MILANO - Attenzione al sushi ordinato al ristorante, perché conterrebbe più mercurio di quello venduto nei comuni mercati. Il sushi, infatti, a volte oltre a i rischi di infezione più volti balzati alle cronache, nasconde pure il pericolo di inghiottire quantità non proprio irrisorie di mercurio. E il mercurio può danneggiare reni e sistema nervoso. Fra i pesci più spesso usati per sushi e sashimi c'è infatti il tonno che, si sa, accumula mercurio essendo un grosso predatore dei mari.
Ha rivelarlo uno studio della sezione di genomica comparativa dell'American Museum of Natural History, per il quale gli autori hanno preso 100 campioni di sushi di tonno da 54 ristoranti e 15 supermercati di New York, del New Jersey e del Colorado. Tutti i campioni sono stati analizzati per la quantità di mercurio contenuta e la specie del pesce è stata identificata attraverso l'analisi del Dna. I risultati, pubblicati su Biology Letters, indicano che tutti i campioni contenevano quantità di mercurio simili o addirittura superiori rispetto a quelle consentite dall'Organizzazione mondiale della sanità e dalle normative europee, statunitensi, canadesi e giapponesi.
I ricercatori hanno anche osservato che i contenuti di mercurio dipendono molto dalla specie del tonno: quelle più ricche sono i tonni pinna blu e i tonni obesi (si chiamano proprio così, Thunnus obesus, perché sono più grandi degli altri); i pinna gialla invece sono meno 'contaminati”. Al supermercato sono i più diffusi, per cui il sushi fai da te parrebbe più 'sicuro” di quello mangiato al ristorante, dove sono frequenti anche le altre specie.
Le differenze dipendono dalla diversa capacità di accumulo di mercurio da parte dei diversi tessuti: il mercurio, ad esempio, ha una maggiore affinità con il tessuto muscolare, per cui i pesci più magri tendono a incamerarne di più. «Anche altri elementi contano: il pinna gialla è magro, ma in genere è più piccolo e viene pescato da giovane, quando ha potuto accumulare meno mercurio. Inoltre, è un pesce tropicale e non deve termoregolare la propria temperatura: altri tonni, come il pinna blu, mangiano tre volte tanto per avere l'energia necessaria a mantenere la giusta temperatura», spiega Jacob Lowenstein, uno degli autori della ricerca statunitense.
Per ora non esiste l'obbligo di dichiarare la specie di tonno venduta in pescheria o impiegata per preparare i piatti al ristorante, ma stando ai dati degli americani si tratterebbe di un'informazione non di poco conto, viste le differenze non trascurabili fra una specie e l'altra. «Chi mangia spesso il pesce è a rischio, se sceglie specie di tonno che accumulano molto mercurio», osservano gli autori. «Bisogna anche sottolineare che il rischio correlato al mercurio, così come quello relativo alle sostanze diossina-simili, non sparisce cuocendo il pesce: in altri termini, non è solo il sushi di tonno a essere 'pericoloso” per il mercurio, ma il tonno in generale – puntualizza Carla Favaro, docente alla scuola di specializzazione in scienze della nutrizione dell'Università di Milano Bicocca – Per questo le donne in gravidanza, gli anziani e i bambini non dovrebbero mangiare pesci come tonno e pesce spada più di una volta alla settimana».
«Questo studio americano avvalora altri dati precedenti che andavano in questa direzione», conferma Favaro. Mercurio a parte, ci sono precauzioni da seguire per gustarsi il sushi in tutta sicurezza? «A mio parere, no: al di là del famoso anisakis, il parassita che spesso è stato al centro delle accuse al sushi perché provoca infezioni gastrointestinali anche gravi, nel pesce crudo si possono trovare altri microrganismi pericolosi che vengono ridotti o azzerati solo grazie alla cottura – dice Favaro –. Esistono anche altri mezzi, in qualche caso: per neutralizzare l'anisakis, ad esempio, bisognerebbe congelare il pesce per almeno 24 ore, come richiede la normativa europea. Ma da svariate indagini 'sul campo” è risultato che non tutti i ristoratori lo fanno. Per tutti questi motivi non esiste il rischio zero mangiando pesce crudo, ed è un fatto da mettere in conto: eviterei perciò di farlo mangiare se non altro a bambini, donne incinte e anziani», conclude la nutrizionista.
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