Dalla crisi economica a quella alimentare. Il 46% degli italiani è preoccupato che la produzione di cibo non sia sufficiente a soddisfare il fabbisogno della popolazione anche per effetto del calo delle terra coltivata. è quanto emerge da un'analisi della Coldiretti sulla base dei dati Eurobarometro del luglio 2012 in occasione del convegno 'Costruire il futuro. Difendere l'agricoltura dalla cementificazione”, organizzato dal ministro delle Politiche agricole, Mario Catania. La preoccupazione degli italiani è superiore a quella della media dei cittadini europei, che si ferma al 43%, anche se i più allarmati sono i greci con il 94%, i più colpiti dalla crisi tra gli europei. L'84% degli italiani peraltro ritiene che in Europa si dovrebbe produrre più cibo per essere meno dipendenti dalle importazioni.

Una paura giustificata dalle quotazioni delle materie prime agricole, che hanno raggiunto record storici per il mais e la soia che sono indispensabili per l'alimentazione del bestiame e quindi per la produzione di latte e carne, mentre vola anche il grano, prodotto base per fare il pane. Con la crisi sembrano tornare ad avere più valore i beni essenziali come il cibo, anche se a beneficiarne al momento sono soprattutto i prodotti importati proprio per la forte dipendenza dell'Italia dall'estero.
L'aumento dei prezzi è giustificato sul piano congiunturale dal clima, che ha colpito con il caldo e la siccità insieme all'Italia e all'Europa anche la 'Corn belt” nel Midwest degli Stati Uniti, mentre un calo dei raccolti è previsto in Russia nella zona del mar Nero per le alluvioni ed in Ucraina. In Italia centinaia di migliaia di ettari di mais non daranno raccolto.

In realtà a pesare sono anche i cambiamenti strutturali, come ha evidenziato l'ultimo rapporto Ocse-Fao secondo il quale la produzione agricola deve crescere del 60% nei prossimi 40 anni per far fronte all'aumento della domanda della maggiore popolazione mondiale, alla richiesta di biocarburanti e alla crescita dei redditi in Paesi come la Cina che spinge al maggiore consumo di carne e quindi di mangime per gli allevamenti. Soia e mais sono infatti gli ingredienti di base per l'alimentazione degli animali negli allevamenti per la produzione di carne e latte, sui quali i rincari sono destinati avere effetto.
Una prospettiva che conferma l'importanza che l'Italia difenda il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile in una situazione in cui già adesso circa la metà dei prodotti alimentari sono importati, a cominciare appunto da grano, soia e mais. Non è un caso che si assista nel mondo alla corsa all'accaparramento delle materie prime agricole con pesanti investimenti nell'acquisto di terreni da parte di investitori istituzionali a partire dalla Cina e dai Paesi Arabi per garantirsi l'approvvigionamento alimentare. Un nuovo colonialismo che ha portato ad essere oggetto di negoziazione nel mondo dai 50 agli 80 milioni di ettari, di cui oltre i due terzi nell'Africa sub-sahariana, laddove Etiopia, Mozambico e Sudan hanno concesso le quantità di superficie più rilevanti.
Diversamente, in Italia un territorio grande come due volte la regione Lombardia, per un totale di 5 milioni di ettari equivalenti, è stato sottratto all'agricoltura, che interessa oggi una superficie di 12,7 milioni di ettari con una riduzione del 25% negli ultimi 40 anni. Si tratta dell'effetto di un rapido processo di urbanizzazione e cementificazione selvaggia e del progressivo abbandono del territorio che oltre ad aumentare la dipendenza dell'Italia dall'estero per le materie prime agricole non è stato accompagnato da un adeguamento della rete di scolo delle acque, mettendo a rischio anche la sicurezza idrogeologica di tutto il Paese.
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