendati i villanoviani, gli etruschi, i galli boi, i romani; dopo la caduta di Roma ci sono stati i secoli bui, l’età comunale, l’età signorile, la dominazione papale, la parentesi napoleonica, ancora i papi, l’unità con l’Italia.
Dopo 3mila anni di storia, come si vede molto variegata, e con tutte le sue torri, le sue chiese, i suoi palazzi, la sua antichissima università, la sua fiera, le sue tante attività industriali, artigianali, commerciali e libero-professionali, oggi la città di Bologna ha un saldo turistico annuale di circa un milione di arrivi e di circa due milioni di presenze. Per fare un veloce raffronto con le due maggiori città italiane, Milano arriva a 6,8 milioni di visitatori annui e Roma, poco distante, a 6,7 milioni. Questi sono i fatti, e come dicono i telefilm americani non sono in discussione.
3. Un po' di numeri
Stando a quanto dichiarato ufficialmente (da ultimo, sul Quotidiano Nazionale del 21 dicembre 2014), i visitatori annui stimati per FiCo saranno 6 milioni; anche se ricordiamo, tempo fa, di aver letto stime ben più alte, nell’ordine dei 10 milioni annui. Ma fermiamoci ai 6. Se dividete 6 milioni per 365 (i giorni dell’anno), avete 16.438: il pubblico medio di una media squadra di serie A, quando gioca in casa; oppure l’affluenza media totale di una media fiera professionale. Ogni giorno dell’anno, estate e inverno, sabati e festivi compresi, senza soste: vi par possibile, a occhio?
Sei milioni e passa, come abbiamo visto, sono i visitatori annui di Milano e di Roma. Ma vediamo anche qualche cifra di raffronto a livello internazionale, che ci può aiutare a mettere le cose nella giusta prospettiva. Sui 7 milioni di visitatori annui si attesta la Tour Eiffel di Parigi, uno dei monumenti più conosciuti e più visitati al mondo. A 6 milioni si collocano il Metropolitan di New York e i Musei Vaticani. Attorno ai 5 milioni ci sono il British Museum, la Tate Modern e la National Gallery, tutti a Londra. Quattro sono i milioni di visitatori annui della Statua della Libertà di New York.
Per tornare all’Italia, il Colosseo di Roma supera i 5 milioni e mezzo di visitatori annui, Pompei è sui 2 milioni e mezzo e la Galleria degli Uffizi di Firenze, con tutti i suoi Giotto, Botticelli, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, non arriva ai 2 milioni. Per finire, il primo parco a tema italiano, Gardaland, registra ogni anno 2,7 milioni di visitatori. Ora, se le cifre sono queste, come si pensa di poter balzare, a Bologna, dal milione di arrivi (frutto dei 3mila anni di storia e di reputazione della città) ai sei milioni di FiCo?
Per riprendere le parole di Andrea Segrè, ideatore di FiCo, forse puntando sulla sua «alta suggestione: orti e campi, stalle e acquari, officine di produzione, laboratori, banchi serviti, grocery, ristoranti»? Alta suggestione? Si pensa di moltiplicare i milioni di turisti con orti, stalle e acquari?
4. Un po' di logistica
Le attrattive internazionali di cui si è detto sopra si trovano nel pieno centro di alcune grandi metropoli (Parigi, New York, Londra). FiCo sorgerà invece nella lontana periferia di una media città come Bologna: in una location di rara bruttezza - ma qui, direte voi, interverranno i grandi lavori a rinnovare e ad abbellire il tutto - non esattamente vicina al tessuto storico petroniano.
E a questo punto entra in gioco la logistica, vale a dire il previsto sistema di collegamenti di FiCo alla città. La Repubblica - Bologna del 21 dicembre 2014 ha titolato, al riguardo “Minibus, treno o People Mover? Il rebus dei trasporti”. In parole povere, quando aprono i cantieri non si sa ancora che fine faranno i collegamenti. «Stiamo studiando» dice il sindaco: e questo ci fa tremar le vene e i polsi, considerando quanto avviene (o meglio, non avviene) da decenni su questo fronte.
Ricordate termini quali “alta velocità”, “variante di valico”, “passante autostradale”, “sopraelevata”, “metropolitana leggera”, per non dire di Civis e di Crealis? Che cosa vi evocano? Tempi non brevi e non certi, anche quando i rispettivi progetti sono effettivamente partiti. Bene, per FiCo, stando a quanto è dato di capire dalla stampa, siamo ancora in alto mare.
5. Un po' di fonetica
Lasciateci ora abbandonare per un attimo i fatti (brutti e cattivi, e notoriamente caratterizzati dall’avere la testa dura), per venire ad argomenti più leggeri. Come ad esempio la fonetica, che si occupa di suoni. Suoni? State a vedere, anzi a sentire. Bologna, che circa un anno fa ha sdegnosamente rifiutato nel suo brand alcune sue icone tradizionali, come le due Torri e i portici (salvo poi inserirvi una cangiante tigelliera modenese), Bologna dicevamo per FiCo si è accodata senza batter ciglio, anzi con convinzione, alla moda petulante, e imperante, presso molte istituzioni culturali: la moda dell’acronimo.
Dicesi acronimo un nome formato con le lettere iniziali di altri nomi, leggibile come se fosse a sua volta un’unica parola. Ad esempio Fiat, Fabbrica italiana automobili Torino, oppure Usa, United States of America. Prendete alcune rispettabili istituzioni culturali come il padiglione d’arte contemporanea di Milano, il museo d’arte di Gallarate, il museo d’arte moderna di Bologna, la galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, Il museo nazionale delle arti del XXI aecolo di Roma, il museo d’arte contemporanea DonnaRegina di Napoli.
Sapete che cosa diventano quando usano i loro ricercati acronimi? Pac (un pacco?), Maga (Maga Magò? Maga Maghella? Maga Circe?), Mambo (balliamo?), Gnam (mangiamo?), Maxxi (Che cos’è? Una t-shirt?), Madre (non tocchiamo la mamma, per favore!). Allo stesso modo, la Fabbrica italiana contadina diventa FiCo. E quando chiederete a qualcuno di vostra conoscenza dove va, vi sentirete rispondere: vado a FiCo. Attenti a non fraintendere, con il finale della parola.
6. Un po' di semantica
Dopo aver giocato con il suono, giochiamo ora con il significato. Trascriviamo dalla Enciclopedia degli Alimenti (Bologna, 1993): «Il fico è un alimento zuccherino, impropriamente chiamato frutto, perché in realtà la parte diffusamente consumata è il sicone dell’infiorescenza della pianta, molto diffusa nell’area mediterranea. Può essere consumato fresco oppure essiccato, procedimento che può avvenire al sole, in forno, in essiccatoi ad aria, o infine appassito. I più celebri fichi sono quelli di Smirne, quelli greci e quelli italiani, in particolare i calabresi e i pugliesi, i francesi, gli spagnoli e i californiani, soprattutto se essiccati».
Come si vede, non c’è alcun riferimento a Bologna. Per fortuna i significati simbolici, almeno quelli, sono in prevalenza positivi: nell’antichità classica il fico era associato tradizionalmente alla fecondità e all’abbondanza, mentre per i buddisti era simbolo di illuminazione (si veda ad esempio l'Enciclopedia dei Simboli, Milano, 1991). O forse è da privilegiarsi il significato gergale: probabilmente chi ha studiato il nome pensava che si sarebbe trattato di un progetto fico, di un luogo fico, di un momento di socialità fico. Ulteriore, scontato avviso agli italofoni: declinate il nome, i suoi aggettivi, i suoi attributi rigorosamente al maschile.
7. Per finire
Da questo guazzabuglio di osservazioni, direte voi, è possibile trarre delle conclusioni, pur se provvisorie? Probabilmente no. Quel che ci interessava indicare, se non proprio mostrare, era l’altro lato del FiCo, quello che spesso, per non dire sempre, resta in ombra nelle dichiarazioni ufficiali. Ovvero, pinkfloydianamente parlando, the dark side of the fig. Allora: il progetto, per quanto affascinante sulla carta, pare quantomeno ambizioso, molto ambizioso, sul piano della sua capacità di attrazione turistica. Al limite dell’irrealtà, stando almeno alle cifre disponibili.
In più, si configura come un corpo fisicamente staccato dalla città, non inserito né contiguo al centro cittadino, e non ancora collegato; e non si sa quando e come lo sarà. Venendo ad aspetti più futili come il suono e il significato del suo nome (futili per modo di dire, perché chi decide la visita a centinaia o a migliaia di chilometri di distanza spesso si basa sul puro nome, o poco più: “nomina nuda tenemus”, diceva uno che se ne intende), non sembra che ci sia stato uno sforzo particolare in merito: magari gli stranieri saranno colpiti dalla brevità e dalla facilità dell’acronimo, ma gli italiani si porranno verosimilmente molte domande.
Più che il FiCo, a noi il progetto in divenire evoca l’immagine dell’iceberg. L’iceberg è una grande massa di ghiaccio galleggiante, alla deriva nel mare; la sua caratteristica è quella di rimanere, per circa il 90% del suo volume, sotto la superficie marina. Ecco, a nostro avviso il progetto FiCo ha svelato alla stampa la sua parte emersa. Ma il suo corpaccione sommerso ancora non lo conosciamo, anche perché poco o nulla sappiamo della sua genesi, al di là dei bla-bla di circostanza. Solo il tempo, notoriamente galantuomo, potrà fare maggiore chiarezza. Per il momento, non abbiamo problemi a dichiarare che del progetto non abbiamo praticamente capito un FiCo secco.