380 milioni di pasti per un fatturato di 1,3 miliardi all’anno. Questi i numeri del servizio delle mense scolastiche in Italia nelle scuole primarie e medie inferiori. Numeri comunicati da un gruppo di associazioni tra cui Cittadinanza Attiva, Slow Food e Action Aid che si rivolgono al governo per rimodulare le linee di servizio per l’alimentazione scolastica.
Da tempo il settore è terreno di polemica e scontro tra gli enti locali che appaltano i servizi e le associazioni di genitori. In particolare è il pasto portato da casa a scatenare gli animi. In effetti, mentre una circolare regionale, ad esempio in Lombardia, consente la milanesissima “schiscetta”, la normativa prevede che si consumino solo alla mensa quelli preparati dal fornitore. Il motivo principale è il controllo alimentare e il corretto bilanciamento dietetico degli ingredienti. In questo modo però si moltiplicano i contenziosi e la battaglia non si placa.
A Torino 58 famiglie si sono viste riconoscere, da una sentenza del tribunale, il diritto a portare il pasto da casa, precedente che allarga la possibilità che tale diritto sia esercitato in molte altre scuole su tutto il territorio nazionale.
La commissione Agricoltura del Senato sta lavorando ad una legge di regolamentazione e ha già fatto scattare la protesta dei genitori della “Rete Nazionale Commissioni mensa e mamma” che, dichiara la responsabile Alessandra Briccolotti, non sono ancora stati ascoltati. La legge prevedrebbe all’art. 5 che il sevizio diventi di natura “pubblico essenziale”, ovvero la mensa sarebbe obbligatoria escludendo del tutto la possibilità del pasto preparato a casa.
Inoltre, le mense non sempre sono luoghi accoglienti, ben l’87% dei bambini dichiara che sono troppo rumorose, pur apprezzando di mangiare in compagnia (ricerca elaborata da Cittadinanza Attiva). Infine i costi che variano dai pesanti 1.000 euro all’anno in Emilia Romagna ai 500 della Calabria. Differenze che andrebbero approfondite se, come prevede la legge, gli standard di qualità delle materie prime devono essere uguali in tutta Italia.
A poco infine servono gli assaggi da parte dei genitori che restano solo preferenze e commenti nei data base. Paradossale l’esempio di Milano. Nel capoluogo lombardo, l’ufficio scolastico regionale ha autorizzato il pasto da casa, ma il Comune mantiene la posizione che il pasto debba essere quello fornito da Milano Ristorazione sempre adducendo le motivazioni di controllo qualità, causando la tradizionale levata di scudi del Codacons. Solamente che, nel caso di sciopero degli addetti alla mensa o di agitazioni sindacali nell’azienda fornitrice, il pasto non viene erogato ed è necessario ricorrere alla “schiscetta”.
Ricapitolando: la sana nutrizione vale solo in assenza di vertenze occupazionali, nel caso sia sospeso il servizio vale tutto, con buona pace di dietologi e psicologi che si impancano ai convegni. Il Codacons chiede, giustamente, che il costo del pasto non erogato venga perlomeno risarcito e poi, quale genitore non darebbe ai propri figli un pasto di qualità?
La campanella è suonata, tutti in mensa.