L’Expo non nasce solo fra operazioni criminali che hanno fatto rimpiangere la Tangentopoli di vent’anni fa. Fra le tante idiozie fatte c’è anche il
mancato coinvolgimento delle organizzazioni professionali e di tutta la rete di ristorazione esistente. Tutto è stato finora fatto pensando agli sponsor, alle aziende espositrici e al business dei soliti nomi che hanno potuto accaparrarsi per tempo importanti spazi per ristoranti.
Per il resto, ad oggi, non ci sono grandi progetti condivisi con tutte le organizzazioni degli operatori che hanno a che fare col cibo (a parte quelli del mondo agricolo). Per i “mediatori” dell’alimentazione resteranno le briciole e forse anche un po’ di danni. Pensiamo solo alla scelta di tenere aperta l’esposizione
anche la sera, così che i ristoratori milanesi e lombardi potranno beneficiare solo in parte dell’afflusso di visitatori di tutto il mondo, che in molti casi si fermeranno nei locali creati ad hoc all’interno dell’Expo.
E del resto va detto che, coi soliti ritardi all’italiana, solo adesso qualche politico comincia a preoccuparsi del fatto che, mediamente, la ricettività “milanese”, salvo i grandi alberghi, non conta un elevato tasso di conoscenza delle lingue straniere, né ha molta idee di gusti ed abitudini di quelli che non sono i soliti turisti legati al business.
Eppure Milano, la città più inclusiva d’Italia, quella capace di fare convivere etnie diverse come nessun altro luogo in Italia, potrebbe affrontare molto meglio questa sfida partendo proprio dalla messa in rete delle conoscenze esistenti a livello dei tanti gestori extracomunitari di ristoranti etnici e non, che ad oggi costituiscono un nucleo assolutamente forte (e forse anche maggioritario) della ristorazione del capoluogo lombardo.
Coinvolgere queste realtà vuol dire fare squadra - cosa che in Italia non si riesca mai a fare - con la ristorazione di tipo più tradizionale, e contare anche sulle realtà “non italiane” di origine, per promuovere meglio il nostro importante patrimonio del made in Italy a tavola. La contaminazione fra esperienze diverse sarebbe utile per presentarci come sistema Paese in maniera più efficace ad una platea che, oltre a non parlare italiano, ha magari poche conoscenze dei nostri prodotti tipici.
Milano e la Lombardia più che mai debbono giocare una partita importante per promuovere l’intera filiera agroalimentare, ma al momento non si avverte nessuna iniziativa, e quelle poche che ci sono fanno capo alle aziende più attente ai mercati esteri che cercano in modo autonomo di creare degli eventi. Se davvero vogliamo cogliere le opportunità di questo appuntamento, è tempo che le istituzioni si diano una sveglia dopo aver fatto finta di non sapere che nei cantieri si costruiva a suon di mazzette. Pensiamo ai contenuti.