Da anni Italia a Tavola s'impegna per contrastare il fenomeno delle sagre tarocche, ovvero quelle feste di paese o di partito che, non dovendo sottostare alle stesse rigide norme dei ristoranti, garantiscono incassi considerevoli ma senza garantire la reale qualità dell'offerta enogastronomica, il che finisce per danneggiare il Made in Italy a tavola. Ogni anno nel nostro Paese si svolgono (è una stima prudenziale) oltre 32mila sagre, in media 4 per ogni comune, per un complesso di 250mila giornate di attività ed un fatturato di 700 milioni di euro. Ma le medie, si sa, hanno l’effetto di diluire nello spazio e nel tempo un fenomeno che, al contrario, è fortemente concentrato nei mesi estivi e nelle destinazioni turistiche. Il risultato è che 8 sagre su 10 si svolgono tra giugno e settembre, i giorni di attività, complice la bella stagione, si allungano fino a coprire il 90% del totale, e il fatturato generato supera i 500 milioni di euro.
Ci sono regioni, tra queste la Toscana, in cui il fenomeno assume una rilevanza straordinaria da far vacillare ogni media. Secondo un’indagine della direzione regionale dell’Agenzia delle entrate in provincia di Arezzo il numero medio di sagre è stato pari a 16 con un valore di 50 a Cortona e di 32 a Bucine (anno 2009). In provincia di Siena tra marzo e settembre del 2010 ce ne sono state in media 40, con un picco di 98 a Sinalunga. Le cose vanno meglio, si fa per dire, in provincia di Pistoia dove nello stesso periodo la media è stata di 7,5 sagre.
Al punto che l’Agenzia scrive: «In alcune località, le sagre assumono caratteristiche talmente strutturate e talmente ripetitive nel tempo che le strutture logistiche (tendoni, cucine, capannette, etc.) non vengono mai rimosse. In conseguenza di ciò, tra una sagra “autorizzata” e l’altra, tali strutture vengono spesso utilizzate su richiesta e dietro corrispettivi, per eventi privati quali matrimoni, compleanni, comunioni e quant’altro dando luogo a fenomeni stagionali di vera e propria ristorazione sommersa...».
Sulla base di queste indicazioni si può stimare in oltre 5mila il numero delle sagre che si svolge ogni anno in Toscana per un volume d’affari di 110 milioni di euro che si realizza perlopiù nei mesi estivi. Non a caso secondo l’83% dei pubblici esercizi della Toscana la presenza del fenomeno sagre nel proprio comune è assolutamente rilevante generando una concorrenza sleale che arriva a sottrarre alle imprese fino al 25% del fatturato.
«C’è un problema di equità - secondo Aldo Cursano (nella foto accanto), vice presidente vicario di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e presidente di Fipe Toscana - che viene prima di tutto. Nel momento in cui cittadini e imprese sono chiamati ad uno straordinario supplemento di responsabilità che richiede pesanti sacrifici, non è più tollerabile che ci siano aree di privilegio come quelle di cui godono feste di partito, circoli privati, associazioni di promozione e sagre. Non è più tempo di figli e figliastri in cui qualcuno si fa in quattro per presidiare il territorio, creare lavoro e ricchezza e qualcuno, invece, entra nel mercato solo quando è più conveniente senza rispettare le regole igienico-sanitarie, del lavoro e fiscali. Stesso mercato, stesse regole è un principio elementare di democrazia economica che faremo di tutto perché sia rispettato. In questo quadro - prosegue Cursano - si inserisce la nostra segnalazione all’Antitrust e la denuncia alla Commissione europea per l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano per aiuti di Stato a favore degli enti non commerciali. Ma è arrivata l’ora che anche i sindaci si assumano le proprie responsabilità cominciando con il regolamentare in modo serio lo svolgimento delle sagre».