è polemica tra Fipe e Agriturist. Nei giorni scorsi, con una nota del direttore generale Edi Sommariva, la Fipe (Federazione italiana dei pubblici esercizi - Confcommercio) ha criticato la nuova legge sull'agriturismo della Toscana, prossima all'approvazione, sostenendo che se altre regioni decideranno di imitarla «si commetterà una grande iniquità nei confronti degli operatori dei pubblici esercizi che già si trovano in una situazione di crisi dei consumi e che nemmeno si sognano le agevolazioni previste per gli agricoltori».
In base al nuovo testo in via di approvazione - continuava la protesta Fipe - un agriturismo potrà servire pasti senza l'obbligo del pernottamento, e soprattutto potrà servire pietanze anche non legate alla produzione agricola della stessa azienda.
«Non è possibile - replica Vittoria Brancaccio (nella foto), presidente di Agriturist (Confagricoltura) - che la Fipe non sappia che in tutte le regioni italiane, da quando esiste la legislazione sull'agriturismo, la somministrazione di pasti da parte delle aziende agrituristiche è, giustamente, un servizio che può essere offerto anche alle persone non alloggiate. La Toscana era la sola regione che limitava la ristorazione alle sole persone alloggiate... Oggi non fa altro che correggere una evidente forzatura della propria normativa, imitando lei le altre regioni, e non viceversa, come la Fipe, erroneamente, riferisce».
«Quanto alla provenienza dei prodotti agricoli con i quali si preparano le pietanze - prosegue il presidente di Agriturist - le leggi regionali stabiliscono (anche questo da oltre 20 anni) percentuali ben precise di quanto deve essere ottenuto in proprio dall'azienda agrituristica. C'è di più... Per legare ulteriormente la ristorazione agrituristica al contesto agricolo circostante, con la nuova legge quadro statale del 2006, è stato anche stabilito che tutta la materia prima alimentare, tranne minime quantità di ingredienti indispensabili al completamento del pasto, debba venire da aziende agricole della regione o da artigiani alimentari che lavorano prodotti agricoli regionali. Difficile, anche in questo caso, che la Fipe non ne sappia nulla... Penso piuttosto a una contrapposizione sindacale artificiosa e non costruttiva!».
Non meno ferma la replica di Agriturist a proposito della ipotesi di concorrenza sleale dei ristori agrituristici, rei - secondo la Fipe - di essere ristoranti a tutti gli effetti, pagando però meno tasse e meno contributi. A questo proposito, il direttore nazionale di Agriturist, Giorgio Lo Surdo, rileva che «la quasi totalità degli agriturismi con ristorazione non si avvale dello speciale regime fiscale forfetario previsto per il settore, perché, stabilendo il reddito imponibile nella misura del 25% dei ricavi, non è conveniente; e calcola il reddito imponibile per differenza fra ricavi e costi, esattamente come fa un normale ristorante».
«Se invece parliamo di vantaggi sui contributi previdenziali - puntualizza il direttore di Agriturist - è necessario ricordare che l'attività agrituristica è una attività esclusiva dell'azienda agricola, obbligata quindi a diverse limitazioni cui la ristorazione commerciale non è soggetta: parametri tempo-lavoro di connessione con l'attività agricola; numero massimo di posti tavola e di pasti servibili in funzione della consistenza dell'attività agricola; quote di prodotto proprio e quote di prodotti regionali da destinare alla cucina. è logico che il sottoporsi a limitazioni così stringenti sia compensato da qualche beneficio... Fermo restando che gli agriturismi sono soggetti alle stesse norme di igiene e sicurezza alimentare previste per gli altri ristoranti».
Articoli correlati:
Agriturismi come ristoranti Ma pagheranno meno tasse
Ristoratori di Padova No agli agriturismo ristoranti
Riforma dell'agriturismo in Toscana Martini: non è ristorazione camuffata