A sette giorni dalla proclamazione, abbiamo incontrato il vincitore della terza edizione di MasterChef Italia, talent show culinario di Sky (dopo aver già intervistato uno dei tre giudici, il pluristellato Bruno Barbieri). Federico Francesco Ferrero (nelle foto), classe ‘73, medico nutrizionista torinese, è appassionato da oltre 25 anni di gastronomia. Colto, cita con la stessa disinvoltura la Bibbia, Socrate, Mario Soldati, Carlin Petrini e Roberto Benigni. Buona conoscenza delle materie prime, ottima parlantina, si trova a suo agio con le telecamere e non può cucinare senza il limone, non uno qualunque, quello di Amalfi.
Cosa è successo in questa settimana, ha ricevuto delle offerte e quali sono le sue future ambizioni?
Per me è ancora domenica, il lunedì arriverà di certo. Sono felice, sto vivendo delle belle emozioni, posso parlare di cibo con persone che mi ascoltano. Certo ho ricevuto delle offerte, forse troppe, devo scegliere, ma sicuramente non farò mai la pubblicità ad un prodotto per cucina, sceglierò la qualità. Lavorerò anche in modo gratuito, andando per esempio a cucinare con i bambini in un ospedale oncologico senza telecamere e giornalisti. Uscirà il mio libro fra un mese, uno degli ebook più prenotati: “Missione leggerezza”, dove ho raccontato i miei segreti di cucina, una cucina bella, intensa, ma sana. Una nuvola di sapore che entra nella bocca e sale nel cervello.
La sua attività di medico?
La medicina e la cucina partono dallo stesso desiderio, donarsi agli altri, fare qualcosa per gli altri. I piatti che abbiamo nel cuore sono quelli delle nostre donne di casa, mamme e nonne, che con le loro preparazioni dimostrano tutto il loro amore.
Cosa le è rimasto della cucina piemontese?
La cucina è memoria, tutto parte dal ricordo del gusto. Ho dentro di me i sapori della mia terra d’origine, le castagne, i funghi, la polenta macinata a pietra, il profumo del sottobosco. Insomma tutti quei ricordi di bambino che oggi grandi chef stanno recuperando. Senza memoria non c’è cucina.
Cosa non manca nel suo frigo?
Non tengo mai le cose in frigo. Fuori frigo ho un cesto di limoni di Amalfi, che fanno la differenza in cucina, da provare grattugiati su uno spaghetto di grande qualità.
E l’olio italiano, recentemente bistrattato?
L’olio extravergine di oliva è un grande ingrediente della cucina italiana, non solo quello ligure, ma quello del Garda, della Toscana, della Puglia, della Sicilia. L’articolo del New York Times ha fatto solo del bene all’Italia, peccato che nessuno lo ha raccolto. Dove si lascia uno spazio arriva la frode.
A Torino come si mangia?
In maniera sabauda, con grande modestia. Le grande famiglie torinesi mangiano a casa. Manca la disponibilità a spendere al ristorante e questo ferma il livello della ristorazione. A Torino, capitale del gusto, manca un grande ristorante: abbiamo un sistema museale straordinario, una serie di prodotti che il mondo ci invidia, tartufo, carne bovina, riso. A Torino dovrebbero esserci tanti ristoranti tristellati almeno come a Parigi.
Dove aprirebbe un ristorante?
Avrei paura ad aprirlo in Italia, il costo del personale è troppo alto. All’estero sicuramente a Sydney, New Delhi e per molti motivi anche a New York.
Il vino?
È una delle mie grandi passioni. La cucina senza vino non esiste, un vero dialogo d’amore.
La sua idea di cucina?
La mia cucina costa poco, utilizzo materie prime povere che acquisto dai miei amici al mercato rionale. Uso il Gambero d’Oneglia, ma anche il tartufo. Intensa nei sapori, ma salubre.
Cosa ne pensa dei tanti programmi di cucina in televisione?
In tv la cucina è inflazionata, non è differente dal calcio. Importante è tenere alta la qualità. I programmi di cucina dovrebbero trasferire cultura con il sorriso sulle labbra. Mancano programmi di alfabetizzazione come quelli del dopoguerra di Mario Soldati.
Cosa ne pensa dell’Expo 2015?
È una grande occasione per lanciare una nuova coscienza del cibo. Mi piacerebbe che poi si organizzassero dei piccoli Expo in tutte le città italiane.
Cosa ne pensa delle guide?
Danno un orientamento, in Italia manca una critica gastronomica con basi solide e rigorose.
Un piatto che pensa di non saper cucinare?
Ogni piatto ha una sua storia a sé stante. Certamente milioni, come le cose che non conosco.